17 Maggio 2023

Una giornata particolare. La spada, la croce e l’impazzimento collettivo

Di recente è andata in scena a Roma la spettacolare visita del tragicomico Zelensky, come al solito vestito in costume paramilitare, accolto con gran cerimoniale, fra titaniche misure di sicurezza, con balle di cannone sparate in suo onore dai vertici politici e istituzionali, a cominciare dall’inascoltabile Mattarella che ha definito “ignobile pratica” il tentativo dei russi di salvare (voglio sperare) i bambini dagli orrori della guerra. Nobile è invece la pratica di sterminarli direttamente sul posto, i bambini, magari con armi made in Italy, com’è avvenuto nello Yemen. Com’è avvenuto in Irak. Come avvenne ai tempi dell’allargamento della guerra indocinese dal Vietnam alla Cambogia, con la direttiva del futuro premio Nobel per la pace Henry Kissinger: “Qualunque cosa voli contro qualunque cosa si muova”. Penso fosse difficile impedire di muoversi ai bambini dei villaggi cambogiani, perché – com’è noto – i bambini hanno l’argento vivo addosso. E il napalm, e il fosforo, e i pesticidi defolianti. Comunque, dai quattrocentomila agli ottocentomila untermensch non si mossero più. Solo coi bombardamenti sulla Cambogia. Tanto per fare qualche esempio di terrorismo imperiale. Comunque, presidente Mattarella, lei che ha il culto della memoria, non dimentichi la storia: inquietante sarebbe stata la “deportazione” dei bambini in Germania, visti i precedenti. Forse devono averle raccontato, sin dalla più tenera infanzia, che “i russi mangiano i bambini”. Purtroppo è falso. Vero è che l’Occidente ne ha digeriti milioni.

Insomma, certe sparate senz’arte e di parte mi hanno assordato e generato un tale senso di pena e disgusto da cercare consolazione con la lettura di qualche pagina del De Monarchia, poi da indurmi ad aggiungere qualcosa a quanto già scrissi per Pangea a proposito della tragedia che il cosiddetto Occidente, ossia gli Stati Uniti e i suoi stati più o meno vassalli, ha voluto mettere in scena in Ukraina (per ora). Da quando ne scrissi la prima ed unica volta, in quella regione del mondo sono passati a miglior vita un numero spaventoso di appartenenti alla famiglia umana. Centinaia di migliaia di giovani soldati sono stati immolati. Mi sono ricordato l’accusa che all’inizio della “guerra civile europea” un’ebrea polacca di nome Rosa Luxemburg rivolse ai socialdemocratici (oggi si chiamano progressisti), l’accusa di aver stravolto il motto “proletari di tutto il mondo, unitevi!”, con il “proletari di tutto il mondo, tagliatevi la gola!”. Un fiume di lacrime e sangue fraterno è stato versato, da far tracimare il Flegetonte.

Con la cento volte annunciata offensiva ukraina, si promette di aprire le cateratte infernali che travolgeranno i russi. La parola d’ordine è: vincere! E vinceremo! assicura Zelensky. Questo ci garantiscono i mezzi di propaganda di massa. Questo annunciano le grandi manovre dell’esercito della salvezza o libera stampa, coi generali dell’Ordine a sparare cazzate, perlopiù vigliaccamente, cioè dai loro salotti televisivi trasformati in sala operazioni, dalle redazioni dei giornali oscurate (soprattutto i cervelli). Generali del giornalismo strapagati danno dei “mercenari” ai brutti ceffi della Brigata Wagner, nel mentre chiamano “contractors” i mercenari occidentali, anziché definirli per quel che sono, killers a pagamento. Ma, perlomeno, i mercenari della spada non solo uccidono, ma rischiano la pelle e muoiono. I mercenari della parola invece, in genere, non rischiano nulla. E poiché – accettando la lezione del Virgilio dantesco – ritengo che la frode spiaccia a Dio più della violenza, considero i giornalisti fraudolenti degni solo di stare moralmente più sotto, all’Inferno. È uno strazio sentirli incitare all’assalto le folle televisive: “Avanti, Zelensky!”. Un articolo di giornale titolava: “Patto di acciaio tra Zelensky e Meloni”. Mi è subito venuto da pensare ad un altro “patto di acciaio” che però non finì bene per quelli che lo avevano stretto.

Francisco Goya, Capricho No. 66: Allá va eso (Così van le cose)

Comunque, dopo Roma, Zelensky è volato a Berlino. A dir poco inquietante. Questi tedeschi! Sono passati poco più di trent’anni da quando Gorbaciov (magnanimo ma non lungimirante) acconsentì alla riunificazione della Germania, un paese che nell’ultimo conflitto mondiale aveva causato la morte di circa il 13% dell’intera popolazione russa. È passata solo una generazione e i panzer tedeschi sono ritornati a uccidere i russi. La Germania è seconda solo agli Stati Uniti in quanto a fornitura di armi. E le armi italiane sono ritornate a vendicare gli alpini spediti in Russia da Mussolini, con scarponi di tela a morire assiderati sui ghiacci della steppa. E le armi francesi a vendicare la decomposizione della Grande Armée nella Mosca in fiamme. Non si capisce bene cosa debba vendicare il ricchissimo premier indu che dirige il traffico d’armi a Downing Street 10, London, se non rivendicare il motto: “Banchieri di tutto il mondo, uniamoci contro gli oligarchi della concorrenza!”.

Il momento più alto (secondo me il più basso) della fiction romana è stato l’incontro tra il Papa e Zelensky. Questi ostentava sulla maglia uno stemma, il contrario della croce, cioè la spada. Si è seduto davanti a Francesco con una specie di taccuino dove presumo avesse elencato i punti della resa senza condizioni della Russia. O forse ha chiesto una scorta d’onore di guardie svizzere, da ostentare poi ad Aquisgrana, dove gli hanno consegnato il Premio Carlo Magno, altissimo riconoscimento simbolico ma solo argent de poche (cinquemila euro!). Quel che gli ha detto il Papa dev’essergli entrato da un orecchio e uscito dall’altro, senza lasciare traccia nella coscienza. Dubito che Zelensky sappia veramente cosa sia l’istituzione millenaria del papato. 

Che razza d’uomo è Zelensky? Forse non lo sa nemmeno lui. Mi fa l’impressione di un uomo che abbia molta paura. Il che è umano, ci mancherebbe. Chi non avrebbe paura. Dei russi? Macché. Io credo abbia ben più da temere dai fascisti e dagli ultranazionalisti ukraini. Questi lo minacciarono di morte appena eletto, perché seguisse la via della guerra contro l’Ukraina russofona, e non la ricerca della pace tra gli ukraini, come invece lo impegnava il programma elettorale e il mandato popolare. Sono gli stessi, questi fascisti, che hanno “estirpato” da tutte le biblioteche dell’Ukraina le opere degli autori russi, o russo-ukraini, come Bulgakov, come Gogol’, e tanti altri, mandandole al macero per comprarci, col miserabile ricavato, pallottole. Niente di buono può venire dall’odiato popolo nemico, questo il significato del demenziale atto simbolico.

Enzo Fontana

Gruppo MAGOG