16 Febbraio 2019

Shackleton ha dimostrato che un uomo è più grande del Polo Sud, ma l’impresa per recuperare l’Endurance è fallita il giorno del suo compleanno

Il mare con le acque più limpide al mondo è il più letale – anche questa è una conseguenza della purezza.

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James Weddell era nato a Ostenda, viaggiò nelle Indie Occidentali, prestò servizio per la Royal Navy. A bordo della ‘Jane’ disse di essersi sporto più a Sud di qualsiasi navigatore. Era il 1823. Vide le montagne di ghiaccio migrare intorno ad Antartide. Quel lotto d’acqua, gigantesco – la larghezza massima è di 2mila chilometri – purissimo, letale, prese il suo nome, Mare di Weddell. Come lui si chiamano anche le foche autoctone, le foche di Weddell, che l’esploratore e i suoi uccidevano con sommo gusto.

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Il nome della nave incarna il carattere del suo capitano. Paziente, tollerante, resistente “al di là di ogni sopportazione”. Endurance. Varata il 17 dicembre del 1912 in Norvegia, forgiata per resistere al morso dei ghiacci, Endurance, nelle fotografie, è lì, come una morgana, un castello in aria, una sfortunata sfinge, intorno ai bolidi di ghiaccio. Un’ombra in mezzo al regno bianco, il bisbiglio umano nella pupilla di Dio. L’Endurance parte da Plymouth il 9 agosto 1914, tappa a Buenos Aires, sosta in Georgia del Sud: s’incaglia quasi subito nel pack, siamo nel fatidico Mare di Weddell, è il 19 gennaio del 1915. Dove muore l’esperienza scientifica, avventata, comincia quella umana. I caratteri della nave – pazienza, tolleranza, resistenza – vengono incarnati dal suo capitano, l’indimenticabile esploratore Ernest H. Shackleton, nato nel piccolo borgo di Kilkea, Irlanda, secondo di dieci fratelli, il padre lo voleva medico acculturato, lui s’imbarcò in nave a sedici anni, come mozzo.

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Il 27 ottobre del 1915 Shackleton abbandona la nave, che si inabissa il 15 novembre. Soltanto il 30 agosto del 1916, tuttavia, dopo una epica resistenza nell’oceanico Sud, i naufragi trovano salvezza, tutti. Se l’equipaggio dell’Endurance non è divorato dal Grande Bianco, divinità famelica e implacabile, è merito della tenacia di Shackleton, come si sa, che dall’isola Elephant, dove ha condotto i suoi (il 14 aprile 1916), su una scialuppa, sbarca in Georgia del Sud (10 maggio 1916), organizza una strategia per recuperare i compagni. Per tre volte il capitano tenta di raggiungere l’isola dove i 22 naufraghi sono allo stremo – l’ultima è quella buona. Il cuore di Shackleton, il coraggio, l’impresa morale, valgono più dei risultati di Amundsen. L’irlandese che voleva attraversare a piedi Antartide, ha dimostrato che un uomo vale più del Polo Sud.

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Soltanto in UK le date convergono dando sinuosa sostanza al destino. Il 15 febbraio Ernest Shackleton avrebbe compiuto 145 anni. Evidentemente, una malia grava sull’Endurance, la nave prodigiosa che preferì andare a nozze con il ghiaccio. Intorno al giorno natale di Shackleton, infatti, giunge la ferale notizia: la “Weddell Sea Expedition”, partita agli inizi dell’anno con l’intento generico di “documentare la ricca vita marina dell’ecosistema del Mare di Weddell”, ma con quello preciso “di localizzare, investigare e recuperare il relitto della nave Endurance di Ernest Schackleton, intrappolata e schiacciata nei ghiacci”, è fallita. Il ghiaccio ha stritolato il “veicolo subacqueo” con cui gli scienziati stavano esplorando le antartiche profondità, alla ricerca dell’Endurance. “Come Shackelton, che ha descritto il cimitero dell’Endurance come ‘la porzione più terribile di mare del mondo’, anche noi abbiamo visto le nostre intenzioni disintegrate dal rapido movimento del ghiaccio”, ha detto Mensun Bound, direttore della spedizione.

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Un secolo dopo, il ghiaccio è inaccessibile, conserva il suo mistero. Le navi di oggi, superdotate, non fanno meglio di quelle di ieri, vascelli d’incredibile fragilità. Questo dà sostanza ulteriore all’impresa pazzesca “dell’audace capitano Shackleton”, che grazie a Francesco Battiato e all’algido genio di Manlio Sgalambro è diventato eroico anche nella canzone italiana (l’album è Gommalacca, la traccia, l’ultima, s’intitola Shackleton, era il 1998 e i versi iniziali sono memorabili: “Una catastrofe psicocosmica/ mi sbatte contro le mura del tempo./ Sentinella, che vedi?”).

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Dicono che ritenteranno, quelli della “Weddell Sea Expedition” – diciamo che il loro diario di bordo, lo leggete qui, non equivale al piglio ruvido di Sud, il libro di Shackleton che racconta la sua impresa e che scrisse per finanziarsi l’ennesimo viaggio in Antartide.

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Sbattere la lingua contro l’iceberg del prefisso. Anti-. Antartide. Il contrasto è implicito nel nome, la sfida al Grande Bianco è contronatura. Antartide come Babele. Ma è ciò che ti sconfigge a sfidarti, è ciò che ti acceca a sedurti. Sul mare più limpido del mondo grava la maledizione. (d.b.)

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