04 Dicembre 2019

I libri più belli del nuovo millennio: “2666” (Roberto Bolaño), “Austerlitz” (W.G. Sebald), “Limonov” (Emmanuelle Carrère). E gli italiani? Ovvero: sull’ansia di classificare l’inclassificabile

La letteratura è inclassificabile – troppo complessa per una valutazione ‘atletica’. Troppo olimpica per le Olimpiadi. Insomma: se metti otto uomini – o otto cani o otto cavalli – davanti ai blocchi di partenza, indubitabilmente il primo è il primo, il più veloce, in quel contesto, in quelle condizioni. I grandi libri, piuttosto, non primeggiano – spostano l’asse delle valutazioni, rompono con le regole del gioco. Per questo, per dire, oggi direi che La morte di Virgilio è il mio romanzo prediletto, domani direi Moby Dick, fra tre giorni Guerra e pace e a volte ho pensato che fosse Meridiano di sangue il romanzo totale.

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La letteratura è inclassificabile ma ogni anno gli inserti culturali del resto del mondo ci propongono la loro classifica. Già. Siamo sotto Natale – l’acquisto librario levita – e la polemica (nessuno si accontenta delle opinioni di uno) alimenta il mercato. Quest’anno, poi, le classifiche dei migliori libri si aggiornano su un dato cronologicamente certo: i primi 20 anni dal nuovo millennio. Ergo: quali sono i libri più importanti del ventennio?

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Si sa, sono gli anglofoni e gli anglicizzati ad avere l’ansia prestazionale della classifica (cioè: la fooia di anglicizzare il resto del mondo). Che paradosso, i ‘fuori classe’ della letteratura – esempio: Rimbaud, Dickinson, Hölderlin – non vendevano, si disinteressavano del podio, concentrati su ben altro. La classifica più interessante, però, l’ha prodotta “El País”: in Spagna, almeno, elevano lo sguardo oltre gli angusti confini nazionali (di solito, gli spocchiosi repertori culturali anglofoni fanno una partita a ping pong tra Londra e New York).

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Ecco i “libri più importanti del XXI secolo” secondo il fatidico giornale spagnolo:

2666, Roberto Bolaño: “dopo Borges, è l’autore che ha influenzato maggiormente il nuovo modo di fare letteratura”.

Austerlitz, W.G. Sebald: “una formidabile rappresentazione del destino dell’uomo moderno, portato all’estremo, all’estremo sradicamento”.

La festa del Caprone, Mario Vargas Llosa: “un affresco impressionante sulla corruzione devastante della dittatura”.

Espiazione, Ian McEwan: “il talento minuzioso dello scrittore britannico erige un’opera tanto complessa quanto imprevedibile”.

Limonov, Emmanuel Carrère: “nasce un nuovo genere che mescola l’autobiografia con la spericolata narrazione di un personaggio anomalo, ipnotico”.

Il tuo volto domani, Javier Marías: “la trilogia concentrata su egoismo, verità, colpa”.

Tempo d’estate, J.M. Coetzee: “romanzo personale, intimo, che dimostra una audacia letteraria inedita”.

L’anno del pensiero magico, Joan Didion: “come ha detto l’autrice, ‘è il mio libro più doloroso, uno sprofondare’”.

Sulla strada, Cormac McCarthy: “un padre, il figlio, la catastrofe nucleare, la lotta per sopravvivere”.

Tempo di seconda mano, Svjatlana Aleksievič: “dopo il conseguimento del Nobel per la letteratura, molti lettori scoprirono la forza di un’opera che sta a metà tra inchiesta e storia, giornalismo e narrazione”.

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Gli spagnoli hanno due meriti e un demerito. Non parlano solo di sé. Sono quietamente tradizionalisti. Nelle zone più basse della classifica appaiono scrittori canonizzati come Kazuo Ishiguro, Philip Roth, Haruki Murakami, Richard Ford, Jonathan Franzen, Martin Amis, Margaret Atwood, Michel Houellebecq. Insomma, la fiera dell’ovvio e del buon senso. Il demerito va di conseguenza: il ‘nuovo’ fatica ad affiorare; comunque, non ci sono scrittori, chessò, vietnamiti, coreani, delle Samoa. Vincono sempre gli autori dei paesi forti. L’Italia, in questo caso, è al quarto mondo culturale: romanzi italiani non ci sono.

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Gli italiani, eventualmente, li metto io. Un poco a caso. Nell’ambito della poesia, vanno letti, assolutamente, Francesca Serragnoli, Federico Italiano, Alessandro Ceni, Andrea Ponso: le rare opere che hanno pubblicato in questo ventennio sono decisive. Il romanzo lo capisco meno, ma capisco che sono importanti Le cose semplici (Luca Doninelli), Ultimo parallelo (Filippo Tuena), i libri di Andrea Tarabbia, quelli di Gian Ruggero Manzoni, Louise (Eliana Bouchard). Per me, fu un evento la pubblicazione, come I confini dell’ombra, nel 2006, dei romanzi di Alessandro Spina, grande scrittore e grande amico di Cristina Campo. Il resto, ditelo voi. (d.b.)

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