“Non è l’arena” su La7 mi fa guardare con una certa continuità Massimo Giletti. Prima non mi era mai capitato, nonostante sia un giornalista televisivo molto famoso e con conduzioni fin dagli Anni Novanta.
Il codice deontologico dell’Ordine vieta ai giornalisti di fare pubblicità. La motivazione? Per non venire meno ai requisiti di neutralità della professione. Nei confronti di Giletti ha avviato diversi procedimenti disciplinari per commistione tra attività giornalistica e pubblicità. E lui, nel 2008, per tagliare la testa al toro, si è dimesso dall’Ordine. Anche in questo caso trovo l’Ordine dei giornalisti inutile e ipocrita perché la deontologia la valutano i lettori/spettatori e non “colleghi” che non hanno mai scritto un articolo come si deve in vita loro; e perché più un giornalista è ricco – anche grazie al ruolo di testimonial aziendale – e più è probabile che sia libero e indipendente di scrivere-dire quello che reputa veritiero.
Sta di fatto che la sera della Befana sono lì a guardare “Non è l’arena”, dove prima si festeggia l’81esimo compleanno di Celentano, poi l’estro di Fiorello e, nel intermezzo, assistiamo a un momento di assoluta emozione collettiva.
Giletti davanti alle telecamere si trova piuttosto a suo agio, tant’è che canta – bene ma non benissimo – un paio di canzoni di Celentano, in un duetto con il sorprendente Claudio Santamaria – sì, l’attore, bravo anche con la voce e la chitarra. Poi arriva l’intermezzo per informare il pubblico sulle novità del caso di cronaca che la redazione giornalistica sta portando avanti da tempo sulle tre sorelle Napoli, imprenditrici agricole vittime da anni di intimidazioni mafiose a Mezzojuso, nel palermitano, senza protezioni dallo Stato e senza la solidarietà degli altri concittadini.
La novità è che a Salvatore Battaglia, l’unico in paese a difendere le tre sorelle, degli ignoti hanno bruciato la macchina. Il resto, oltre a una vicenda simile a molte altre che le pagine di cronaca, letteratura, cinema e musica hanno raccontato con dovizia di particolari, fa già parte della storia della tv italiana.
Giletti in un istante passa dai sorrisi e dal karaoke a primi piani di rara intensità, infervorandosi, difendendo le sorelle minacciate e il suo lavoro giornalistico, attaccando questo e quello, elogiando il coraggio civico di Salvatore – eroe borghese di una Italia che ha un disperato bisogno di una nuova generazione di cittadini gramscianamente non indifferenti – con una navigata capacità di gestire il ritmo della trasmissione e il pathos narrativo, tanto che il pubblico parte con una spontanea standing ovation, fino al colpo di scena.
Il diabolico Giletti – diabolico per la funambolica bravura – fa alzare in piedi Salvatore e lo invita ad avvicinarsi e poi gli consegna le chiavi di un’auto nuova, regalata dal programma, abbracciandolo e piangendo. Adesso si commuovono tutti, compreso il sottoscritto sul divano. E anche se per tutto il tempo della trasmissione hai un po’ la sensazione che Giletti sia sempre un filo eccessivo, ma soltanto un filo, sopra le righe quanto basta e che alla fine non guasta e anzi, con tutto quel pathos e coinvolgimento personale e fervore che dal singolo diventa collettivo… ti fa sperare in una Italia migliore.
Michele Mengoli