16 Giugno 2020

“Sono un vecchio anarchico e credo che lo Stato sia un male”. Mario Vargas Llosa dialoga con Borges

Il primo Nobel sudamericano avrebbe dovuto andare a Jorge Luis Borges, sappiamo come è andata, cioè che andò a Gabriela Mistral prima e a Miguel Ángel Asturias poi, ci sono certi scrittori per cui la Svezia, francamente, non è degna. Dieci anni fa il Nobel fu assegnato a Mario Vargas Llosa, peruviano, altro ‘carattere’ politico rispetto a Borges – fu candidato alle presidenziali del suo Paese nel 1990 –, altra poetica, è tra i grandi narratori viventi. Per festeggiare l’evento, Vargas Llosa – classe 1936 – pubblica con Alfaguara Medio siglo con Borges, che, immagino, sarà molto presto tradotto in Italia. Nel frattempo, pubblico un pezzo del dialogo che Vargas Llosa ha tenuto con Borges, era il 1981 (lo stesso anno, scirocco letterario, in cui Liliana Heker, la grande scrittrice argentina, fa un’altra intervista a JLB, che sono riuscito a far tradurre per Castelvecchi).

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Nella giustificazione al libro, che raccoglie “articoli, conferenze, recensioni e appunti che testimoniano mezzo secolo di letture di un autore che è stato per me fonte di un inesauribile piacere intellettuale”, Vargas Llosa dice qualcosa di non banale (il virgolettato tradotto lo è). “Ho sempre letto Borges non soltanto con l’esaltazione che suscita un grande scrittore, ma con una nostalgia ineffabile, con la sensazione che qualcosa di quel suo universo abbagliante mi sarà sempre negato, nonostante la mia ammirazione”. Da scrittore si ama uno scrittore proprio perché è agli antipodi, perché la sua originalità è anomala, infine irraggiungibile. Di un grande artista si ama il fatto che rispecchia i nostri limiti. Nessun artista cerca un suo pari, un omologo: si anela al diverso, all’assolutamente altro. La scrittura non educa né consola: devia, percuote, turba.

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In ogni caso, un grande scrittore non chiede conferme, si confronta con uno più grande – non ha paura della vertigine, e l’autentico narcisismo non ammette portaborse né lacchè.

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Certo, siamo alle briciole delle briciole dei titani. Intendo: anche i pezzi d’intonaco di una basilica letteraria ci paiono oro, icone, roba da mettere sotto teca. Così, gli appunti casuali, le interviste, le lettere di grandi autori di un dì. Divoriamo i frammenti per incapacità di incauto, di grandezza. Viviamo in un cimitero di dinosauri. Non è che manchino le ‘grandi opere’: non ci sono occhi – incide più un rutto televisivo che la nuova Iliade. Ma il piagnisteo, nell’orda del caos, è schifoso. Dicevo, a una rara amica: non è più il tempo di ‘essere più bravi di’; conosco poeti, nascosti nel loro operare da forgiatori di spade, che starebbero in qualsiasi canone – ma non vi sono. E allora? A noi è dato porgere il fuoco – piccola fiamma che si confonde tra pollice e mignolo – a chi verrà, facendogli trovare un alfabeto raffinato, è sufficiente, che altra grazia possiamo attendere? Quindi, ha senso tuffarci in una antica maestria, in un addestramento. (d.b.)

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Se dovessi fare il nome di uno scrittore in lingua spagnola del nostro tempo che lascerà un segno profondo nella letteratura, citerei il poeta, narratore, saggista argentino che condivide il nome con Graciela Borges, cioè Jorge Luis Borges. La manciata di libri che ha scritto sono concisi, perfetti, come un anello, pare che non manchi nulla, che nulla sia superfluo e continuano ad avere una enorme influenza su chi scrive, in qualsiasi lingua. Le sue storie fantastiche, che accadano nella Pampa o a Buenos Aires, in Cina o a Londra, in luoghi irreali o veritieri, denotano la stessa potente immaginazione, la stessa formidabile cultura dei suoi saggi sul tempo, sul linguaggio dei Vichinghi… Ma l’erudizione di Borges non ha nulla di accademico, è sempre qualcosa di insolito, di brillante, di divertente, un’avventura dello spirito.

L’intervista che Borges mi ha concesso si è svolta nel suo modesto appartamento, nel centro di Buenos Aires, dove vive, insieme a un factotum che gli fa da guida da quando ha perso la vista, e un gatto, che chiama Beppo, perché così, mi dice, si chiamava il gatto di un poeta inglese che ama: Lord Byron.

Ho visto che nella sua biblioteca non ci sono i suoi libri: come mai?

Ho molta cura della mia biblioteca. Chi sono io per stare insieme a Schopenhauer…

Non ci sono neanche i libri che hanno scritto su di lei…

Un professore di Mendoza pubblicò un libro, Borges, enigma y clave. L’ho letto per capire quale fosse la chiave dell’enigma. Non ne ho letti altri. Alicia Jurado ha scritto un libro su di me. L’ho ringraziata dicendole, “So che è un buon libro, ma l’argomento non mi interessa; o forse, mi interessa troppo, quindi non lo leggerò”.

È anni che volevo chiederle una cosa. Scrivo romanzi e mi ferisce sempre una sua frase, molto bella ma abbastanza offensiva per un romanziere, che dice più o meno coì: “Un romanzo è l’esperienza sconfortante di chi allunga per cinquecento pagine una cosa che può formulare in una frase”.

È un errore, un errore formulato per me. Per pigrizia. Per incompetenza.

Eppure lei è un grande lettore di romanzi…

…no, ne ho letti pochissimi.

Ma i romanzi compaiono spesso nelle sue opere.

Mi ha sconfitto Thackeray. Invece, mi piace Dickens.

Le piace Conrad…

È tra i pochi eccezionali, tra le rare eccezioni. Come Henry James, un grande narratore, un romanziere di altro calibro.

Ma tra gli autori per lei più importanti, un romanziere non c’è. Mi dica un poeta o un narratore o un saggista per lei decisivo.

Contano anche i racconti.

Certo.

Non credo che “Le mille e una notte” sia un romanzo, giusto? È una antologia infinita.

Il vantaggio del romanzo è che tutto può esserlo. Il romanzo è cannibale, ingoia tutti i generi.

Lei conosce l’origine della parola “cannibale”?

No…

Interessante. Caribe, che da caríbal e quindi caníbal, cannibale.

Quindi è una parola di origine latinoamericana…

Se toglie “latino”. Erano una tribù di indios, i caribe, parola indigena da cui viene il Calibano di Shakespeare.

Alcune sue dichiarazioni politiche mi lasciano perplesso, però quando parla del nazionalismo ha tutta la mia ammirazione. Credo che lei abbia parlato sempre con lucidità di questo tema.

Eppure l’ho sostenuto. Ho scritto dei bassifondi di Buenos Aires, dei duelli con il coltello, dei payadores… ho scritto milonghe… tutto è degno di entrare nella letteratura.

Io mi riferivo al nazionalismo politico…

Questo è un errore, perché se desideri una cosa rispetto a un’altra vuol dire che non la desideri realmente. Se desidero l’Inghilterra rispetto alla Francia sbaglio: dovrei volere entrambi i paesi, secondo le mie possibilità.

Ha fatto molte dichiarazioni contro le ostilità tra Argentina e Cile…

Dico di più. Pur essendo nipote e pronipote di militari e, più indietro, di conquistatori, non mi importa, sono pacifista. Credo che la guerra, in ogni caso, sia un crimine. Quand’anche ammettessimo una guerra ‘giusta’ essa spalancherebbe le porte a centinaia di altre, ingiustificate. Non mi ero reso conto di quanto Bertrand Russell, Gandhi, Romain Rolland avessero ragione a opporsi alla guerra – forse ci vuole più coraggio a opporsi a una guerra che a prendervi parte.

Qual è il regime politico ideale per Borges?

Sono un vecchio anarchico spenceriano e credo che lo Stato sia un male, ma al momento è un male necessario. Se fossi un dittatore, mi dimetterei tornando alla mia modestissima letteratura, perché non ho soluzioni da offrire. Sono una persona sconcertata, sfiduciata, come tutti i miei connazionali.

Ma si dice anarchico, un uomo che difende la sovranità dell’individuo contro lo Stato…

Certo, ma non ne siamo degni. Non credo che questo paese sia degno della democrazia o dell’anarchia. Forse potrebbe attuarsi in Giappone o nei paesi scandinavi. Qui le elezioni sarebbero un maleficio, non procurerebbero altro che l’ennesimo Frondizi o altri…

Quello che dice è in contrasto con le sue dichiarazioni sulla pace, sulla ferocia delle torture…

Sono dichiarazioni di ordine etico, inutili, in fondo, non aiutano nessuno. Possono giovare alla mia coscienza ma poco altro. Se fossi al governo, non saprei cosa fare, siamo in un vicolo cieco.

C’è un politico, oggi, che ammira?

Come si possono ammirare i politici? Sono persone che si impegnano ad accordarsi, a corrompere, a sorridere, a essere fotogeniche, e popolari.

Quali tipi umani ama Borges, allora? Gli avventurieri, forse…

Forse un tempo, ora non so. Forse singoli avventurieri, individui.

È felice del suo destino?

No non sono felice, ma con un altro destino sarei un’altra persona. Come dice Spinoza, “ogni cosa desidera la solitudine del proprio essere”. Insisto a essere Borges – non so perché.

Non ha nostalgia di cose che non ha fatto per aver scelto una vita puramente intellettuale?

No. Alla lunga, viviamo tutto ciò che è importante vivere.

Suppongo che ciò le abbia suggerito un grado di distacco dalle cose materiali. Lo si vede nella sua casa, lei vive praticamente come un monaco, la sua camera da letto pare la cella di un trappista, la sua austerità è estrema.

Il lusso mi pare volgare.

Cosa sono i soldi per lei?

Libri. Viaggi.

Ma… non ha mai lavorato per guadagnare? Non le interessa il denaro?

Pare che non riesca a fare soldi. Certo, la prosperità è preferibile all’indigenza, altrimenti non hai altro pensiero che il denaro. Se sei ricco puoi pensare ad altro. Non sono mai stato ricco. Lo furono, i miei avi: abbiamo perso molto, molto è stato confiscato, ma non credo che oggi abbia importanza.

Il suo interesse per le letterature nordiche, l’anglosassone ha a che fare con…

La nostalgia.

…il fatto che l’Argentina sia un paese quasi privo di passato.

Credo di sì. La nostalgia dell’Europa che un europeo non può sentire perché è spagnolo, inglese, francese, tedesco, italiano… La nostalgia forse è una delle nostre più grandi ricchezze.

Mario Vargas Llosa

*In copertina: Mario Vargas Llosa; la fotografia è tratta da qui

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