02 Maggio 2018

“Aspetterò il tuo cammino perfetto”: la poesia di assenza e di frontiera di Eduardo Manuale

No. La poesia non salva la vita. Soprattutto. Non salva la vita del poeta, che dona la vita nell’atto ustorio della scrittura. Eppure. Per noi non esiste gesto più fragile e violento, più veritiero e disadatto, più alto e disadorno della poesia. Già. Ma oggi la poesia è silenziata. Sta nel club degli affiliati, nel ring dei padroni, nella padronia delle grandi case editrici che se ne fregano del verso libero e dell’endecasillabo letale. Allora. La andiamo a scoprire noi, la poesia. Dove nessuno guarda. Per paura di consecutivi deliri. A scoprire i nuovi talenti – senza l’ambiguità di un talent, ma con la gratuità delle cose che spaccano il cuore in quattro, otto, ottomila pezzi – per Pangea, il giovane Gabriele Galloni (giovanecome categoria dello spirito), poeta che ha esordito nel 2017 con Slittamenti, e Antonio Veneziani, che vanta una decennale, decisiva militanza poetica (Brown Sugar esce nel 1979), è stato tra gli autori di pregio in Castelvecchi e Coniglio, ha il genio dello scopritore di talenti. Buona lettura. Controcorrente.

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Commento di Gabriele Galloni

Praticare, incidere una sezione nel continuum della temporalità per ritagliarne un evento raccontabile o evocabile da indirizzare a un interlocutore assente.

Nella poesia di Eduardo Manuale emergono così dei rituali il cui scopo è salvare, preservare il particolare minimo. Il sasso, minuscolo, ricoperto di polvere. La censura del reale sposta le significazioni nella categoria del già accaduto – del dissolto recuperabile soltanto attraverso il culto della memoria. Allora del trascorso rimangono labili indizi soltanto, balbettii in una lingua straniera, passi strascicati. Una elegia amorosa che si organizza attraverso simbolistiche corrispondenze; stabilendo un reticolo di rimandi emotivi che convergono tutti sui due versi conclusivi della poesia – quella domanda in spagnolo che definisce e al tempo stesso vaporizza i versi precedenti. Il significante, proprio mentre designa oggetti e personaggi, li significa in ben altro modo: l’idea del viaggio, della lontananza, si converte nella poesia di Manuale in quieta catastrofe esistenziale. E l’Io non parla più di se stesso in rapporto all’esterno, ma vi si proietta. Parlano gli oggetti; gli zoom ravvicinati su cose e comparse minime.

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Commento di Antonio Veneziani

Una poesia di frontiera. La stessa che il viandante attento ha modo di leggere su tutti i muri di confine. Di frontiera: e quindi di lontananza. Di assenza. L’io che parla è voce distante da tutto e forse anche da se stessa. La sua è una musica in minore eppure pregna di speranza. Manuale sembra scrivere in un esperanto ideale; il suo accento ha la cadenza di Altrove. E che l’altrove sia umano, geografico, emotivo poco importa. A noi basta la Poesia.

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L’eterno ritorno della carta
sul bagnato.
Camminerai ancora tra le pampas
che scendono giù per Gramado.
E nell’acquavite dei gauchos saprà
scioglierti, il sapone, quella linea di hennè
sul polso distratto.
Ma non ho fretta, aspetterò fischiettando
il tuo cammino perfetto,
sostando assopito, ripeterò
perché – porqué tu me eliges
sì todavia no me has buscado?

Eduardo Manuale

 

 

 

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