Partiamo con la solita frase? Eccola. Se fossimo in un altro paese, sulla sua vita ci costruirebbero un museo. Il museo, in realtà, c’è. Nella casa privata di un ex insegnante di educazione fisica, alto, pacifico, cordiale, già presidente del Centro ‘Carl Gustav Jung’, a Riccione. Marco Travaglini ha votato la sua vita a ricostruire la vita dello zio. Lo zio si chiama Alberto Spadolini e di lui il nipote ha ricordi cangianti. Quando veniva in Riviera, lasciando l’abitazione a Parigi, lo scorazzava sul suo bolide, ostentando sicurezza, ottimi vestiti, viso macho e un marcato accento francese. Poi lo zio di Parigi muore. E comincia il mistero. Spadolini, infatti, “muore a Parigi il 17 dicembre” del 1972 ma “la famiglia viene avvertita con tre giorni di ritardo. Nel frattempo spariscono dalla sua abitazione, al 78 degli Champs Elysées, documenti, fotografie, libri, dipinti”. Travaglini comincia la sua ricerca per caso. Trova un baule a casa delle zie, marchigiane. Lo apre. Eruttano cimeli. Lo zio si scopre essere un protagonista assoluto del Novecento. Lo chiamavano ‘Spadò’. A quel punto, Travaglini si inabissa nella vita dello zio. Gli studi di Travaglini, accompagnati da eventi bibliografici (ad esempio, Bolero-Spadò, 2009 e Spadò il danzatore nudo, 2012), durano dodici anni. Quest’anno, in coincidenza con i 110 anni dalla nascita di Spadolini – il 19 dicembre, ad Ancona – il primo risultato: la cronologia dell’eccentrico zio. Che a Roma, negli anni Venti, stringe amicizia con Roberto Rossellini, Marinetti e De Chirico, ma soprattutto pratica come aiuto scenografo al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia. Nel 1924 è “a Gardone Riviera, accanto a Gabriele d’Annunzio di cui diventa allievo ed amico”, ma la sua carriera ha una svolta nei primi anni Trenta quando, a Parigi, bello come un Apollo e dal fisico perfetto, trova la via della danza. Pare essere un danzatore eccellente, che strappa i sospiri di Marlene Dietrich e i convinti stornelli di Paul Valéry. Soprattutto, ‘Spadò’ si rivela un inesorabile Casanova: fa parlare l’amorazzo travolgente con Josèphine Baker, sua compagna di palco, e l’infatuazione verso l’italiano di Dora Maar (cosa che scatena la gelosia di quel torello di Picasso). Noto per il fisico selvaggio – in immagini dell’epoca è raffigurato al fianco di Nijinsky – Spadolini ghermisce la moglie del regista Jean Renoir, Catherine Hessling, dando vita a una memorabile fuga d’amore. Amico di tutti i divi di allora, soprattutto di Max Jacob e del principe Feliks Jusupov – l’aristocratico russo che mandò all’altro mondo Rasputin: Travaglini conserva sfizione cartoline tra i due – Spadolini emigra a New York dove incide una manciata di dischi e si trasferisce a Stoccolma, dove ha successo come pittore (attività, per altro, che negli anni Sessanta lo porta al Grand Hotel di Rimini, quello eternato da Federico Fellini, di cui decora la sala da ballo), mentre a Parigi torna a esibirsi con Edith Piaf e a lavorare per il cinema, con Jean Marais e Jean Gabin. Più interessante quanto Travaglini scopre della vita enigmatica di ‘Spadò’. Nel 1939 è contattato “per entrare nei servizi segreti francesi” e per questa ‘missione’, probabilmente, lo troviamo, ballerino entusiasta, nel settembre del 1940, all’Admiralspalast di Berlino, per La vedova allegra: “fra gli spettatori Adolf Hitler e i massimi gerarchi nazisti”. La tournée tedesca – con evidenti intenti di spionaggio – prosegue per tutto il 1941, con un certo successo. A Parigi, intanto, dà rifugio ad alcuni amici “di origine ebraica, fra cui Alex Wolfson”. In Italia scoprono fuggevolmente ‘Spadò’ nel dopoguerra, quando il ballerino-cantante-scenografo-pittore-agente segreto è nei teatri insieme a Walter Chiari e a Marisa Maresca con Se vi bacia Lola. Poi lui torna a fare il giramondo, con base parigina: Buenos Aires, Stati Uniti, Copenaghen. Con gli Usa, probabilmente, torna a ‘giocare’ alla spia. Nel 1954, infatti, troviamo l’artista “in Viet-Nam mentre infuria la battaglia di Diem-Biem-Fu”, poi fa spettacoli a Saigon, e lì, insieme all’ambasciatore americano e ai suoi delegati, lavora a “un progetto di cooperazione e sviluppo”. Insomma, ‘Spadò’ ha valicato il Novecento vivendo una vita sopra le righe, che ancora reca misteri: che documenti ‘segreti’ era necessario far sparire dal suo appartamento parigino, dopo la morte? La vita di ‘Spadò’ ha sedotto gli editori: nel 2015, per Castelvecchi, Ignazio Gori ha firmato Alberto Spadolini. Danzatore, pittore, agente segreto. Un centone di inesattezze, secondo Travaglini, custode della memoria dello zio, ma soprattutto segugio capace di scovare documenti storici importanti e di ottenere il plauso di autorità internazionali (tra gli altri, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la principessa Carline di Monaco e il fu Presidente francese Hollande). Il prossimo passo dopo la pubblicazione di questa sontuosa Cronologia? Una romanzo che narra la vita di Spadolini. Travaglini l’ha già pronto, lo sta facendo leggere in giro. Non è stato difficile. Quella di Spadolini, in effetti, è stata una vita da romanzo.