29 Gennaio 2022

Elliott Erwitt "Family". Solo chi (come lui) ha avuto quattro mogli può raccontare la famiglia!

Ha messo in fila quattro mogli (e all’età di 93 anni compiuti, con ogni probabilità, si è fermato) e sei figli. E un certo numero di nipoti: chi meglio di lui può raccontare il concetto e l’idea di famiglia?

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“Di me dicono che sono un umorista. Le mie foto dei cani che saltano quando gli abbaio, o suono la trombetta… La cosa più difficile e utile al mondo è far ridere la gente”.

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Il segreto dei suoi scatti più celebri, o meglio, tra i più famosi, è raccontato nei pannelli dei muri di Villa Mussolini di Riccione che sino al 3 aprile ospita la mostra fotografica “Elliott Erwitt. Family”: 58 attimi in bianco e nero ben distribuiti e illuminati (l’allestimento è curato nei dettagli, cosa non scontato) nei tre piani dell’ex dimora estiva del Duce. Per far saltare i quattro zampe imitava i versi dei bau bau (e pare che li facesse davvero bene) oppure li sorprendeva con uno strumento a fiato. E loro zompavano (come si può vedere in uno scatto esposto), oppure scappavano, o lo guardavo senza capire. Peccato non esserci stati: il divertimento dev’essere stato unico.

Oltre ai cani, in mostra troviamo un dittico della moglie (la terza, forse) che ha messo al mondo Misha, figlio di Elliott e anch’esso fotografo: dapprima con il pancione, poi con il bimbo a terra. Ad impreziosire i due attimi, una fotografia della donna che lo allatta teneramente. In esposizione anche la sua prima figlia Ellen con la prima moglie e il loro gatto nero, chiamato Brutus, sul letto a New York. E Jackie Kennedy al funerale del marito John Fitzgerald Kennedy, bellissima e lacerata dal dolore, avvolta in una maschera irripetibile. E Robert Frank, in due momenti diversi: in una balla, in un’altra assieme al figlio Pablo. Struggente l’immagine della madre di Robert Capa – morto su una mina in Vietnam mentre faceva quello che più amava: raccontare attraverso le immagini – che piange sulla tomba del figlio, poderosa e dignitosa come solo alcune donne del secolo scorso.

Un ventaglio di storie umanissime che spiegano, senza parole, com’è cambiata l’idea di famiglia dagli anni Cinquanta ai primi respiri del nuovo secolo. Dal nucleo familiare alla moda – con il figlio più piccolo non ancora rampante e costretto a indossare un paio di calzini bianchi in un completo formato da giacca, pantaloni e cravattino mentre la mamma ha un’acconciatura vaporosa – ai matrimoni nudisti, per passare a una mancata di baci appassionati dove il più bello è quello tra un ranger e un orso (con tanto di lingua) anche se quello tra una signora anziana e il cavallo (il bacio però accade sul muso dell’equino) merita più di un minuto di contemplazione.  Come la famiglia riunita attorno a un piccolo me, un Carli-no.

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La fotografia comica del bulldog seduto in grembo al suo proprietario (“Bulldogs”, New York City 2000) è la prova provata del detto che “i cani assomigliano davvero ai loro proprietari”. Qui Erwitt cattura il momento preciso in cui, incorniciato dalla veranda di un edificio di New York, la testa e il corpo del cane sono in perfetto allineamento con le braccia e le gambe del suo proprietario. La testa sovrapposta mette in evidenza quelle che il Maestro chiama le “contraddizioni visive che sono il sogno di un fotografo”. La genesi dell’attimo fermato – un attimo che conoscono quasi tutti gli appassionati di fotografia – è raccontato dallo stesso autore con queste parole. “Stavo passeggiando con il mio amico Hiroji Kubota dietro l’angolo del mio studio nell’Upper West Side di Manhattan, e non avevo la mia macchina fotografica. Ho visto la situazione e ho detto: ‘Posso prendere in prestito la tua macchina fotografica?’. E ho preso in prestito la sua Leica. È stato molto generoso e me lo ha lasciato usare e ci ho girato l’intero rullino”.

Ho ripreso la scena dal loro punto di vista: se ci pensi nessuno vede più scarpe di un cane” è invece la didascalia non scritta di “Felix, Gladys and Rover”, l’immagine che racconta le zampone di un cane grande, gli stivali di una modella, Gladys, e il buffo cappottino di un Chihuahua. A differenza dei primi due, il bonsai-dog ha le orecchie dritte, indice di attenzione a quello che accade intorno.

Ma forse la fotografia che “rimane” begli occhi è quella di una coppia di neo sposini: nell’automobile appare un cartello che traduciamo grossolanamente in questo modo, “Questa mattina lei mi ha avuto (sposato), io la avrò questa notte”. Lei sorride, lui ha la lingua di fuori.

 

“Le foto più belle ti possono capitare in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, anche quando lavori a un servizio commerciale, ma sono piccoli miracoli che hanno poche probabilità di finire sulla pubblicazione del committente. I miracoli sono quasi sempre estranei al lavoro, benché la speranza sia sempre l’ultima a morire”.

Alessandro Carli

Gruppo MAGOG