“Inebriarsi della catastrofe”. L’anima russa & Dostoevskij
Filosofia
Dejanira Bada
Beni essenziali: Un decreto non è un trattato filosofico e al posto di garantire “beni essenziali” si potrebbe sciogliere il groviglio con un: l’essenziale è che vada tutto bene. Una cosa è certa: i beni non equivalgono al bene; essenziale non significa essenza. Secondo San Francesco, per dire, i beni – intesi come proprietà – allontanano dal bene, Dio; il bene accade quando ci si spoglia di tutti i beni – i beni, in sostanza, allontanano dall’essenziale. Nella prima regola – quella non bullata del 1221 – Francesco intima ai frati “di non appropriarsi di alcun luogo né di difenderlo da alcuno”, di adorare la povertà e di “accogliere nel bene chiunque giunga da loro, amico o nemico, ladro o assassino”. Il bene è essenziale darlo a un altro. D’altronde, per il Buddha è essenziale capire che tutto è apparenza, i beni un incubo vuoto che vota al dolore, l’uomo uno spettro che brancola nell’Amazzonia delle interpretazioni (“Costantemente immersi nell’oscurità delle opinioni sull’essere e il non essere… essi si aggrappano al falso e vi rimangono”). Per chi pratica le scelte estreme, oltre la transitorietà dell’esistente, la cosa essenziale è fare a meno dei beni essenziali.
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Capisco, si fa gargarismo filosofico. Secondo il Governo sono “beni essenziali” quelli che ci fanno stare bene. La lista allegata al Decreto del presidente del Consiglio del 25 marzo scorso, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, è lunga così. Tra i “beni essenziali” oltre a “coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali” e “pesca e aquacoltura” ci sono l’“estrazione di carbone”, le industrie alimentari e delle bevande, gli “imballaggi in legno”, il vetro, le “materie plastiche”, i “prodotti farmaceutici”, “motori”, “batterie”, macchine per imballaggi, “per l’industria delle materie plastiche e della gomma”, “casse funebri”, “riparazione di elettrodomestici” e molte altre cose. Per vivere bene, i “beni essenziali” sono moltissimi. Oltre all’acqua c’è l’acqua calda – oltre al pane c’è il computer, ad esempio.
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Tra i “beni essenziali” non sono contemplati i libri: perché? I libri sono il tramite essenziale per capire cosa è davvero bene. Che senso ha garantire “le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa” e l’apertura delle edicole se non si riconosce la spericolata necessità di leggere, di uscire dal seminato dell’educazione imposta, provvida, pavida? Scegliere un libro – e fuggirlo – è la forma essenziale di libertà, il solo bene tra i beni.
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Penso ai camion che valicano le vie deserte come frecce di metallo, come fili di ferro che cuciono le labbra tumefatte del Paese. I fari sembrano precetti pitagorici che divorano e vomitano mondi. Il cargo, il suo barrito ancestrale, che custodisce i “beni”.
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Ciò che è essenziale è il gratuito, l’inatteso, l’inappropriato, ciò che non ha legge né dimora, fuori dal gregge, l’istante della svolta, il gesto privo di codice, inenarrabile. Ma… c’è il cibo, almeno quello sia garantito! Mente vuota, pancia piena. Anche su questo, il Vangelo non cede un grammo, non è quello l’essenziale: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di ciò che berrete o mangerete, né per il vostro corpo, per quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più di un vestito” (Mt 6, 25). Quel concetto, poi, “non di solo pane vive l’uomo” (Dt 8, 3; Mt 4, 4; Lc 4, 4) tortura Dostoevskij, che riduce il cristianesimo a pura essenza, fame. “L’idea del diavolo poteva andar bene soltanto per un uomo-animale, ma Cristo sapeva che l’uomo non può vivere di solo pane. Infatti, se non esistesse più la vita spirituale e cioè l’ideale della Bellezza, l’uomo cadrebbe in preda all’angoscia, morirebbe, impazzirebbe, si ucciderebbe” (a V.A. Alekseev, 7 giugno 1876). Il punto essenziale non è dare cibo agli affamati, ma approdare a quella parola che non fa temere la fame, la sillaba dove svanisce ogni paura.
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Il pensiero sui “beni essenziali” comporta un pensiero sull’essenza della vita. Possiamo pendere per Nietzsche – “L’uomo superiore si distingue dall’inferiore per la sua intrepidezza e la sua sfida alla sventura: quando le valutazioni eudemonistiche incominciano a essere ritenute supreme è indizio di regresso” – o per Zhuangzi – “L’uomo autentico ignora l’amore per la vita alla stessa stregua dell’avversione per la morte… Se ne va e arriva all’improvviso, tutto qui. Non dimentica la sua origine, non cerca di scoprire la sua destinazione. Se riceve qualcosa, ne gioisce; se perde qualcosa, lo recupera”. In ogni caso, si è altrove rispetto a ciò che uno Stato decreta come “beni essenziali” – l’individuo non si aggroviglia in leggi.
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I “beni essenziali”, piuttosto, vanno distribuiti agli sconosciuti – o dissipati. Non avere bisogni, essendo bisognosi di tutto. Andrej Sinjavskij distingue tra genio e santo: “Ogni individuo dotato di personalità è ripugnante se eccessivo… Il Cristo amò quelli che erano ‘nessuno’. Ed Egli stesso non era forse ‘Nessuno’? Come uomo dotato di personalità. Egli è anzi inespressivo (e perciò inesprimibile) e, in ogni modo, tutt’altro che un originale. La frase ‘personalità di Gesù Cristo’ suona come una bestemmia. La sua è una Personalità a rovescio, negativa. Non lo chiameresti ‘un genio’. Il genio è pieno di sé, è un capitalista. Vampirismo del genio; culto dei geni, iniziato durante il Rinascimento, e disinteresse della santità”.
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Ma siamo troppo in là. Mi ancoro ancora a parole che nascono dall’essenza di ciò che è insussistente. Dove il pane non si compra, si fa, in una trama di dita, e la lotta è zenit. “L’ora più retta è quando la mandorla sprigiona dalla sua durezza ostinata e traspone la tua solitudine”: i fogli di René Char. Il “bene essenziale” è risposta anonima ai morti. “L’azione che ha un senso per i vivi ha valore solo per i morti e compimento solo nelle coscienze che ne sono eredi e l’interrogano”. Può essere un bene anche il male se espone dell’essenziale il cadavere – e noi gli passiamo di fianco, senza vizio di malinconia. (d.b.)