
L’inferno non gode più di pessima pubblicità. Pensieri intorno al “Diario del caos” di Moresco
Politica culturale
Antonio Coda
Anzitutto va riconosciuto a Pasolini il merito di essere un personaggio: tutti i suoi libri sono sempre stati dei fatti, delle novità, nello squallido panorama della nostra letteratura fatta soprattutto di rimasticature, di promesse mancate, di abili e pigri rentier, di provincialismo. Un personaggio nuovo.
Egli esprime una certa realtà attraverso poesie, romanzi, film. E con ciò non intendiamo tanto le condizioni del sottoproletariato romano, quanto una certa zona della vita di tutti, quel substrato viscerale che si pretenderebbe proprio dello stadio infantile e successivamente superato, ma che invece, più o meno scopertamente e sia pure in maniera diseguale, continua a condizionare fortemente anche la cosiddetta vita adulta. È abbastanza evidente il parallelo tra questo mondo irrazionale, della libido, dove istinto di vita e istinto di morte si combattono nudamente, rispetto all’adulto mondo dei sentimenti e della ragione, e la vita sociale di un certo sottoproletariato abitante in baracche ai margini della città, amorale anarchico crudo, rispetto appunto alla civiltà della città, della vita organizzata. Dialetto, gergo, contro lingua. Africa, Asia, contro Europa. Pasolini si serve appunto del secondo termine del parallelo per esprimere allegoricamente il conflitto interiore del primo termine. Un conflitto interiore, ripetiamo, tutt’altro che risolto, che spesso riesplode violentemente. Per questo Pasolini ci parla proprio di noi, infine, di noi “civilizzati”.
Ma vero conflitto, vero dramma, non esiste in Pasolini, data l’assoluta prevalenza del momento irrazionale su quello adulto, sul momento della storia, nonostante la sincera partecipazione di Pasolini anche al secondo, come uomo di cultura e uomo politico. Più che una situazione drammatica, Pasolini testimonia una situazione tragicamente immobile. Il suo è un Inferno senza speranza se non in se stesso. Pasolini, infine, non può che ripetersi. Per questo, nonostante l’autenticità del suo mondo e il suo grandissimo talento poetico (ma di entrambi tende anche ad abusare, il suo fervore degenera spesso in vera e propria incontinenza), finisce col logorare rapidamente il mezzo espressivo impiegato.
Le prime prove di poesia giungono a perfezione con Le ceneri di Gramsci, il libro di poesia più geniale e ricco del dopoguerra, ma il successivo – La religione del mio tempo – è sostanzialmente una caduta: la ripetizione finisce col tradire i punti più deboli, certo patetismo pascoliano, il virtuosismo, la retorica civile. L’eccellente romanzo Una vita violenta è lo sviluppo del precedente Ragazzi di vita, ma è significativo che Pasolini lo continui, anziché con un terzo romanzo, con un film, Accattone, che proprio per essere espresso attraverso un mezzo tecnico diverso, rinnova e arricchisce l’emozione; e anzi, verificandola, conferma l’autenticità del mondo pasoliniano che, proprio in virtù della sua profonda verità, finisce sempre per esprimersi in modo vivo servendosi di ogni mezzo tecnico. Non è del tutto una battuta di spirito affermare che aspettiamo il passaggio di Pasolini al teatro, alla pittura, o addirittura alla composizione musicale.
Piergiorgio Bellocchio
“Quaderni piacentini”, anno I, numero 1 bis, aprile 1962
*La fotografia in copertina è di Sandro Becchetti, 1971