Mio nonno aveva cinque nomi riassunti nel primo, Michele, il solo che emerge dalla sua lapide. Ogni nome identificava un angelo: Michele, che significa “Chi è come Dio?”, è l’Arcangelo che schiaccia Lucifero e vince le milizie del male. Il padre di mio nonno non era un cabbalista, indottrinato in angelologia: partito da Comiso con la moglie, ha fatto il commerciante in Tunisia, poi è approdato in Francia. Mio nonno è nato a Reims, la città dove hanno incoronato i re, circondato dagli angeli. Nonostante il padre – che infine ha aperto una panetteria a Milano – non abbia mai imparato il francese, mio nonno aveva una venerazione per la Francia. L’Italia è un paese azzurro, da cui si desidera il resto del mondo; forse è qui che l’Arcangelo ha perso la sua corazza, il suo sangue è il mare.
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Durante la Seconda guerra, mio nonno si è arruolato nella Marina italiana insieme al fratello. I suoi cinque nomi lo hanno protetto: catturato in Grecia, è stato tradotto nel campo di Neuengamme, ad Amburgo. Nello stesso campo erano imprigionati il fratello di Nabokov, Sergei, esteta, brillante conversatore, omosessuale, beccato con l’amante in un castello austriaco, accusato di lavorare per i servizi inglesi, e Roland Malraux, il fratellastro di André. Roland faceva parte della resistenza francese, fu arrestato nel marzo del 1944. Poco prima dell’ingresso dell’Armata rossa, durante un bombardamento della Raf, Roland Malraux fu ucciso; mio nonno non mi ha mai parlato dei libri di André, che amo molto, ma spesso, negli ultimi tempi, penso a un possibile dialogo, nel campo tedesco, tra Michele e Roland. Il nonno preferiva frequentare i militari francesi, agiva favorendo scambi tra questi e i suoi commilitoni; mi ha detto, e rabbrividiva, di aver visto ammazzare diversi carabinieri, era inverno, ricordava, e tra legge e ghiaccio non s’intuiva capitale di pietà. Sergei Nabokov muore di stenti, per dissenteria nel gennaio del 1945, “era un uomo innocuo, sensibile, indifeso, che sapeva commuoversi…”: lo ricorda così Vladimir.
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Il nonno riuscì a scappare dal campo qualche settimana prima che fosse liberato, sfruttando il caos e la degenerazione: andò a Parigi a piedi, dove aveva dei parenti, dormendo nei prati. La Francia lo respinse: è sempre stato di indole pacifica, ed è morto dicendo “grazie” al vento, che forse aveva il gergo di una malandata memoria. Da Parigi raggiunse Milano, dove si era trasferito il padre. La madre era morta molti anni prima, sepolta a Mentone. Tre anni dopo la morte del fratellastro, André Malraux ne sposa la moglie, la pianista Marie-Madeleine Lioux: una fotografia la ritrae con John F. Kennedy, la sua bellezza è diafana, crudele, forse. Malraux amava scandagliare la contraddizione: l’unione con la vedova del fratellastro, già madre, è impura secondo la Bibbia.
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L’identità si forgia, sempre, attraverso un agente esterno, estraneo, a volte ostile. Per il resto della vita, di notte, mio nonno ha ascoltato la radio francese; suo figlio, mio padre, neanche maggiorenne ha scelto di andare in Pakistan, cercando, come tutti, la verità e la sua ombra.
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Il fratello di mio nonno, Rosario, più grande, era imbarcato sul sommergibile della Regia Marina “Tritone”. Il mezzo fu affondato dai canadesi il 21 febbraio del 1943: venticinque uomini si salvarono, gli altri, ventisei, divennero pasto per pesci, materia per coralli. Il 26 luglio del 1948 il Ministero della Marina invia a mio nonno un “Verbale di irreperibilità”: Rosario B., è scritto, “per fatto di guerra risulta scomparso in mare non essendo stato riconosciuto fra i militari dei quali fu legalmente accertata la morte o la prigionia”. Mio padre è morto in un posto prossimo al mare: nei disegni, da bambino, colorava l’acqua di nero, come una preveggenza. Ciò che sembra pacifico nasconde una rabbia oscura; creiamo qualcosa con l’ansia contraria di distruggere.
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Il nonno morì dimentico di tutto, anche dei suoi cinque nomi. Non ricordava il viso della moglie, ogni tanto parlava in francese, io gli ricordavo il figlio scomparso, il fratello – il mare dona ai corpi una eternità che la tomba dilapida. Svanì nella spirale della demenza senile. Tra straniero e ospite, tra dono e condanna, per lui, non c’era più differenza.
Davide Brullo
*In copertina: André Malraux nel 1930 fotografato da Germaine Krull