11 Giugno 2018

Matteo Salvini indossa il burqa dell’ovvio. Ovvero: il genio retorico del neo-Ministro spiegato in tre mosse

Un’amica mi gira un video, immediatamente ‘virale’. Il virile Matteo Salvini, neo-Ministro, a Brescia, venerdì scorso, ha demonizzato le “femministe a favore dell’Islam”, rintracciando in queste due parole – femministe e Islam – un patente contrasto: “o fai la femminista o ti metti il burqa”. La battuta a cielo aperto fin qui può starci. Poi scatta la battutaccia: “…magari qualcuna starebbe meglio con il burqa…”. Aureola di risate. Le femminucce intorno al virile, compresa il candidato sindaco, donna – che, per la cronaca, ha perso – si sbellicano. Dev’essere un riflesso condizionato: il vip (i politici sono come gli attori e le modelle) dice una scemenza e gli altri ridono, compiacendo, compiaciuti. La battuta ha qualcosa di triviale, di infelice. Qualcosa tipo, ‘se te la vuoi trombare, mettile un sacchetto in faccia’. In effetti, la battuta si commenta da sé. Quanto alla concezione sull’Islam, genericamente, vale come dire che gli ebrei hanno il naso aquilino, sono magri, pallidi e sporchi, e dominano il sistema bancario internazionale. Non penso che Salvini abbia letto Henry Corbin, Hafez, Rumi, Firdusi, Attar o Khayyam – saccheggerei, per i prossimi comizi, brani dalla poesia erotica persiana, è sublime – per farsi una idea di Islam, non avrà letto il Corano e neppure la voce ‘Islam’ su Wikipedia, non ne ha tempo. Non è questo il tempo, per il politico, di prendersi il tempo per leggere e aggiornare il proprio apparato linguistico. Il politico non può, istituzionalmente, ‘dire la verità’, perché la verità sui fatti – cosa e chi governa davvero gli atti di un Ministro – deve restare segreta. Il politico deve sorridere e metterci la faccia, le sfaccettature devono essere evitate, sono intese, dal popolo-bue – e ogni popolo è massa, condotta dai vaccari, anche io sono vacca, infine credersi ‘altro’ è una variante ben controllata dell’essere massa – come: debolezza, spirito di contraddizione, inquietudine, insicurezza. Il politico deve essere la versione rassicurante – cioè, forte – del cittadino comune. Piuttosto, è interessare analizzare la capacità retorica di Matteo Salvini – quella sì, l’ha studiata. I punti fondamentali sono tre, congiunti.

a) l’arte della tautologia: Salvini dice sempre le stesse cose, senza dire nulla di nuovo. L’esempio più clamoroso è il logo che lo distingue, pari ai motti araldici. Prima gli italiani. Beh, cosa c’è di più ovvio, chi potrebbe darsi alla politica, in Italia, berciando ‘Prima i tedeschi’ oppure ‘Prima i più ricchi?’. La tautologia ha alcune varianti: L’Italia agli italiani, ad esempio. A questo punto, Milano ai milanesi, Roma ai romani, Rimini ai riminesi.

b) Salvini dice quello che pensano tutti ma che nessuno ha il coraggio di dire. Questo è il suo genio retorico. Troppi maschi, in fondo, pensano che una racchia debba stare sotto un burqa – per altro, faccio notare l’affinità spirituale tra il burqa e la clausura, tra il velo nuziale e la grata che cela le monache. Tutti quando vedono un nero o un islamico hanno una connaturata – biologica – paura e pensano, ‘questo viene a rubarci il lavoro e a violentare le nostre donne’. Salvo che poi, la strage di famiglia la fa il vicino di casa. Salvini agisce sulla frustrazione e sulla codardia che affliggono l’uomo-massa, massacrato dalla vita.

c) Ribaltare la frittata in faccia al prossimo. Anche qui, la camaleontica retorica di Salvini è di bestiale efficacia. Lo accusano di essere un cretino razzista che gode nel vedere i migranti annegare come cani nel Mediterraneo? Lui risponde, reiteratamente, “Stop al business schifoso dell’immigrazione clandestina”. Per altro, una tautologia: quale politico vi direbbe mai ‘foraggiamo il business schifoso dell’immigrazione clandestina’? Con catodica nonchalance, Salvini passa dalle battutacce sull’altare di un comizio alla stola da Madre Teresa di Calcutta: “Da oggi anche l’Italia comincia a dire NO al traffico di esseri umani, NO al business dell’immigrazione clandestina. Il mio obiettivo è garantire una vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in Italia”. Se sventolano i cartelli, in corteo, con su scritto ‘Lega Salvini Assassini’, il nostro neo-Ministro sbava dalla goduria e risponde come Don Bosco: “Sapete amici? Ringrazio anche quelli che ci insultano perché mi danno ancora più forza e voglia di andare avanti e riprenderci il nostro splendido Paese!”. È l’arte, evangelica, subdola, di mostrare l’altra guancia per colpire più forte. Come a dire. Dici a uno ‘sei uno stronzo’. Lui s’incazza. Tu sorridi. ‘Beh, ho detto che sei un pezzo di cacca, la cacca è importante, concima il terreno’.

Con una certa eleganza, Matteo Salvini indossa il burqa dell’ovvio. Cosa dovremmo dirgli? Di leggere Emily Dickinson per perfezionare i suoi progetti di governo? Anche. Leggere una poesia della Dickinson durante un comizio, piuttosto che sparare l’ennesima, risaputa, idiozia. Variare lo schema, demente, dei politici che dicono sempre le solite cose consapevoli che siamo agnelli da tosare, carne elettorale al macello. Legga Dostoevskij in Europa. Porti le istanze rapaci di Buzzati, di Piovene, di Curzio Malaparte. Quanto ai migranti su Aquarius, come pesci in un acquario. Io penso solo una cosa. Che se vado da Italia a Ghana, da Italia a Mongolia, da Italia a Uruguay, non voglio che nessuno mi fermi. Che nessuno mi dia aiuto. Voglio essere libero di vivere la vita che posso. Senza freni. (d.b.)

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