02 Dicembre 2019

La mozione “contro l’odio”? Buona&giusta, per carità. Ma il primo odio da vincere è quello contro la lingua italiana. Mi rivolgo a voi, redattori di mozioni…

La mozione con per prima firmataria Liliana Segre per l’istituzione di una Commissione contro l’odio è redatta in un italiano brutto ma non bruttissimo. Fosse stato bruttissimo lo si sarebbe potuto prendere per sperimentale, invece è l’italiano da silenzio in aula, da notaio da commedia, da supercazzola da spacciare per raffinatezza tecnocratica con tutti gli understandment al posto giusto; l’italiano del sì per dire forse no, vedremo poi; l’italiano del bianco che è bianco ma non è detta l’ultima parola fino a quando il nero non avrà detto la sua; l’italiano del ci-siamo-capiti-tra-di-noi, politicizzabile quindi manipolabile per fargli dire ogni cosa anzi ancora meglio se ogni suo contrario. I buoni propositi non hanno scampo: o sono scritti in modo ineccepibile o sono pessimi come tutti gli altri.

Felice l’esito della votazione, infelice l’italiano ministeriale della mozione: quello dei premesso che, dei delibera di, dei “sensi dell’articolo 50, comma 2, del Regolamento”: non che se ne possa fare una colpa a chi l’ha scritto o sottoscritto: o si discute così al Senato o niente, immagino ci siano delle forme da rispettare, delle codifiche, ma l’effetto fantozziano resta: se lo capisci tutto il dubbio legittimo è che non ci devi aver capito granché.

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Non pretendo un documento parlamentare sia di piacevole lettura (invece lo pretendo), ma ha il dovere di essere comprensibile, deve essere a prova di equivoco, di cavillo subdolo e tendenzioso: deve far insorgere la voglia di leggerlo e leggerlo e leggerlo ancora, di prestarlo agli amici, che lo si stampi in edizione di gran pregio per poterlo mettere in bella mostra nella propria libreria, di farsene ispirare, di riportarne brani a  alta voce, di tenerlo al centro del confronto, come Il principe o almeno come un Discorso sulla servitù volontaria. Se quello della mozione non si poteva rendere più intellegibile di così, se occorre attendere una autentica rivoluzione, linguistica, per poter aspirare a un italiano ufficiale godibile, la mozione andava accompagnato a un testo che lasciasse a bocca asciutta per nitore e splendore stilistico, in barba a chi non avendo mai avuto un testo suo vivacchia di contesti, di interpretazioni parassite: che gli venga uno scolio a questi professionisti del nulla da dire detto per ore e ore in centinaia di dirette e che devono la loro fortuna, passeggera, all’assenza di qualcosa di veramente scritto!

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Il primo odio da arginare è l’odio contro la lingua, contro il mio primo amore, non più tutelata e riconosciuta come strumento alto e basso e medio – dipende dal registro – di comunicazione, di trasmissione di idee, l’ideale per fissare appuntamenti dove ci si incontra per davvero, patrimonio culturale cioè spassosissimo. La lingua scritta è odiata, perciò vilipesa e sbertucciata, si vuol far passare per obsoleta, come se i fondamenti dell’umano sentire fossero riducibili a fenomeni modaioli. L’odio contro l’arte della lingua scritta è pervasivo, si vorrebbe soppiantarla con altri canali, commerciali cioè banali cioè destinati al fallimento ma tra cinque minuti invece che immediatamente, poi ogni volta a fingere stupore se c’è la crisi, c’è la crisi: è più raro che la crisi non ci sia; il tempo di una pisciata, cinque minuti, e: scoop, riecco la crisi.

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Oppure aggiornatemi: le persone hanno smesso di incontrarsi dal vivo? O, quando sono ai due lati di un tavolino con al centro un bicchiere e due cannucce e non ai due lati del mondo con al centro due smartphone e un’offerta sui giga, dialogano lo stesso con i pollicioni o le faccine? Chi riflette tra sé e sé sulle proprie scelte, sulla propria idea di mondo, si posta una foto nelle sinapsi o mette play alla serie televisiva della propria biografia psichica? Il pensare, e dunque l’esistere con consapevolezza, non può essere disgiunto dalla lingua con cui ce lo si esprime; e per poter pensare bisogna saper scrivere, anche solo a mente, nella propria – e il potere di uno scrittore, infatti, non è quello di leggere nella mente altrui, ma di rendere accessibile la sua, previa inchiostratura.

Senza linguaggio i pensieri non verrebbero formulati in-un-altro-mondo: non verrebbero formulati punto. E più linguaggio si padroneggia e più pensieri liberanti potranno spalancarsi ai propri piedi: Alice ha potuto attraversare il paese delle meraviglie perché qualche pomeriggio sapeva dedicarlo alla lettura, mica televotando come non ci fosse un domani o diventando l’ennesima follower di uno youtuber bravo a urlacchiare come un castrato. Un giorno lo dedichi ai Ferragnez, un altro a Rilke. Oggi Vollmann, domani Temptation Island o la fila al firmacopie della De Lellis, e il nuovo sex symbol stregattesco sarai tu. Quando si sarà fatto quello che è nel potere di chi ce l’ha per invitare gli altri al viaggio del pensiero cosciente davvero il più contro l’odio inteso come strumento di assoggettamento sarò fatto. Il che non equivale affatto a dire che saranno state risolte a monte e a prescindere le divergenze talvolta acerrime: non saranno mai i pensieri differenti a spaventare o da sventare; sono da sgominare le condizioni che rendono possibile che degli individui diventino automi programmati per eseguire i pensieri mai pensati ma subiti soltanto. Di mio sono molto eccitato dalle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale, ma se lo stesso zelo fosse investito per controbilanciare la condizione naturale della stupidità umana lo sarei ancora di più: basterebbero dei corsi monografici su Honoré De Balzac finanziati dalla regione, dei master su L’uomo senza qualità sostenuti coi fondi europei.

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La creazione di una Commissione contro l’odio è un proponimento meritevole di un candore abbacinante, ma come non abbiamo più lingua per dire il candore così non abbiamo neppure più occhi per leggerlo senza reputarlo uno stratagemma da disinnescare: il candore spaventa come fosse una oscurità piena di minacce inesplicate, di sottintesi a tagliola, una trappola retorica. Il candore è ustionante per chi non è più abituato a una lingua radiosa: una esposizione lucida e luminosa lo carbonizzerebbe. Il candore è una neve lavica e non aiutano le definizioni normative, le istanze fortemente sentite, i vietato odiare, le pulci da fare a “l’intento dello speaker, l’intensità e la severità dell’espressione, il fatto che essa fosse diretta o indiretta, esplicita o velata, singola o ripetuta” per renderlo di nuovo intellegibile.

Si finirà col dover discutere su quanto grosso ce l’hanno gli angeli e se mai lo potranno mostrare in fascia protetta? Come le accuse di pornografia in letteratura: non solo piantano grane a un romanzo di Flaubert impedendogli di circolare liberamente, danno pure l’occasione in più a qualche pornografo da quattro soldi mandato al macero di potersi atteggiare da censurato per poter sbottare fiero: “Flaubert c’est moi!”.

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Per me l’intento della bellissima Liliana Segre, con quel suo sguardo d’imperiosa dignità, dotata della testardaggine che solo le intelligenze a prova di ricatto morale possono vantare, romanzo vivente che testimonia come gli uomini e le donne non potranno mai essere contenuti in crudi numeri seriali poiché sono delle storie in cui scorre denso il sangue delle parole, è chiarissimo: impedire una prossima volta con tutti i mezzi possibili, compresi quelli meno convenzionali: la gentilezza, la buona volontà, la genuinità di chi pensa che se ne siano viste abbastanza e che non occorra rivederle per mettere un freno all’odio quando torna a dettare legge. Il miglior mezzo di resistenza contro la dittatura delle dettature però resta la parola in campo aperto.

È consentito sperare che se fosse esistita allora una commissione contro l’odio pilotato, contro la propaganda, nella Germania antisemita, nella Russia antisemita, nel mondo antisemita, forse si sarebbe potuta salvare almeno una vita in più? Che, facendola esistere ora, si potrà salvare almeno una vita in più, mettendola al riparo dalle strategie persuasive dell’odio come strumento di consenso? È doveroso sperarlo, infatti alla mozione con per prima firmataria Liliana Segre rimprovero non il sogno ma l’odioso e vulnerabile e attaccabile italiano con cui lo si è tradotto in scrittura: impubblicabile, vagamente illeggibile, che indebolisce quello che prova a affermare con più forza: la libertà di parola si può basare solo sulla responsabilità della parola detta al suo meglio, pronta a rispondere di sé stessa perché nata dalla riflessione sul mondo così com’è in me. Una parola detta, e data, deve organizzarsi per rendere la vita impossibile a chi si prova a togliere o a contraddire quella parola, a far sembrare che non sia mai esistita e con lei la vita di chi l’ha scritta e di chi l’ha letta. Ci provino, i totalitari tocchi di ogni epoca, a far sparire del tutto Omero o Dante o i grandi russi, eccetera: più facile facciano implodere qualche continente che riescano a cancellare le loro opere: si fa prima a estirpare la razza umana che la sua letteratura. Chi le ama garantisce alle parole una sistemazione confortante quanto meno in un trattato, non ne fa una tratta, perché poi si sa che dalle parole alle persone c’è tutt’al più un enjambement.

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Redattori di mozioni, mi rivolgo a voi: per non cascare nei trabocchetti di chi Orwell l’ha studiato così bene da sapere utilizzare la neolingua per discolpare la propria e chiamare neolingua la lingua vecchiotta degli altri, leggete Orwell altrettanto bene, per poterlo difendere da chi corrompe ogni senso della realtà per boicottare ogni forma di dissenso motivato, e la prossima volta in Parlamento presentate qualcosa che avrebbe fatto luccicare gli occhi a Calamandrei.

Antonio Coda

Gruppo MAGOG