Un romanzo uscito negli Stati Uniti nel 1976 a cui mi sono avvicinato con parecchia diffidenza. D’altra parte, le premesse erano poco incoraggianti. State a sentire. Il libro di esordio di Ann Beattie, autrice di culto della scena letteraria americana, capofila della corrente minimalista, considerata una delle maestre della short story, vincitrice di prestigiosi premi letterari, presenza abituale sulle pagine dello snobbissimo “New Yorker”. Ai miei occhi tutte cose poco interessanti se non addirittura insopportabili. Da salvare mi sembrava solo il titolo del libro Gelide scene d’inverno, bellissimo.
Anche la lettura delle prime pagine pareva dare ragione ai miei timori. Al centro della storia la generazione di post-sessantottini che dopo il delirio rivoluzionario vive la stagione del riflusso. I soliti borghesucci di buona famiglia con troppi soldi che curano le proprie disillusioni guardandosi l’ombelico.
La trama è presto detta: il protagonista Charles, un trentenne borghese impiegato in un ufficio statale, ama in maniera ossessiva Laura, con la quale ha avuto una relazione ma lei ha preferito tornare dal marito, salvo poi cambiare idea e andare a vivere da sola. Anche la famiglia del nostro imbronciato eroe è tutta un programma, con una madre che dà i numeri e un patrigno anche lui un po’ suonato. L’atmosfera è quella del film Il grande freddo, roba vista e rivista mille volte ormai: e allora vai con la quotidianità ingrigita, le delusioni portate dall’età adulta, la vacuità della scena politica, il senso di morte indotto dal tempo che passa inesorabile; il tutto condito in sottofondo dall’ascolto di vecchie canzoni di Bob Dylan e dei Rolling Stones:
«Janis Joplin è morta. Perfino la vedova di Jim Morrison è morta».
Lo stile è quello tipico del minimalismo, qualunque cosa questo termine voglia dire, con dialoghi serrati, molte scene d’interni e descrizioni brevissime. E via così per 400 pagine, sai che allegria!
Quello che mi ha dato la forza di andare avanti nella lettura sono state le parole dell’autrice Ann Beattie che avevo letto tempo fa in un’intervista e che in realtà erano l’unico vero motivo che mi aveva spinto a comprare il libro:
«Io non leggo le opere di fantasia per cercarvi risposte. Io amo gli scrittori che sottendono delle domande. Davvero, la complessità è consolante. Presentare la vita come un puzzle e riconoscerla come tale».
Una riflessione che condivido parola per parola e che ha lavorato nella mia mente come un tarlo. E così, piano piano, il panorama davanti ai miei occhi ha incominciato a cambiare. Pagina dopo pagina, mi sono reso conto che il romanzo in apparenza così banale che stavo leggendo celava non poche qualità nascoste. Allora per prima cosa ho mandato a farsi friggere il minimalismo, poi ho fatto un bel falò con la maschera pubblica indossata dai vari personaggi, la controcultura, il riflusso e tutto il bric-à-brac ideologico sottinteso e gli ho dato fuoco; solo a quel punto ho scoperto quello che è il punto G di Gelide scene d’inverno.
Il vero protagonista al centro della storia non è l’America disillusa, che ha visto svanire l’ebbrezza visionaria degli anni Sessanta e di Woodstock e deve fare i conti con la propria desolata normalità, ma il mondo delle emozioni e dei sentimenti repressi. Quella ricchezza umana che tutti nascondiamo dentro di noi, un valore inestimabile che rende sopportabile la realtà, spesso grigia e in apparenza priva di senso.
L’amore di Charles per Laura vale mille volte di più delle tante parole sui mali della società e da solo può dare significato e slancio a una vita in apparenza arenata nella meschinità di ridicoli drammi quotidiani. Ancora una volta i valori autentici vanno cercati nel nostro intimo, lontano dagli slogan e dagli stereotipi. Tutto quello che ci fa faticare e soffrire, amori finiti, famiglie a pezzi, sconfitte sul lavoro, licenziamenti, può essere affrontato, e non dico superato ma almeno sopportato, solo se riusciamo a guardare dentro noi stessi e a trovare il tesoro nascosto in quel pozzo senza fondo che è il nostro animo.
Ricordo che negli anni tanto rimpianti dai protagonisti del romanzo furoreggiava lo slogan “Il personale è politico”, una autentica mostruosità ai miei occhi, ma che tanta fortuna ha avuto in quel periodo e i cui cascami continuano ancora oggi a fare danni. Be’ lasciatemelo dire: proprio leggendo Gelide scene d’inverno ci si rende conto, ammesso ce ne sia ancora bisogno, che il personale può fare benissimo a meno del politico perché è mille volte più ricco e profondo. Se poi avete voglia di diventare dei ribelli, benissimo! Siate ribelli, ma interiori.
Silvano Calzini
*In copertina: icastica immagine da “Il grande freddo”, il film di Lawrence Kasdan del 1983