
Scipione, il pittore che con 10 poesie cambiò la letteratura italiana
Cultura generale
Andrea Caterini
In Europa Hilda Hilst è passata per fraintendimento erotico. Gallimard la elogia come “uno dei più importanti scrittori brasiliani contemporanei, insieme a Clarice Lispector e a João Guimarães Rosa” per pubblicarne, però, come L’Obscenè Madame D e i Contes sarcastiques, soltanto i romanzi erotici, o meglio, “osceni”. Così opera Sonzogno, che nel 1992 traduce, con rapinosa rapidità (era uscito due anni prima), Il quaderno rosa di Lori Lamby, installandolo nella collana “I libri dell’amore” tra Il delta di Venere di Anaïs Nin, Le undicimila verghe di Apollinaire, La filosofia nel boudoir del Divin Marchese, Emmanuelle della Arsan. In realtà, la ‘tetralogia oscena’, elaborata dal 1982 al 1990, è porzione infima dell’opera della Hilst, che usa l’osceno per inscenare la rivolta dei costumi, per additare il disastro delle convenzioni sociali, con cultura sopraffina (i riferimenti a Bataille e a Suor Juana Inés de la Cruz).
A causa del frainteso, la Hilst è presto scomparsa dal gorgo editoriale italiano. Peccato. In realtà, Hilda de Almeida Prado Hilst, classe 1930, figlia di Apolônio de Almeida Prado Hilst, ascendenze alsaziane, grossa proprietà di caffè, diagnosi di paranoia schizofrenica che lo allontana presto dalla famiglia, è tra i più importanti poeti brasiliani del secolo scorso. Pubblicò il primo libro, Presságio, nel 1950, mentre studiava giurisprudenza a São Paulo. Anni dopo, la lettura di Nikos Kazantzakis, in particolare di Rapporto al Greco, la convince a darsi interamente alla vita creativa, mollando la città e i suoi dettami culturali. Potere della letteratura, in grado di inaugurare capitali conversioni.
Hilda Hilst, trentenne, si ritira nella campagna di Campinas, dove la madre ha una hacienda. Quel luogo diventa il raduno di artisti anticonvenzionali, alcova di una sorta di ribellismo estetico: l’attività letteraria della Hilst, poliedrica, esagerata, svaria tra poesia, romanzo, canzone colta, teatro. Reagisce al governo militare brasiliano con un’opera eccedente, inafferrabile, che mescola “inquietudine metafisica e invenzione letteraria”. Lotta per la libertà femminile – difendendo, tra l’altro, le ragioni dell’alta lussuria – da par suo: odiava che la etichettassero “poetessa”, soy poeta, urlò, un giorno, al cafè Mappin di São Paulo, ribadendo la propria sapienza, poco prima che vada in scena un suo lavoro. “Sfidava la morale corrente”, ricordano gli amici. Da qui, tra l’altro, l’ossessione per il mito del labirinto, incarnato da una Arianna autarchica, che doma Dioniso e pretende di essere amata assecondando i suoi ritmi.
Morì nel 2004, Hilda; l’amica Clarice Lispector se ne era andata qualche decennio prima. Entrambe, manipolano la letteratura fino all’estremo tabù, per estorcerlo dalla testa di bue del tempo. “Maestra dell’avanguardia”, l’hanno detta negli Stati Uniti: la casa editrice Melville House la ha pubblicata come With my Dog-Eyes. “I suoi libri sono rimasti a lungo intradotti a causa della loro natura formale, radicale”. Paradosso: questo accade a chi affina l’arte fino al miracolo, a chi esplora il linguaggio fino al punto primo, incurante della fama.
***
I
Vita dell’anima:
vagabondaggio tra case e paesaggi
cercandomi, mio volto.
Ripercorro le macerie del pomeriggio
foglie di bronzo, radici, gusci
carte di terra, inchiostro tra gli alberi
nicchie dove ci confessiamo, piazze.
Ho controllato i cani. Non gli stessi. Altri
retti da uguale destino, moribondi, tristi,
noi due, mio amore-odio, attraversiamo
cenere e muri predoni, la corrida della vita.
Ho cercato la luce e l’amore. Eletta, attenta
come chi cerca una bocca ai confini della sete.
Erranza tra le nostre costruzioni, mattoni,
palazzi, giorni gonfi di sabbia.
Ciò che ho trovato lo confesso ora:
l’altro, il senza volto. Brutale. Cieco.
L’architetto di queste trappole.
*
VIII
Ho pensato:
potrei cucire
steli di compassione
corolle di carità
fiato intrecciato a nostalgia
nella rete del cuore
non sentieri più
il tuo nome ostile.
Ho pensato:
se disfo
ciò che stavo tessendo
resterebbe il mio nome
amore nella tua eternità.
Infine, ho cucito
astri e vitigni
passione scarlatta e d’oro
ho esaurito i punti
e raggomitolata nella fiamma
ti attendo alle porte della città.
*
XII
Cimitero di colombi
sotto le acque
vive acque sulla cenere
avanzi di ossa e negligenze
della mia vita, della tua.
Un tratto di muro
tra le edere
piloni che svettano
nel cielo
indecifrabili avanzi
della mia vita, della tua.
Un cerchio di sangue
luna ferita dalle unghie
di un noi dal covo oscuro.
Nel nostro abisso
soltanto sole e miele.
*
XXV
Ombra e insensatezza
è ciò che mi assale
quando sono sonnambula
ho orientato i miei piedi al tuo cammino.
Distorsione di luce e lillà
lagune viola, voci
che vengono da altrove, vive
mi hanno detto che il tuo passo
era la luce del mio, meritato
perché tra lotta e solitudine ho passato
tutta la mia vita.
Ma so che le palme del martirio
brillano
brune
i laghi della nudità e del sangue
viva la mia voce
per maledire i nomi.
*
Disordine incollato alla tua bocca.
Il mio desiderio è vasto.
L’incomprimibile si fa ordine.
Sbavo dalla tua bocca, sconnessa
ardua
costruisco illusioni e ti esamino con avidità
come se dovessi morire incollato alla mia bocca.
Come se fosse una nascita
tu, giorno magnanimo,
ti sorseggio sull’estremo lembo dell’alba.
*
Ode discontinua e remota per flauto e oboe di Arianna rivolta a Dioniso
I
Che sia così è un bene, Dioniso: non venire.
Voce e ciuffi di vento
delle cose di fuori
suppongo appena
che tu sia dentro
regale voce del vento
dei pioppeti di fuori
non li ascolterò mai. Attento
il mio orecchio ode
la summa del tuo canto. Non venire, Dioniso.
Meglio sognare la tua maldicenza
pensando: domani, sì, verrà.
E il domani sarà ricchezza:
ogni notte, io, Arianna, predispongo
con aromi il corpo. E ogni notte il verbo
rende saggia la tua assenza.
II
Perché tu sai che poesia
è la mia vita segreta. Tu sai, Dioniso,
che amandoti, al tuo fianco,
prima di essere donna sono, intera, poeta.
Che il tuo corpo esiste finché nel mio
esiste il canto. Il mio corpo, Dioniso,
è materia che muove il tuo grande corpo
benché tu mi veda ansimante, piegata dai lamenti
ogni mattino mi dici addio.
III
La mia Casa, guardiana del corpo
protettrice di tutti i miei roghi.
Trasmuta le parole
in passione e veemenza
oceano d’argento la mia bocca
grido alla Casa che esisto solo
per sorseggiare
la mia Casa, Dioniso, ti rimpiange
mi dice di dirti così:
A una donna che canta al sole
sonora, multipla, argonauta
perché rifiuti l’amore e la presenza?
IV
Poiché ti amo
dovresti fermarti
un istante
come fanno i passanti
quando vedono una petunia
o una gradinata di gerani.
Poiché ti amo
dovrebbe apparire ai tuoi occhi
l’altra Arianna
non quella che ti loda
ad ogni verso
l’altra – il contrario
della tua pace
scudo e crudeltà ad ogni gesto.
Poiché ti amo, Dioniso,
mi faccio simile e simultanea
esatta e adolescente
per questo forse
non puoi fare altro che odiarmi.
Hilda Hilst