Francesca Farina è nata in Sardegna e ha poi studiato a Siena e a Roma dove tutt’ora vive. Dal 2002 organizza ogni mese la Maratona dei poeti, ed ogni anno nel mese di giugno il “Leopardi’s Day”. Tra giugno e luglio coordina “L’isola dei Poeti” presso l’Isola Tiberina, con Roberto Piperno. Cura un blog personale di poesia. Scrive da sempre, annota con attenzione ogni momento interiore e di vita collettiva, sentendo la scrittura come testimonianza di vita. Qualche anno fa pubblica un romanzo immenso, una grande saga che avrebbe dovuto avere maggiore spazio sui giornali, nelle televisioni, nelle librerie ed avere moltissimi lettori. Non è stato così ma nonostante ciò io non ho dubbi sul suo valore ed ora quel libro è giunto nel Regno della Litweb.
Gli incontri belli fatti su Facebook. Incontro e conosco Francesca Farina per una strana coincidenza. Lei negli incroci dei commenti sa che abito a Lamezia e ne è incuriosita, io vengo così a conoscenza, tramite la città, del mondo poetico di Francesca e riesco a leggere il suo romanzo del 2017 Casa di morti, una saga affascinante che diversamente non avrei mai avuto la possibilità di leggere.
Nelle strade del web si fanno incontri straordinari, vero Francesca?
Da diversi anni sono su Facebook, dapprima con un solo profilo e adesso addirittura con tre, anche se è molto difficile gestirli tutti e i miei amici e followers mi dicono che dovrei cancellarne almeno due. Io però penso che Facebook, nonostante tutto, sia molto utile per tenere i contatti con le persone più diverse, sia con compagni perduti, sia con vecchi che nuovi amici e conoscenti. Così sono entrata in contatto con te, Ippolita, attirata dalle tue molteplici attività culturali e anche perché vivi a Lamezia Terme, in Calabria, città che mi è stata molto presente durante i miei anni universitari a Roma, dato che frequentavo un folto gruppo di studenti calabresi. Così ti ho chiesto l’amicizia e siamo diventate amiche. Vista poi la tua grande sensibilità letteraria ho deciso di mandarti il mio primo romanzo Casa di morti, di Bertoni Editore, da te ha accolto molto favorevolmente. Non dubitavo in realtà che, data la tua grande attenzione per i testi più singolari, ne saresti stata attratta e lo avresti compreso profondamente. Davvero credo più che mai nella potenza del web! Che bello aver conosciuto e soprattutto compreso una personalità tanto poliedrica come quella di Ippolita!
La storia dei Barones, di cui “si favoleggiava fossero arrivati sull’isola dal continente con quattro carabattole”, imparentati con le prime famiglie del luogo, con i Satta, i Mameli, i Thola, i re del villaggio, di “un buco di topi”, un luogo che era “uno sputo in faccia al Monte Albo” viene raccontata in Casa di Morti, il tuo romanzo fiume, insieme alla storia di ogni persona, di ogni abitante del villaggio attraverso gli anni, attraverso Cent’anni di solitudine. E come il libro di Gabriel García Marquez, forse anche con maggiore suggestione e musicalità, la storia si svolge sotto una lettura ipnotizzata. Conosco i luoghi, senza mai essere stata in Sardegna, conosco i pastori, i Barones, le chiese, conosco quel mondo e quei rapporti forse perché simili in Calabria, almeno nei miei ricordi. Sono rapita dal suono poetico, dal ritmo fascinoso e affabulante, e sono sorpresa da come questo libro sia stato accolto quasi con indifferenza dal 2017 ad ora dalla critica letteraria del nostro paese, ad esclusione de Il Manifesto e di altri due studiosi.
Ci vuoi parlare della storia che ti ha ispirato questo racconto e delle difficoltà di farlo pubblicare e poi di diffonderlo?
Da molti anni avevo in mente di scrivere la storia della mia famiglia, visto che avevo ascoltato fin da bambina i racconti di mio padre, di mia madre, delle mie tre zie, di uno zio aviatore, quindi avevo introiettato le vicende quasi incredibili dei miei più prossimi avi, bisnonni e nonni, ai quali ho dedicato la prima parte del mio romanzo: al bisnonno paterno, soldato in Crimea e nella battaglia di Palestro, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, al prozio paterno emigrato in Argentina, al nonno materno che viveva in una vallata coltivando un suo poderetto. E conoscendo profondamente tutti gli aspetti della natura, come il famoso personaggio Efix, del romanzo Canne al vento di Grazia Deledda, e come diversi altri personaggi della mia gente, ho sentito di riservare a loro tanta parte del mio scritto, come fossi guidata da una memoria ancestrale e avessi vissuto gli eventi dei quali si erano resi protagonisti. Nella seconda parte del mio romanzo, invece, ho narrato, quasi effigiandole in una ideale galleria di ritratti, le vite dei familiari che ho conosciuto e con cui ho condiviso la mia infanzia, familiari indimenticabili che hanno profondamente segnato i miei anni, l’intera mia esistenza.
La Casa Editrice Bertoni ha pubblicato sia questo bel romanzo che La scuola dei somari, in cui tu, appassionata della poesia “classica”, fai rivivere un modello di sonetto “realistico-satirico”, ricostruendo in versi la via crucis di una docente di scuola media in condizioni disastrate. Lì “gli ideali” sono una “parola spenta lungo gli scaffali”. Il diario di un anno di scuola impervio si snoda in una catena di sonetti che compongono un mosaico straniante e allucinato. Noi ti aspettiamo a Lamezia con i tuoi sonetti e cosa ci puoi dire di questa tua esigenza di vivere la scuola in versi satirici?
Con il mio libro di sonetti La scuola dei somari. Sonetti per un anno di scuola ho voluto testimoniare un anno della mia esperienza come supplente di Materie Letterarie, l’unico davvero difficile di un’intera carriera, presso un istituto dell’estrema periferia di Roma, dove gli alunni provenivano da famiglie disastrate e molti erano figli di genitori separati, o addirittura tossicodipendenti, e perfino carcerati, quindi con notevoli problemi relazionali. Ho trascorso un anno cercando faticosamente di trasmettergli la consapevolezza dell’importanza dell’istruzione, essendo che non erano neppure scolarizzati, nel senso più elementare, ed essendo spesso deprivati degli essenziali strumenti materiali e intellettuali che avrebbero potuto farli accostare ai contenuti di studio. Con quasi tutte le classi ho conseguito alla fine buoni risultati, ma una classe in particolare si è mostrata totalmente restia ad acquisire non soltanto le discipline impartite, ma anche un comportamento consono alla civile convivenza. Da ciò è nata una grande frustrazione e sofferenza e sono scaturiti circa quattrocento sonetti, dei quali ne ho selezionati e pubblicati duecentotrentasette. Indignatio facit versus ha scritto il grande poeta latino Orazio, e veramente lo sdegno ha fatto nascere tanti versi! La forma classica del sonetto, poi, mi è nata dall’assidua frequentazione dei grandi autori della letteratura italiana, dalle origini fino ai giorni nostri, come Zanzotto e Umberto Saba, tanto per fare due dei nomi più autorevoli che hanno recuperato lo schema metrico chiuso introducendovi temi contemporanei.
Difficilissimo vivere in questi tempi sciocchi, dico sempre io, però nonostante i tempi questa mi sembra la nostra resistenza: incontrarci, conoscerci, dibattere e leggere libri bellissimi. In più tu organizzi e incontri il mondo della poesia, deve essere affascinante resistere con i versi. Vuoi raccontarci qualche episodio delle tue iniziative poetiche?
Nel 2002 ho avuto l’idea di creare delle occasioni di incontro e di scambio intellettuale ed esperienziale tra i poeti, che a Roma vedevo pressoché ignorati e sottovalutati dal potere culturale e dall’industria editoriale, perché faticavano enormemente a pubblicare i loro libri e ad essere conosciuti. Così ho ideato e organizzato dapprima delle serate di presentazione degli autori che ritenevo più notevoli nel panorama cittadino, presso librerie e spazi culturali; quindi la “Maratona dei Poeti”, in cui ogni mese, su temi diversi, chiamavo a leggere sia i poeti più consolidati, sia i migliori giovani esordienti; e infine il “Leopardi’s Day”, ossia la celebrazione, attraverso la lettura delle poesie di molti autori, anche in chiave ironica e scanzonata, della nascita di Giacomo Leopardi, il ventotto giugno di ogni anno, assieme alle serate dell’“Isola dei Poeti” presso l’Isola Tiberina, cuore del cuore della Capitale. In tanti anni vi hanno partecipato decine di poeti, tanto che i loro testi alla fine sono stati raccolti in una pubblicazione. Quest’anno, purtroppo, a causa del Covid 19 ci siamo dovuti fermare, con grande dispiacere di tutti, dopo quasi vent’anni di letture e presentazioni. Io continuo tuttavia a promuovere i poeti sia attraverso le antologie, sia attraverso la collana di poesia Miele, che coordino per l’Editore Bertoni.
Vorrei chiudere con un augurio che i libri veri vengano riconosciuti e letti dai lettori veri e aggiungo una frase dal tuo Casa di morti come saluto: “Quell’arazzo variegato rappresentava il legame mai interrotto con i suoi anni d’infanzia, con la madre adorata da cui in realtà nel ricordo non si era mai separata, e per lei esso narrava un racconto ininterrotto, fatto di segni simili a dolcissime parole.” Casa di morti di Francesca Farina è una saga immensa che affascinerà dietro l’arazzo.
Ippolita Luzzo