“La grande razzia”, il capolavoro dell’antica epica irlandese
Cultura generale
Paolo Ferrucci
Tutte le favole, anche quelle più oscure, hanno una genesi imprevedibile. La nostra favola nasce in un anno e in una terra che sono tutto, fuorché ideali. In Irlanda del Nord, Ulster, nel 1977 ci sono i militari inglesi che sparano a vista per uno sguardo o perché i manifestanti sono cattolici, come qualche anno prima nella “BloodySunday” di Derry (1972). A Belfast, la città più grande, spaccata esattamente in due dal muro di Falls Road (cattolica) e Shankill Road (protestante), nello stesso anno, si spara e non si lavora, si lanciano sassi ai carri armati dei soldati Brit oppure si suona e si urla la propria rabbia in una cantina umida di un lotto popolare dell’East. Gli Stiff Little Fingers parlano la lingua del punk rock, che viene proprio dalla “nemica” Inghilterra, nella quale altri loro coetanei stanno vomitando la propria rabbia giovane contro la Regina, il Sistema, persino contro i Beatles e la musica vecchia. Una rivoluzione, con chitarre distorte e calci in faccia, che vede Jake Burns ed Henry Cluney salire sopra quei carrarmati e urlare il loro desiderio di un “Alternative Ulster”, il pezzo-anthem più celebre. Un desiderio di fuga (“Gotta gettaway”) da quella feccia, una sorta di esplosione di energia proletaria anti-sistema che si esprime in pezzi semplicissimi, tirati, violenti, soprattutto autentici ma anche paradossalmente orecchiabili, in modo che Liam, Eileen, Conor e qualunque altro ragazzo Irish possano canticchiarli e dimenticare di trovarsi su una polveriera. A distanza di quarant’anni, sarebbe il caso, oggi, di riscoprire gli Stiff, che prendevano ispirazione dalla canzone di una punk band inglese, i Vibrators. Perché la loro favola era oscura, ma ha gettato luce e lustro su un’isola intera, che aveva bisogno di patriottismo “buono”, di nuovi eroi, dopo i fasti di Joyce, Yeats e Van Morrison. Il loro rock scarno, fatto da due chitarre possenti e da una ritmica pulsante, testi che erano sassi lanciati contro quel muro di East Belfast, dà lezione ancora oggi. Canzoni che erano pietre, sì, ma anche vita vissuta. Nobody’s Hero, Tin Soldiers, Just fadeaway, Go for it, Safeashouses, The price of admission, You can’t say crap on the radio (che conteneva un omaggio ai coevi maestri Clash), Suspect Device e Wasted life sono gioielli da riascoltare, assorbire e rivivere, come delle istantanee di un’epoca di altissima ispirazione, verace essenza del rock, che questo deve fare. Contestare.
Cesare Orlando
Cominciate ad ascoltare gli Stiff Little Fingers qui.