25 Agosto 2018

“Magellano ti incatena alla sedia… il mio Marco Polo sarà un cialtrone!”: Gianluca Barbera ci racconta i segreti del suo successo (con esegesi del romanzo “magellanico”)

Il romanzo ‘magellanico’ non è una semplice appendice – o variazione – del romanzo ‘di genere’, d’avventura. Il romanzo ‘magellanico’ recupera dai gorghi della Storia un personaggio noto – Ferdinando Magellano, appunto, per dire – e ne rinarra, con dovizia di particolari e delizia di stile, la vicenda da posizione obliqua, laterale, a volte sinistra. Fino a modificare, frase per frase, il volto dell’eroe, l’anagramma della Storia. Il romanzo ‘magellanico’, ecco, è una estetica della finzione, è una mirabile, mirabolante truffa – d’altronde, quanto c’è di vero nel racconto geografico fatto da Ulisse ai Feaci al solo scopo, infine, di far colpo sulla fatata Nausicaa? Il romanzo ‘magellanico’ così inteso – da non confondere con le avventure bibliche di Melville, con le peripezie solari di Stevenson o con i racconti inquieti di Conrad – ha un campione in Gianluca Barbera, che di fatto ha fondato il genere con Magellano (Castelvecchi, 2018), romanzo spregiudicatamente inattuale, scritto confondendo i generi e i piani narrativi, mescolando la rapidità pittorica di Salgari alla densità aforistica e filosofica di Montaigne e di Chamfort. Del genere ‘magellanico’ Barbera ha dato prova nel ciclo di racconti darwiniani (qui e qui) e nel racconto dedicato al ‘vero’ Robinson Crusoe. Anche in questo caso, il concetto è il medesimo: personaggi celeberrimi, reali o immaginati (Darwin, Defoe, Robinson), prospettiva strana, straniante, e ribaltamento della ‘verità dei fatti’, mutata in un fatto immaginato, cangiante, più autentico del vero. Ora, visto che Magellano ha avuto un successo imprevisto (in parte), Barbera torna al romanzo ‘magellanico’ pettinando e rifacendo il ceffo a Marco Polo. Al che mi s’aizza la curiosità. In casa ho diverse copie de Il Milione – compresa la versione in italiano ‘corrente’ di Maria Bellonci – perché sono persuaso che sia quello, insieme alla Divina Commedia, il libro ‘italiano’ per antonomasia. D’altronde, l’italiano sommo è proprio come Polo: va fino all’estremità del mondo noto, sfida l’ignoto per il gusto di fare affari. Al contrario di Ulisse, non lo anima l’ansia di “virtute e canoscenza”, e non torna a casa per abbracciare la savia Penelope: a Polo garba il soldo facile, l’avventura esotica e un po’ di pettegolezzi con il Gran Khan. E torna a casa per piazzare le merci e vendere al miglior offerente il racconto delle sue peripezie. Tra Polo e Pinocchio, in fondo, non c’è poi troppa distanza. Visto che di Polo, poi, han scritto tutti, da Coleridge a Italo Calvino, visto che il Khan narrato da Polo è il cuore di Citizen Kane, il capolavoro di Orson Welles, piglio per il bavero il wellesiano e tonante Gianluca Barbera obbligandolo a spiattellarmi una anteprima del nuovo libro, che s’intitolerà Marco Polo. Il romanzo delle meraviglie. Prima però, gli dico, mi spieghi come hai fatto ad avere tutto questo successo con Magellano, transitato, come si dice, per le migliori testate del Paese – dal Corriere della Sera all’inserto del Sole 24 Ore – mica sdraiati a bordo di uno yacht editoriale, ma vagando sulla zattera della propria intraprendenza. (d.b.)

“Magellano” è il libro dell’estate. Pubblicato con una casa editrice di qualità, Castelvecchi, ha convinto esteti del verbo e lettori. Come mai secondo te? Sei stato scaltro ad aver intercettato i ‘gusti’ del lettore? C’è voglia di romanzo d’avventura (che però non evade dalla bella scrittura)?

Ho fatto delle scelte giuste. Un tema universale. Una storia epica. Un personaggio tanto leggendario quanto poco noto. Come ho già avuto modo di dichiarare, la sua storia sembra una tragedia scritta da Shakespeare. Dunque il merito non può dirsi solo mio. Io ho avuto fiuto, e mi sono tuffato nella storia mettendo al suo servizio tutte le risorse della mia immaginazione e della mia scrittura, solitamente densa di affabulazione, meraviglia, ironia. Il principale merito che ascrivo a me stesso è però quello di avere lungamente progettato questo successo, che dunque non arriva per caso. Mi capita spesso di vedere cose che gli altri non vedono, fintanto che non le hanno sotto gli occhi: una maledizione e una fortuna al tempo stesso.

MagellanoSecondo me la letteratura italiana è tutto un affare di gente che fa un piacere ad altra gente, di scrittori che puliscono il sedere ai recensori, e via leccando e lustrando deretani. Tu come hai fatto a ‘passare’ con questa forza? Hai amicizie altolocate, hai santi nel paradiso della letteratura italiana, hai culo?

Sicuramente i simili si attraggono tra loro. Siccome nelle case editrici c’è molta mediocrità, il resto ne consegue. Ma venendo al mio caso devo dire che ovunque vado a presentare il libro, ogni volta che ne parlo, mi capita di toccare con mano l’energia che si sprigiona dalla sua vitalità, dalla sua forza incantatrice. Solitamente il pubblico rimane incatenato alla sedia. Ma come ho detto il merito è soprattutto della storia che racconto, di cui mi sono fatto portavoce, quasi come un cantastorie, un novello aedo. È il libro, è la vicenda di Magellano ad avere sfondato, non io. C’è già qualcuno che medita di farne una pièce teatrale. Forse un film. Fin dal giorno in cui il romanzo è comparso in libreria le vendite sono schizzate, senza che noi facessimo nulla. Credo che una spinta l’abbia fornita la suggestiva copertina realizzata dall’editore, che traduce mirabilmente in immagine il contenuto del libro.

Prossimo libro. Marco Polo. La scelta più ovvia. E quella più difficile. Ne hanno scritto tutti, Coleridge, e Borges, e Calvino, va da sé. Lui si è scritto da sé, nel Milione. Il tuo Marco Polo chi è, com’è, cosa fa, che strategie narrative della seduzione usi per avvincere il lettore?

Il Marco Polo che sto scrivendo è tutt’altra cosa. Più affine alle “Mille e una notte” che al “Milione”. S’intitolerà “Marco Polo. Il romanzo delle meraviglie”. In esso racconto di un Marco Polo che, tornato in Italia e avendo sperperato tutte le ricchezze accumulate negli anni trascorsi alla corte del Gran Khan, non trova di meglio che girovagare di corte in corte per ripetere all’infinito il racconto delle sue gesta, arricchendolo ogni volta di dettagli ed episodi sempre più fantasiosi e mirabolanti. Col passare del tempo la storia che racconta contiene sempre meno verità. Desideroso com’è di non deludere le aspettative dei signori che lo ospitano e lo ricoprono di doni, si abbandona a una sfrenatezza immaginativa che rasenta la truffa. Per appagare i desideri dei cortigiani che lo adulano e lo colmano di attenzioni, smaniosi come sono di novità e pettegolezzi e con un’idea dell’Oriente più fantastica che reale (un Oriente inteso come luogo esotico e magico dove tutto può accadere), Marco Polo finisce per trasformarsi in un ciarlatano; anzi nel peggiore degli imbroglioni. Il finale è a sorpresa, ma non aggiungo altro per non sciupare le aspettative dei lettori…

Senti ma… che libro vorresti pubblicare, come editore, quale autore vorresti sollevare dall’oblio? E che consiglio magellanico di lettura dai ai tuoi lettori?

Nella collana che dirigo per Edizioni Theoria sta per uscire il romanzo “L’ussaro blu”, capolavoro sconosciuto in Italia di Roger Nimier, enfant prodige della letteratura francese, morto a trentasei anni (nel 1962) in un incidente stradale al culmine di una serie di strani segnali premonitori. Un libro fattomi conoscere dall’amico Alessandro Gnocchi, capocultura del “Giornale”, che ne ha scritto la prefazione. Cosa consiglierei ai lettori? Senz’altro “Martin Eden” di Jack London. Un romanzo sulla scrittura, sui libri, e su come per loro tramite si possa diventare migliori (e a volte anche peggiori). La scrittura come mestiere, come modo per nobilitare la propria vita e migliorare quella di chi ci sta intorno. Ma anche come scoperta del vuoto che spesso ci circonda.

 

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