“I miei scritti dall’Italia hanno quel non so che di speciale che si riesce a mettere solo nelle lettere d’amore” scriveva Ernest Hemingway. Ed è in Italia, giovane, giovanissimo quando arriva sulla sponda piemontese del lago Maggiore, si ferma a Stresa, nel Grand Hotel des Iles Borromées. Visito, con un pizzico di pudore femminile, la sontuosa camera dove ha soggiornato, scritto. Accarezzo con lo sguardo il lussuoso mobilio, la sua foto incorniciata sopra un tavolino. Il direttore dell’albergo mi dice che questa è la suite preferita di George Clooney. La numero 106. L’attore americano deve avere un debole per i laghi lombardi. O forse si tratta di un pellegrinaggio, un’ispirazione letteraria. Del resto, il cortocircuito fra vita e romanzo è quasi irresistibile, così come l’identificazione fra Hem e il protagonista del celebre A Farewell to arms (Addio alle armi, pubblicato nel 1929), Frederic Henry, innamorato della giovane infermiera Catherine Barkley. Sull’arioso terrazzo della camera che guarda il lago Maggiore, Hemingway ha scritto, infatti, parte del libro. Battendo i polpastrelli, rumorosamente, su una Corona n.3. L’amore. “Dio sa che non avevo voluto innamorarmi di lei” si legge nel celebre romanzo. “Non avevo voluto innamorarmi di nessuno. Ma Dio sa com’ero innamorato e giacqui sul letto nella stanza dell’ospedale di Milano e ogni genere di cose mi passò per la testa”.
Questi i sentimenti che affiorano alla mente di Frederic Henry, che su un letto d’ospedale militare – come lo scrittore ferito, nella notte dell’8 luglio 1918, dalle schegge di un proiettile di mortaio e da pallottole di mitraglia – si ritrova, improvvisamente, profondamente innamorato della bellissima infermiera Catherine Barkley – Agnes. Un intreccio di amore e morte che rievoca da vicino l’incontro fra il giovane scrittore Ernest Hemingway, appena diciannovenne, con la crocerossina Agnes von Kurowsky, di ventisei anni, all’ospedale della Croce Rossa vicino al Duomo, in via Cesare Cantù, 4, a Milano. Hemingway era già cronista del Kansas City Star quando si presenta volontario per andare al fronte, anche se viene escluso, per un difetto alla vista, dai reparti di combattimento e arruolato nei servizi di autoambulanza, sul versante italiano del conflitto. “Il giovane tenente americano passa in barca il confine con la Svizzera – scrive Fernanda Pivano nell’Introduzione ai Romanzi, ‘Meridiani’ Mondadori – vive in un’estasi di felicità una delle più grandi stagioni di amore letterario di tutti i tempi e vede morire di parto la splendida reincarnazione della dolce infermiera di Milano, dolce alla Kipling, dolce alla Hadley, dolce come erano gli “angeli del focolare” vagheggiati ancora in quegli anni del primo dopoguerra, resta un caposaldo delle invenzioni hemingwayane, magari autobiografico in certi momenti fino alla cronaca (a parte Caporetto che non ha mai visto)”.
Frederic Henry, infatti, dopo la disfatta, fugge dal fronte e raggiunge a Stresa al Grand Hotel des Iles Borromées, il maestoso albergo dal grande fascino, Catherine, che è in dolce attesa.“L’albergo era molto lussuoso. Percorsi i lunghi corridoi, scesi le ampie scale, attraversai i saloni fino al bar. Conoscevo il barman e mi sedetti su un alto sgabello e mangiai mandorle salate e patatine. Il Martini era fresco e pulito”. Il tenente e la crocerossina sono costretti ad abbandonare l’Italia e a fuggire in Svizzera, attraversando, in barca, il Verbano; il giovane è ricercato perché disertore. “Remai verso l’Isolabella e arrivammo sotto le muraglie che calano a picco nel lago profondo, vedemmo i pendii rocciosi cercarne il fondo nell’acqua limpida, e passammo lungo l’Isola dei Pescatori. Remai intorno all’Isola dei Pescatori. Sulla riva verso Pallanza barche stavano in secco e gente ritirava le reti”. La descrizione del lago Maggiore continua, poeticissima: “Poi il vento strappò le nubi così che apparve la luna e potei vedere dietro di noi la Castagnola e il lago bianco di onde, più indietro la luna sopra la neve delle montagne. Il lago si allargò: sulla sponda opposta, ai piedi delle montagne, vedemmo luci che attribuii a Luino. Una breccia a forma di cuneo si apriva tra le montagne e là doveva essere Luino. Se era davvero Luino avevamo camminato bene. Lasciai i remi. Mi sentivo stanchissimo”. Quindi l’arrivo a Brissago, sulla sponda destra del Maggiore, in Ticino. Ma il romanzo, d’amore e di guerra, ritrae la tragedia che si consuma, rapida, nelle ultime pagine del romanzo: la morte di Catherine e del bambino, in ospedale.
Anche nelle ultime pagine della vita dello scrittore è entrata l’Italia. Secondo i diari della moglie Mary– riporta Richard Owen, nel volume Hemingway e l’Italia, Donzelli – “la notte prima che si sparasse avevano iniziato a cantare una canzone che cantavano i gondolieri. Era una canzone che aveva imparato da Fernanda Pivano quando era a Cortina d’Ampezzo: ‘tutti mi chiamano bionda, ma bionda io non sono’”. Prima di togliersi la vita, Hemingway era ritornato al Grand Hotel des Iles Borromées, nell’ottobre del 1948, e aveva scritto nel libro delle firme: “An old client”, stavolta era vecchio davvero. Come vecchio era il suo amore.
Linda Terziroli