
“Essere amati è il grande privilegio”. Discorso sul Paradiso attraverso la poesia
Poesia
Vincenzo Gambardella
Esco a volte dai confini per sentirmi più vivo del solito. A volte accade. E se accade, è un bene. Aprire le finestre su mondi nuovi, di altri; sconosciuti esseri che incrociano le nostre vite magari giusto per il tempo di dirsi addio. Abbandonarsi dischiude i confini. Di conseguenza, celarsi è il rischio da evitare. Uscire dai confini non significa affatto eccedere. Rappresenta l’essenza stessa del vivere fino in fondo il reale. Ci si sente vivi, dunque. Si splende come stelle. Altrimenti schiavi dell’onda, della rappresentanza, di qualsiasi moda vagabonda; dell’onta.
Me ne vado a volte nei boschi o, di solito, per i selciati di qualche città. La sera, più spesso. E laggiù, per quelle strade lastricate sempre diverse, guardo crescere risate beffarde, spumeggiare giovani incoscienti, o morire amori appena nati. Tutto, nella notte, ha la sua ombra. Ci si riconosce, tra stranieri, in silenzio, nella camminata serale. Preludio al mio scrivere che si fa notte. Un modo per travalicare i confini, per nulla surrettizio.
Se potessi ‒ per dire ‒ me ne tornerei tutti i giorni ad Arona, sul lago Maggiore. Ma la mia scelta, per altro, l’ho fatta: è qui, tra libri da leggere e fogli da imbrattare. Nonostante quell’acqua enigmatica di lago, specialmente la sera, abbia un richiamo prepotente su di me. E mi manca già chi in quei luoghi mi ha dato tanto, fosse pur ormai uno sconosciuto. Eppure varcare i confini significa contraddirsi: ritornare nei luoghi amati, perché spropositati di bellezza. Mi troverete, dunque, in qualche città di provincia o per le strade di quella città di lago, che amo. La notte, ovviamente, dove i confini si spengono e si squagliano tra gli sguardi delle luci che brillano.
Non me ne sto fermo poiché conosco cosa significa amare e l’importanza del volersi bene.
Basta poco, alla fine, per cercarsi.
Mi troverete in quel luogo d’eccezioni e d’elezione, se mai vorrete. Nel frattempo io sconfino, poeta di contrabbando, varco il confine. Passo da una regione all’altra, da un sentimento a un altro, dal mio sguardo al tuo, che un giorno mi leggevi e, poi, magari, mi hai pure voluto incontrare. Ma i poeti si dissolvono in parole inquiete. Un giorno sono al di qua, l’indomani al di là. Non si stancano mai di dover affrontare il Minotauro…
Si esce dai confini per entrarne in altri. Per esempio il tuo volto, i tuoi occhi, un tuo nuovo abbraccio. Si entra in qualche giardino o cortile, dapprima furtivi, poi colpiti, come da un fulmine che mancava da molto nella folgore della vita.
Si corre (come Pinocchio) per sentire il respiro esplodere nei polmoni; per raggiungere, fuggiaschi, nuovi luoghi del destino. Non occorre andare chissà dove. Alla fin fine basterebbe aprire un libro, avere l’avventatezza di farlo. O scrivere dei pensieri pensando a una donna, necessaria quanto i limiti che vorrai superare. E dunque si ritorna sempre all’amore, parola alchemica, sentimento che mai stanca e ti porta ad aspettare. Ma il poeta (lo ricordo), è l’alchimista fuori controllo, l’infante incantatore. Paradossalmente, ha bisogno di certezze, in un mondo che urla tutto il contrario. L’amore di certezze non ne ha, e perciò lo sfugge; perché è già stato ferito: ha giocato spesso tra i suoi confini, fino a sognare (lui solo) il sogno dei sogni: l’amata musa. Ferito da una musa che fu solo disincanto, ora egli vaga di soglia in soglia, esplorando confini nuovi. Non ha più tempo, se non per entrare nel labirinto, all’interno di qualche nuovo giardino; o nel pozzo del cortile che abita il tuo cuore, mio caro nuovo amore?
Giorgio Anelli
*In copertina: donna di spalle disegnata da Eugène Delacroix, s.d.