11 Dicembre 2019

“Fare poesia e soprattutto vivere poesia”. Giorgio Colli, il pensatore “terribile”

A 40 anni dalla morte, Giorgio Colli si rivela il vero maestro, che illumina agghiacciando, che porta al senza compromessi.

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Così scrive nelle ultime pagine della Filosofia dell’espressione, il libro centrale, a cui affluiscono gli altri. “Il nostro è un secolo di anarchia filosofica, e in questa labilità c’è una lusinga, un pericoloso stimolo alla sfrenatezza. La tracotanza sta in agguato e a poco valgono le maschere”. Era il 1969 – oggi, piuttosto, è la sfrenata banalità: magari ci fosse la sfrenatezza, la lusinga verso il pericolo. Poco dopo: “Chi non ha sguardo per l’apparenza è incline alla calunnia. Il mondo è una festa della conoscenza – e oggi forse più che mai, nel periodo empedocleo in cui viviamo – e ovunque lo spettacolo, la manifestazione visibile della vita, celebra un trionfo”. Dal trionfo della vita ad eseguirne il nascosto – una ebbrezza che si sfata in enigma.

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Ritaglio l’aggettivo empedocleo. Nei quaderni raccolti come La ragione errabonda (Adelphi, 1982), un libro davvero remoto e astrale, un abbeveratoio per sfrenati, Colli torna su empedocleo con questo appunto (siamo nel 1966): “Ovunque lo spettacolo del mondo celebra il suo trionfo. È la grandezza del nostro tempo; per goderne occorre l’occhio del contemplatore, di uno che all’innata dote dello sguardo unisca il distacco del filosofo, e sdegni di intervenirvi”. Nello sdegno – che è poi amore fino all’ira, lo sdegnare e il non essere degni – vedo un carattere. Il trionfo, ora, si è rivelato tonfo.

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Empedocle, ultimo dei sapienti, pensatore tra i “terribili” – nel senso, dice Colli, che “nessuno, forse, era capace di scoprire a quali fini mirassero le loro parole”, e che senso di libertà e di infinito in questo inutile del parlare, un lievito per l’enigma, cioè per la lirica –, eroe – sempre Colli – della “poesia filosofica”, ha lietamente ossessionato il divo Giorgio. “Empedocle è considerato da Colli come uno dei maggiori rappresentanti della Grecia più antica”, scrive Federica Montevecchi, biografa del pensatore italiano (Giorgio Colli. Biografia intellettuale, Bollati Boringhieri, 2004), in un libello esegetico, Sull’Empedocle di Giorgio Colli (Luca Sossella Editore, 2018). Ampliando quel suggerimento di studi, proprio la Montevecchi raduna in Empedocle (Adelphi, 2019) i testi, finora inediti, dedicati da Colli al sapiente.

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“Empedocle è un mistico, e l’anima e il mondo sono per lui una cosa sola, così come lo spirito e la materia. Possiamo quindi dire che egli tiene un duplice atteggiamento nel guardare la realtà, uno soggettivo ed uno oggettivo, o per dir meglio, uno poetico ed uno scientifico”, scrive Colli nel testo del 1939, Anima e immortalità in Empedocle. Di Empedocle affascina – qui cito le dispense delle lezioni tenute a Pisa nell’anno accademico 1948-49; per questo è assente lo stile limpido, privo di assoluzione, di altri testi di Colli – la fama politica – “assieme al suo potere politico è probabile sia fiorita la sua enorme popolarità” – il rifiuto – “è credibile che… abbia rifiutato la monarchia offertagli dagli Agrigentini” – il precipizio – “Verso il 450 ha termine il successo di Empedocle e subentra la disgrazia”. Quindi l’esilio – cioè, l’ascesa della sapienza – e il suicidio (“Contrariamente a quanto pensano tutti i critici noi riteniamo storicamente possibile il suicidio di Empedocle, quale ci è testimoniato da Diogene Laerzio”). La parabola di Empedocle sembra sfericamente risolvere la vita del sapiente tipico, con furibonda attualità.

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Nel 1961, Colli firma l’introduzione all’Empedocle di Friedrich Hölderlin, nella straordinaria ‘Enciclopedia di autori classici’ pensata per Boringhieri. “La morte volontaria come sovrabbondanza di vita, come trionfo, nell’uomo, della divina natura; è questo il più eroico ed affermativo dei pessimismi. L’insegnamento s’impresse in Nietzsche quando, adolescente, leggeva Hölderlin a Pforta”. In un appunto del 1957: “Il culmine del pensiero di Hölderlin è Empedocle, cioè il superuomo che agisce sugli uomini e sulla natura, mentre Zarathustra finisce nella solitudine. Concezione più alta di Hölderlin. Approfondire l’Empedocle”. In una nota del 1961, dove ragiona sulla vicinanza tra Empedocle e Nietzsche, scrive: “Non soltanto Nietzsche è un anti-politico per vocazione – parla di politica solo sfociando nella follia – ma tutta la sua vita è volta a stabilire la gerarchia dello spirito, il superamento, il distacco – in altre parole una trascendenza rispetto alle qualità sensibili e soltanto naturali della vita umana”. Superare per distacco; instaurarsi nel folle; “la follia è la matrice della sapienza” (La nascita della filosofia).

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Attraversando Empedocle, Colli ragiona sulla propulsione del pensiero: prima del ragionare c’è il poetare (l’“uomo moderno… spesso neppure sa di avere un’intelligenza intuitiva, circondato com’è da sollecitazioni del pensiero mediato e discorsivo”; e ora?, al posto del pensiero discorsivo c’è quello intestinale, reattivo, rettilineo, rettale). Ciò che diventa pubblico è per natura fagocitato dal fraintendimento, dal parziale: “Le dottrine filosofiche sono tramandate con l’insegnamento orale e con il segreto… Gli isolati, per cui non ha senso il segreto, si difendono con l’ambiguità e il simbolo… Voluta oscurità della filosofia greca, contro cui si volgerà la chiarezza democratica e decadente” (1957).

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A riprova di una sotterranea ossessione – e di un insegnamento radicale. Nel “Diario 1944-1945”, pubblicato nel sito dell’Archivio Giorgio Colli, si legge, in data 4 giugno 1944: “Pubblicare l’Ur-Empedokles”. L’ipotesi pratica è preparati da un progetto esistenziale: “fare poesia e soprattutto vivere poesia”. Questa è la sapienza – è sapere come si vive, il solo. (d.b.)

*In copertina: Jules Bastien-Lepage, “Diogene”, 1873

 

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