La democrazia è disgustosa. Parla Thomas Mann
Letterature
“Fanciulla di cui tutti hanno abusato”. La Maddalena di Alda Merini
Poesia
Marilena Garis e Riccardo Peratoner
Nei diversi autoritratti che costellano la sua insigne carriera si notano i caratteri della cultura e della serena scaltrezza. Era amico di Samuel Johnson e di Edmund Burke, che spese parole alate sulla sua salma, fu il massimo ritrattista dell’età inglese aurea. Mostrava agli altri il lato migliore, sbozzato in caritatevole enigma. L’altro, invece, viso teso all’estasi nel celebre ritratto di Thomas Philips, illustrava gli altri mondi, questi gli apparivano miseri e una cloaca l’ambizione, umana troppo umana. Per lui la carne era viatico mica approdo, era vicolo non porto, un unicorno verso i regni di là. Naturalmente, erano magnetizzati dai contrari: una fece storia nel suo tempo, l’altro forgiò i tempi a venire.
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I am hid. “Io mi sono nascosto”. La prima delle Annotations di William Blake “ai discorsi di Sir Joshua Reynolds” si chiude con questa ammissione radicale. Dove si è nascosto, William Blake, il poeta che raffigurava The Ghost of Flea, il fantasma di una pulce, come un mostro gigantesco, demoniaco, interstellare, prefigurazione degli “Avengers”, che ha ispirato Jim Morrison e Jim Jarmush, che influenzò William Butler Yeats e ispirò papiri esegetici a Northorp Frye, a Gilbert Keith Chesterton, a Harold Bloom? Blake si è nascosto nel retro del mondo, nell’enigma delle cose, dove l’oscuro fiammeggia e l’origine degli esseri – geometricamente indimostrabile – si rivela. William Blake “il Nascosto” avrebbero potuto titolare l’immane rassegna alla Tate di Londra, in scena fino al 2 febbraio 2020, “con oltre 300 opere originali, la più vasta mostra su Blake degli ultimi vent’anni”. Invece, hanno preferito il pop, usando una trinità di aggettivi – “Ribelle, Radicale, Rivoluzionario” – che sta indosso a Blake come a James Dean. Il genio di Blake – “Il Genio Poetico è il vero Uomo, il corpo o forma esterna dell’Uomo deriva dal Genio Poetico”, scriveva lui – è lì, nel nascosto, nel forgiare una genia all’ambiguo, nello scovare mitologie sotto l’unghia del visibile. Così, “Nelle foreste della notte” – il titolo del saggio di Stefano Zecchi che sigilla la fondamentale edizione delle Opere di Blake edita da Guanda nel 1984 per cura di Roberto Sanesi – ci abbaglia Urizen, il “creatore degli uomini” e suo figlio Los, il tempo, il creatore del mondo, e Ahania, il piacere, e Rintrah, l’ira, e poi Bromion e Ocalythron e Urthona, in una cosmologia contraddittoria che pare provenire dagli gnostici dell’Antico Testamento – dai fantasmagorici libri di Enoch – e prevedere i deliri del Maldodor di Lautréamont, l’ebbrezza di Rimbaud, Il Signore degli Anelli di Tolkien e il Necronomicon di Lovecraft.
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Di fatto, l’implacabile esuberanza lirica di Blake – che ebbe bisogno, per cementarsi, come accade alle voci che accadono come una tempesta, del fraintendimento e della cattiva coscienza degli intellettuali del suo tempo – non si affratella ad alcuna mistica, egli è l’emblema dell’ispirato e del desolato, per cui “l’Esuberanza è Bellezza”, e i delicati acquerelli, le possenti incisioni – alla Tate ci sono tutti i capolavori di Blake, normalizzati in moda, da Newton a Cerberus e The Ancient of Days – sono necessarie per affacciare la visione poetica verso lo sconfinato. Per fortuna, nonostante le mostre ‘mostruose’, Blake resta il nascosto, l’inafferrabile. Come introdurre nell’imbuto didattico, nello scioglilingua degli accademici cartesiani versi come questi: “Roteando rotondi in due piccole Orbite, & chiusi in due piccole Cave,/ Gli Occhi osservarono l’Abisso, per timore che solide ossa rendessero ghiaccio ogni cosa;/ Ed una terza Età passò oltre & uno Stato di lugubre dolore” (da Milton)? Di Blake è sonora, ora, due secoli dopo – la Tate ci avverte che nel 1809 Blake realizzò, a casa del fratello, la prima esposizione delle opere, naturalmente stroncata dalla stampa – l’opera pittorica; quella poetica non può scalfirla l’esegesi, essa prevede il salto, bisogna lasciarsi catturare.
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“Chiunque si disponga a Scardinare l’Esecuzione dell’Arte si dispone a Distruggere l’Arte”. Nelle Annotations Blake stila un sommario di storia dell’arte. “La sua Lode a Raffaello è come il Sorriso Isterico della Vendetta. La sua Affabilità & il suo Candore sono la trappola nascosta & il festino avvelenato”, attacca disintegrando le asserzioni di Sir Joshua. “Rubens, Correggio & Tiziano” sono detti “Idioti”; Savator Rosa è “il Ciarlatano della Pittura”. Blake non sopporta quelli che “si fanno beffe dell’Ispirazione & della Visione”. Adora Michelangelo perché è possente, immaginifico, ‘biblico’, in bilico sugli abissi.
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In Italia, William Blake ha avuto un sommo traduttore: Giuseppe Ungaretti. Il rapporto non fu occasionale né sporadico: “Lavoro alle traduzioni di Blake da più di sette lustri. È un poeta difficile. Sempre, anche quando è semplice come l’acqua. Ma c’è poeta, o un qualsiasi uomo che parli, che sia nel suo dire interamente decifrabile?”, scrive il poeta nel Discorsetto del traduttore che apre Visioni di William Blake, album di traduzioni edito da Mondadori nel 1965. I primi “giochi” dentro l’opera di Blake sono pubblici nel 1930 su “Il Tevere”, poi Ungaretti li accoglie nel complessivo Traduzioni – insieme a poesie di Saint-John Perse, Esenin, Góngora, Jean Paulhan – pubblicato nel 1936 dalle Edizioni di Novissima. Nel 1993 Mondadori ripubblica Blake secondo Ungaretti in un volume memorabile – copertina nera, da cui appare, nuda, sinuosa, La Verità secondo Jules Lefebvre – introdotto da Aldo Tagliaferri (che ha questa intuizione: “Era possibile innestare la poesia di Blake solo in una poesia capace tanto di stringata sentenziosità quanto di avvolgente mistero e di scatti impetuosi… Ungaretti si dimostra interprete più efficace, e al contempo più partecipe, di quanto lo sia stato, poniamo, Gide in francese”). Di quel libro, tuttavia, se ne sono perse le tracce. Un peccato, perché Ungaretti, Lancillotto della ‘poesia pura’ che aveva sintonia con i poeti che rompono le norme del linguaggio, sfasciando la grammatica in graniglia di bagliori – la fascinazione per Blake, ma anche per Lautréamont e Hölderlin – sapeva bene che “il vero poeta anela a chiarezza: è smanioso di svelare ogni segreto: il proprio, il segreto della sua presenza terrena cercando di conoscere il segreto dell’andare della storia e dei motivi che reggono l’universo, cercando d’impossessarsi, folle, del segreto dei segreti. Egli ha coscienza che la parola è difficile, ma, e se ne dispera, la rende fatalmente più oscura, più intrappolata nei significati che, cerando di nudarla e di coprirla di luce, le moltiplica”.
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Le parole di Ungaretti su Lautréamont: “Nella poesia di Lautréamont sono dunque compenetrati questi caratteri di gran parte della recente poesia francese ed europea: uno schianto carnale che apre il volo a fiori di fuoco, e insieme una lucidità cruda che per vertigine di irrisioni fa salire l’espressione all’infinito distacco del sogno; una necessità di strappare alla realtà le sue maschere, e di restituire alla natura la sua maestà tragica”.
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In Joshua Reynolds, insigne ritrattista e fondatore della Royal Academy of Arts, Blake vedeva l’icona del mentitore, dell’esteta impostore, che di un volto non afferra il mistero, ma soltanto la somma pattuita per dipingerlo. “Simulazioni dell’Ipocrita”, giudicava i discorsi cattedratici di Reynolds, e inutili gli esagitati sforzi dell’intelletto: “Reynolds Pensa che l’Uomo Impari tutto ciò che sa. Io dico al Contrario che l’Uomo Porta in Sé Tutto ciò che ha”. Così, deliberò di vivere nascosto, Blake, come gli eremiti ustionati dall’angelo, come gli uomini incapsulati nel futuro. “Mi considero sufficientemente Pago di vivere come faccio ora, & temo solo di portare Sfortuna ai miei amici”, scrisse il poeta a John Linnell, il 25 aprile del 1827. Qualche giorno prima, a George Cumberland, “Sono stato molto vicino ai Cancelli della Morte & ne sono tornato alquanto gracile, un Vecchio debole e malfermo, ma non in Spirito & Vita, non nell’Uomo Reale. L’Immaginazione che Vive per Sempre”. Morì tre mesi dopo. Si pensava come a un “Povero Giobbe”, stava illustrando la Divina Commedia. Nessuno fu più vigile di lui. (d.b.)
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Un canto di libertà
(William Blake nella traduzione di Giuseppe Ungaretti)
1. Cacciò un gemito l’Eterna Femmina! L’udirono su tutta la Terra.
2. La costa d’Albione è malata, silente; le praterie d’America languiscono!
3. Ombre di Profezia rabbrividiscono lungo fiumi e laghi, e mormorano attraversando l’oceano. “Francia, il tuo mastio abbattilo!”.
4. “Spagna d’oro, rompi le barriere dell’antica Roma!”.
5. “Tu, Roma, getta le tue chiavi negli abissi, che cadano giù, sempre in eterno cadano giù”.
6. “E piangi!”.
7. Essa raccolse nel tremito delle sue mani il terrore neonato, urlante.
8. Sulle montagne infinite di luce, ora precluse dall’Atlantico, il fuoco neonato si erse davanti al re stellato.
9. Pavesate di nevi dall’aspetto grigio e di facce burrascose, le ali invidiose sbatterono sul vuoto.
10. La mano, trafiggente lancia, divampò in alto, sfibbiato lo scudo; avanzò la mano della gelosia fra i capelli in fiamme e scagliò il neonato prodigio attraverso la notte stellata.
13. Le membra di fuoco, i capelli in fiamme passarono rapidi come il sole che affonda nel mare d’occidente.
18. Con tuono e fuoco guidando le legioni stellate attraverso solitudini desolate, egli promulga dieci comandamenti, dalle palpebre, con nero sgomento, saettando di raggi il baratro,
19. Dove il figlio del fuoco nella nube orientale, mentre il mattino arruffa le piume del suo petto d’oro,
20. Sbaragliando nuvole con scritte di anatemi, schiaccia e riduce in polvere sotto i suoi piedi la legge di pietra, sciogliendo i cavalli eterni dalle tane della notte, gridando, “Non c’è più impero! Ora cesseranno il leone e il lupo”.
Coro: “I Preti del Corvo dell’alba, nel loro nero letale, non maledicano più con voce rauca i figli della gioia! Né quelli ch’egli ha accettato fratelli, e che, tiranno, chiama liberi, pongano più limite o costruiscano tetto! Né la pallida e religiosa lussuria chiami più verginità quella che ha desideri ma non li attua! Poiché ogni cosa vivente è Sacra!”
William Blake
*In copertina: William Blake, “Newton”, 1795-1805 ca., Tate Gallery, London