Julian Assange ha la barba da guru, un profilo evidentemente volitivo, sembra uscito da un racconto di William Gibson, è già stato un eroe da film – in Il quinto potere aveva il viso di Benedict Cumberbatch, già volto del nuovo Sherlock Holmes, l’investigatore privato che usa metodi al di là della norma. Possibile che siano tutti fascinosi i ‘pirati’ di oggi? Il vero enigma è capire chi c’è alle spalle di Assange.
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A chi non piace Julian Assange? Abbiamo un’indole verso l’anormale perché ci sentiamo unici; adoriamo il pirata perché la legge ci pare una costrizione, non indaga la nostra anima ebete e abissale; ci piace il fuorilegge perché vorremmo che ci fosse permesso tutto, superiori al giudizio altrui.
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Fatta la tara alla tivù contano un paio di cose. Intanto. Non santifichiamo il santone di WikiLeaks. I veri santi sono quelli che, nel grumo della propria umiltà, dal cuore della cella, creano una forma che prima non c’era. E la donano a noi, per ripararci alla sua ombra. Un quadro. Una sinfonia. Una scultura. Un libro. Tutto – il mondo, la cronaca, i fatti, l’uomo – passa, l’arte è il resto, ciò che resta, la nostra eredità. Le informazioni di WikiLeaks sono utili, eventualmente, per l’oggi; le Elegie duinesi sono un raggiungimento eterno.
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Il giornalismo, come si sa, è fatto per metà di ciò che si decide di non scrivere, che si ritiene di non dover divulgare. Il segreto è necessario per la sicurezza pubblica. Da quando siamo esuli da Eden non si va in giro nudi, a mostrar le vergogne, ma vestiti di tutto punto, coperti. Questo è un dato da mettere a lato: se una informazione potrebbe porre in rischio o sotto scacco un Paese, meglio non divulgarla. Non è vero, cioè, che va detto tutto: va detto il necessario. Esempio: che Silvio Berlusconi, stando ai documenti di WikiLeaks, sia stato considerato dall’ambasciata americana a Roma un capo di Stato “incapace, vanitoso, inefficace” e che Putin fu definito dagli ambasciatori americani un “maschio dominante” è pettegolezzo. Che alcuni video, invece, abbiano dimostrato che elicotteri Apache statunitensi, in Iraq, hanno falciato e ucciso civili iracheni è testimonianza necessaria, d’interesse assoluto. In questo caso, che scoperta, non bisogna perseguire Assange ma quegli assassini.
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Il colpevole non è chi divulga, illegalmente, documenti che mostrano le attività illecite di un potente, ma il potente – o il vassallo o il valvassino: visto che la colpa è per tutti, grandi & piccoli – che compie quelle attività illecite.
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Per un attimo il Presidente Trump è stato un fan di Assange, poi ha cambiato idea. L’editoriale del New Yorker ci avvisa intorno a Julian Assange versus The Trump Administration; secondo il Guardian, in ogni caso, Assange non dovrebbe essere consegnato alle fauci statunitensi. Al vetriolo il commento del Telegraph: “Finalmente Julian Assange, l’utile idiota, il pagliaccio della sinistra, deve rispondere delle sue azioni”.
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La vita non è il cinema e Julian Assange non è il Neo di Matrix: durante gli anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, chissà, forse ha scritto un romanzo o un poema. Lo leggeremo volentieri. (d.b.)