07 Febbraio 2018

Il poeta che canta e il cantante che poeta: Dente e Catalano sono “oltvemodo” (proprio così, con la ‘v’) affiatati. Detto da uno che odia i reading

Giornalisticamente scrivendo, sono una persona in salute. Poche, pochissime le allergie che negli anni si sono annunciate sulla mia pelle. Una delle prime – e ancora oggi piuttosto presente – è quella legata ai reading: le letture in scena – mi riferisco a quelle piatte – provocano in me uno stato di necessità che mi porta a grattarmi la spalle sinistra e a fare le ciocche ai capelli. Ai miei ovviamente, non a quelle dei vicini (o delle vicine) di posto. Un gesto “involontario”, “irreversibile” e piuttosto facile da eseguire finché la mia chioma era lunga. I reading ascoltati a teatro, uniti agli anni spesi in platea (la militanza a teatro ha superato i 30 anni), rigorosamente e “contemporaneamente insieme”, hanno fatto il resto. La primaria indecisione che inizialmente mi ha (trat)tenuto (fortunatamente invano: alla fine, a Savignano sul Rubicone a vedere Dente e Guido Catalano, ci sono andato, eccome) e che mi ha fatto titubare era tutta lì: Contemporaneamente insieme (questo il titolo dello spettacolo che hanno messo in scena il 2 febbraio al Moderno) era stato annunciato “come una specie di reading”. Mi tolgo subito il Dente del giudizio (chiedendo scusa all’ottimo Catalano) e non ci penso più: “Contemporaneamente insieme”, che vede in regia Lodo Guenzi (è quello de Lo Stato Sociale: un ragazzo che sa fare musica e dirigere gli altri, il che non è poco), non è un reading. È piuttosto un bel lavoro di coppia, sapientemente amalgamato, e che ha, come filo conduttore, non tanto le poetiche – a tratti simili – dei due (entrambi sono oltvemodo – con la v al posto della erre – ironici e sanno far fare le capriole alle parole) quando per la erre moscia. “Contemporaneamente insieme” è un pastiche di poesie e canzoni, di letture con il libro in mano (Guido Catalano) e di pezzi “con sola chitarra” firmati e cantati da Giuseppe Peveri (si chiama così, Dente). Due voci cristalline, le loro, che il regista ha saputo calibrare con la giusta efficacia, riuscendo ad evitare che lo spettacolo si trasformasse – ed il rischio c’era – in due assoli. Il cantautore emiliano e il poeta torinese, sul palco per circa un’ora e 40 minuti – hanno “semplicemente” incrociato chitarra e penna, per parlare, a modo loro, d’amore: con ironia, bellezza, ma soprattutto dialogando. L’insegnamento che “rilasciano”, alla fine, forse è proprio questo: il confronto e la comunicazione devono essere fatti di sguardi e di complicità e non di occhi bassi sugli schermi di un telefonino. A fine anestesia rimane un sorriso a 32 denti (16 figli di Peveri, 16 di Catalano) e quella sempre più rara sensazione che ti porti a casa: i due, in scena, sono affiatati. Hanno ritmo e tempi che si incastrano, come se lavorassero assieme da decenni. Del resto, uno scrive canzoni poetiche e uno poesie musicali…

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG