Hong Kong. “A Torino conoscevo un vecchio artigiano restauratore di armadi laccati e doratore di grandi cornici del Settecento. Mi voleva bene e mi diceva: “Architetto. Quando non sa più cosa fare, ci metta uno specchio. Va sempre bene”. Io sorridevo. Adesso, dopo più o meno cinquant’anni, dico a me stesso: “Ettore. Quando non sai più che cosa fare, mettici un albero. Va sempre bene”.
Le parole – balzate alla mente in un momento dell’anno in cui 7 italiani su 10 s’affrettano a ritirar fuori il loro svettante e meraviglioso albero di plastica, pronto all’addobbo – sono di Ettore Sottsass, architetto, urbanista, designer, pittore e, non ultimo, anche viaggiatore e fotografo.
E sono la didascalia di una foto scattata dallo stesso architetto, che ritrae un alberello dalle foglie lunghe e appuntite come spade, al centro di un piccolo cortile dove muri e pavimento sono azzurri.
La stessa foto si trova nella copertina azzurra del piccolo volume Adelphi “Foto dal finestrino”, che raduna testi e scatti di una rubrica che Sottsass teneva su Domus negli anni 2003-2006, da un’idea di Stefano Boeri.
Appena ventisei scatti scortati da appunti, riflessioni, considerazioni ora amare ora ironiche di un eterno viaggiatore, del pensiero prima ancora che dello spazio fisico.
Quando si viaggia, è quasi inevitabile toccare il rapporto con il tempo, dominato dal senso della precarietà. E di fronte ad un edificio costruito da Le Corbusier in India, l’architetto appunta che “non c’è idea, per generosa che sia, capace di resistere al tempo”.
Eppure, lo sguardo dal finestrino di Sottsass – metaforicamente – non è quello rivolto in avanti, quello di chi osserva mentre il treno in corsa divora velocemente il paesaggio; è quello invece di chi guarda il finestrino seduto di spalle rispetto all’andatura del treno, che gli permette quindi di avere una visione più ampia del paesaggio, scrutato con tempi ben più dilatati e generosi.
Sono parole, le sue, che nascono infatti dalla meditazione, seppure spuntate spesso in maniera estemporanea da un dettaglio, da un particolare apparentemente trascurabile scorto dall’insieme.
Per questo, tra le ventisei fotografie, in copertina troviamo proprio un albero, ben piantato a terra, in uno spazio intimo, e però aperto al cielo.
A pagina 63, una domanda, quasi pronunciata sottovoce: “Non sarebbe bello se anche gli ‘architetti’ avessero qualche sapienza profonda su quello che c’è di vago, nascosto, consolante, prezioso sul pianeta, su quello che si muove e vive per donarlo a noi che navighiamo sul mare lontano della vita?”.
A fianco, la foto di un signore e una signora di una certa età, sorridenti.
Elena Paparelli