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È l’ultima ora prima delle vacanze di Natale. Bussano alla porta, ma nessuno sente, né l’insegnante né gli alunni: sono completamente rapiti dal racconto. La non più giovane professoressa Emilia Gironi sta leggendo in classe Cuore di Edmondo De Amicis. Una studentessa deve presentarsi dalla preside “con zaino e cappotto”. Inizia così, nel pieno inverno milanese, con questa ultima ora di lezione carica di emozione, l’ultimo romanzo di Abraham B. Yehoshua, La figlia unica (tradotto da Alessandra Shomroni, e pubblicato da Einaudi l’anno scorso). Un libro dentro il suo ultimo libro, una sorta di cammeo, un talismano che testimonia la sua vocazione letteraria. È infatti grazie alla celebre opera di De Amicis che Yehoshua è diventato scrittore; quand’era un bambino, suo padre Yaakov (originario di Salonicco), gli leggeva il libro Cuore.
Scomparso pochi giorni fa, il 14 giugno 2022, all’età di 85 anni, lo scrittore e drammaturgo candidato più volte al Nobel, Abraham B. Yehoshua era nato a Gerusalemme il 9 dicembre 1936, apparteneva all’ebraismo sefardita e conosceva bene tutte le luci e le ombre della memoria. “La memoria – ha detto Yehoshua – si trasforma in una barriera”. Come, del resto, la religione.
La “figlia unica” del romanzo è Rachele Luzzatto, un’ebrea di famiglia facoltosa, curiosa e irrequieta, impegnata nello studio della lingua ebraica, dalle preghiere ai precetti, che si sta preparando alla cerimonia del suo Bat Mitzvah. La bella ragazza con i riccioli e la carnagione olivastra era stata scelta per rappresentare la Madonna, la madre di Dio, per la recita scolastica di Natale. “Ma Rachele, per quanto carina, non parteciperà alla recita, né canterà nel coro, perché suo padre non glielo permette”.
Piove a Milano, e la preside della scuola lascia uscire Rachele per farle raggiungere lo studio legale del nonno e le presta un curioso berretto da partigiano per ripararsi dalla pioggia. Attraversando corso Garibaldi, Rachele entra in una pasticceria e la commessa le taglia una fetta di panettone con un ricciolo di crema al mascarpone, mentre vede in lontananza le guglie del Duomo. Tutto a Milano ha il sapore del Natale incipiente. Rachele vede un’altra rappresentazione.
“Dalla scuola del Sacro Cuore escono allegre studentesse in uniforme grigia, accompagnate da suore in abiti neri. Portano rami a cui sono appese campanelline colorate e qua e là brillano elmi di latta, a rappresentare i romani che governavano Betlemme al tempo della nascita del Messia. Un frate alto, con saio marrone, tiene sopra la testa una culla e, da sotto il cappotto di una studentessa, spunta un vestito bianco. Rachele si emoziona: è lei la madre di Gesù?”
Con grande stupore, la ragazza scopre che una sua compagna delle lezioni in ebraico, tenute da un rabbino proveniente da Israele, partecipa alla recita. Perché a lei invece è stato vietato partecipare? Rachele entra turbata nel cortile del convento e, ai piedi di un grande abete, aiuta una giovane suora a sciogliere un agnello dal garbuglio dei nodi della corda. Il docile animale deve prendere il posto dell’asinello per la recita. “- Un agnello per la recita? Le suore devono essere impazzite. – Perché no, se si vuole rispecchiare la realtà? Dopotutto Gesù è nato in una stalla. Però, siccome è difficile portare un asino in una chiesa, che importa se al suo posto c’è un agnellino?”.
Il padre intravede un possibile “lavaggio del cervello” in queste recite, in Italia “ci sono chiese e conventi dappertutto, e campane che suonano in continuazione”. I problemi seri sembrano altri e riguardano la situazione di salute del padre di Rachele al quale hanno trovato un tumore. Durante le vacanze natalizie, Rachele scopre che il nonno paterno, per sopravvivere alle persecuzioni naziste, si era “spacciato” per prete.
“È successo durante la guerra, quando cominciarono a denunciare gli ebrei per deportarli. Tua nonna, che stava per partorire tuo padre, si nascose in un paesino in montagna e io non potevo stare con lei perché tutti sapevano che ero ebreo. Allora mi rivolsi a un mio vecchio professore di diritto di Bologna, un fervente cattolico che mi voleva molto bene. Lui mi fece passare per suo figlio, che era morto giovane, mi procurò dei documenti falsi e, grazie alla raccomandazione di un suo amico, un alto prelato, riuscì a farmi mandare in un paesino sul mare, ad aiutare il parroco molto anziano”.
Di fronte alla salvezza, poteva capitargli di credere, di tanto in tanto, che la Madonna fosse realmente la madre di Dio. Ma la memoria è spesso oltraggiosa e conoscere la verità sul lontano passato non è mai un cammino agevole.
“Ecco signor Luzzatto – traduce l’insegnante. – Alla vigilia di Natale del 1943 a mio padre venne portata una giovane donna ebrea al nono mese di gravidanza, debole e con un’emorragia. L’atmosfera che si respirava in paese era piuttosto pesante perché si temeva che le sorti della guerra fossero compromesse. Quando quella giovane ebrea in pericolo di vita arrivò qui, mio padre sperava ancora che l’esercito tedesco rimediasse al disastro in Russia e occupasse Mosca, e allora avrebbe sicuramente consegnato la donna, mandando lei e il suo figlioletto nel luogo a cui tutti gli ebrei erano destinati. Aveva pensato però che, in caso di sconfitta, il fatto di aver salvato un’ebrea e averla aiutata a mettere al mondo un figlio sarebbe stato considerato un punto a favore per la sua famiglia e il paese”.
Dopo aver stretto la mano del vecchio nazista che l’ha aiutato a venire al mondo, il padre di Rachele può vedere la camera al piano di sopra dove ha trascorso i primi anni di vita.
“Dalla finestra spalancata, rivolta a nord, si ammira il fantastico panorama delle Alpi: un paesaggio primordiale, selvaggio, ricco e stimolante. Un vento silenzioso infuria su una delle vette sopra la quale splende, come un pallido diamante, il sole di mezzogiorno”.
Nelle ultime pagine, Rachele è al capezzale del padre e le sue sono, improvvisamente, parole colme di saggezza: “il mondo non ha bisogno di un altro dio. Di Dèi ce ne sono già troppi”.
La ragazza vorrebbe semplicemente un fratello al mondo, non un dio, un fratello che stia con lei quando il padre non ci sarà più. Per non essere più “la figlia unica”.