Nella lunga intervista concessa alla Paris Review, William Faulkner, perennemente in delirio alcolico, ornato del Nobel per la letteratura nel 1949, dichiarò che il lavoro perfetto per uno scrittore era gestire un bordello. “Il miglior lavoro che mi sia mai stato offerto è stato quello di proprietario di un bordello. Secondo me, è il miglior ambiente di lavoro che uno scrittore possa desiderare. Gli dà una perfetta indipendenza economica; lo libera dalle ansie e dalla fame; gli dà un tetto sulla testa e assolutamente niente da fare tranne stilare qualche semplice resoconto e andare una volta al mese a pagare la polizia locale”. Faulkner amava frequentare i bordelli, si atteggiava a dandy, preferiva guardare – come fanno spesso gli scrittori, assisi alla finestra della vita. Erano i primissimi anni Venti, l’amico Phil Stone lo portava nei postriboli di Memphis. L’esito delle gite, per consuetudine, era una ubriacatura pazzesca e qualche avventura erotica. Una la racconta Fernanda Pivano, faulkneriana di ferro, nel ‘Meridiano’ Mondadori che raduna i Romanzi di Faulkner: “Phil è un grande giocatore di poker, William si ubriaca di birra e di whisky. I due diventano amici di una tenutaria che offre loro ogni genere di piacere”. Spigliate le meningi nell’immaginare ogni genere di piacere.
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‘Will’ ha 24 anni, mentre i coetanei fanno carriera lui fa il fannullone, gioca al maudit, pericolante sui sogni, improvvisa poesia, edifica genealogie effimere e blasoni nobiliari che non gli si attagliano. Dopo una puntata al Greenwich Village di New York – fa il commesso in una libreria – e una manciata di amori impossibili (perché ‘consumare’ significa distruggere), ‘Will’ torna a casa, trova lavoro, per intercessione del padre e dell’amico Phil, presso l’ufficio postale dell’Università del Mississippi. Nel 1987, per commemorare i 90 anni del più grande scrittore americano del Novecento, la United States Postal Service stampa un francobollo commemorativo con il viso di ‘Will’. Per meriti nel campo postale? Macché. Faulkner fu il peggior ‘postino’ della storia delle poste statunitensi.
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La storia, evocata da Emily Temple su Literary Hub, riassunta dal titolo laconico (William Falkner was a Really Bad at Being a Postman), è esilarante. William Faulkner, assunto nel 1922 alle poste, viene licenziato due anni dopo, per evidente incapacità professionale. Non ne aveva voglia, ecco. La scrittrice Eudora Welty lo ricorda così: “Immagina di dirigerti verso il vecchio ufficio postale dell’Università, siamo negli anni Venti. Dobbiamo comprare un francobollo da 2 cent. Non troviamo nessuno. Bussiamo. Picchiamo. Picchiamo ancora e ancora. Infine, gridiamo il suo nome, ed eccolo, finalmente. William Faulkner. Lo abbiamo interrotto… Avrebbe dovuto vendere francobolli e imbucare le lettere, invece stava nel retro a scrivere poesie”.
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Ad ogni modo, l’occupazione funziona. Faulkner se ne sbatte di fare il postino: cestina le lettere e non si fa trovare quando c’è bisogno di francobolli. Una vignetta dell’Università lo bolla così: “Gli orari del postino: dalle 11.30 alle 12.30, ogni mercoledì. Motto: Non m’importa della posta”. Eppure. Sul Mississippian Faulkner pubblica un racconto, The Hill, acerbo, ma in cui appare, per la prima volta, la contea immaginaria di Yoknapatawpha. Nel 1923 scrive un’altra manciata di racconti – Adolescence e Love – soprattutto, l’anno dopo, nel 1924, trova un editore – la Four Seas Company di Boston – per la sua raccolta poetica, The Marble Faun. Già. Faulkner sognava di diventare poeta. Ma capì presto che le sue poesie non erano affatto granché. Dal 1926, con la pubblicazione per Boni & Liveright di Soldiers’ Pay, comincia un’altra storia.
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Insieme al primo libro di poesie, nel 1924, a Faulkner è recapitata una lettera dall’ispettorato delle poste. “Lei è negligente rispetto ai propri doveri, in quanto è lettore abituale di libri e di riviste ed è riluttante a smettere nonostante la presenza di clienti; lei ha un libro in stampa scritto, sostanzialmente, mentre era in servizio; i clienti non si fidano di lei per imbucare la posta, a causa della sua trascuratezza…”. La lettera va avanti per un tot. A Faulkner è offerta la possibilità di difendersi, ma ‘Will’ si è rotto le scatole. La sua lettera di dimissioni, “ottobre 1924”, è fenomenale. “Finché vivrò sotto il sistema capitalistico, mi aspetto una vita dominata dalle richieste di chi è ricco. Ma che io sia dannato se mi presto a essere pronto a rispondere alle richieste di ogni singolo, idiota vagabondo che ha due centesimi da investire in un francobollo. Perciò, signore, mi dimetto”. Un mese dopo è insieme a Sherwood Anderson. In gita per bordelli, ovviamente.
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L’insegnamento di ‘Will’ Faulkner per diventare un grande scrittore è chiaro. Fatti assumere da qualsiasi parte. Poi fatti gli affari tuoi. Nel tempo che ci vuole a licenziarti, avrai scritto qualcosa di buono. Soprattutto, rispondi alle accuse con aristocratica schifiltosità: tu sei uno scrittore, diavolo, loro sono soltanto degli sporchi capitalisti. (d.b.)
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In onore del William Faulkner poeta, pubblichiamo una traduzione di “After Fifty Years”, scritta il 10 dicembre 1919, mentre ‘Will’ allestiva la raccolta poetica “The Marble Faun”.
Dopo cinquant’anni
La sua casa è vuota e il suo cuore è vecchio,
pieno di ombre e di echi che ingannano,
nessuno la salva, perché lei tenta ancora di tessere
con dita curve e cieche, reti che non reggono.
Dicono: una volta le braccia di tutti gli uomini la volevano
planavano come uccelli bianchi per una carezza
una corona per legare ogni treccia di capelli
e le sue dolci braccia come l’oro delle streghe.
Gli specchi conoscono i testimoni, lei
emergeva nei sogni da altri sogni che esaltano
la sua leggiadria mentre si alza, cinta da soffici capelli.
E con il cuore legato e i giovani occhi inclinati
e ciechi, egli sente la sua presenza come un odore di stalla,
trattenendo il corpo e la vita da quella trappola.
William Faulkner