23 Marzo 2020

“Alla ricerca, nei meandri dei sogni, nelle lotte dei nostri Io frammentati, del nucleo incandescente, opportunità di un’altra vita”: William Blake come maestro spirituale

L’intera opera di William Blake è una sfida al ricatto. Il ricatto che per essere vivi si debba cedere in spiritualità per la proporzione di peso carnale che ci portiamo inevitabilmente addosso. La grande battaglia dell’autore è una poesia che vada contro quella resa degli uomini, quella loro triste vergogna.  Che per convivere tra uomini debbano essere le regole reprimende e non gli appellativi di speranza a essere vincenti.  E che la ragione debba essere contemplata, o meglio ammessa, solo nella sua funzione di repressione, obolo dovuto al compromesso, e non come via suprema di condivisione, grande potenza di breccia sul mistero, e mezzo primario di apertura alla visione.

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Blake sorride nella rabbia, e piange nella gioia, perché sa che tutta la sua opera, arte di cui lui si sente solo il tramite, sarà una percezione stravolta, perché la vita è una percezione stravolta; nel tentare di comprimere gli opposti, di sedare gli eccessi, di dare logica all’impossibile e non accettare l’infinito senza l’attesa della morte come liberazione, se l’unica liberazione possibile è nella vita, che è già aldilà, semplicemente vedendosi, stralciando il terrore e l’oppressione, nell’opportunità dell’essere che si libera del dover essere, passaggio supportato dalla ragione, e reso possibile dall’unica dimensione di verità concessa: noi stessi, ritrovati prima della spirale di manipolazioni che ci porta a essere ciò che non siamo. Lì c’è la nostra tragedia, ma anche l’eroica dimensione di nuovo umanesimo.

La freschezza di Blake, la sua modernità assoluta, la risposta che lui dà, per chi sa leggere, alle ansie ormai incontenibili del presente, parte da qui: la speranza è in vita, come la salvezza e soprattutto come l’altrove, la dimensione di risposta, freschezza, possibile, per cui attendere la morte è solo un’ingiustificata perdita di tempo.

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I Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza (e I Quattro Zoa) sono il grande flusso della poetica di Blake, avamposto sul Freud e sul Baudelaire che verranno, alla ricerca nei meandri dei sogni, nelle lotte dei nostri Io frammentati, del nucleo incandescente, opportunità di un’altra vita, che non sia costruzione di impalcature più o meno sbilenche, più o meno opprimenti, certamente svianti e destrutturate, ma visione sulla risposta, sulla meraviglia che ci svela come noi potremmo essere solo un potente accoglierci, e ritrovare. L’Innocenza non è infantile in quanto non consapevole o banale, tantomeno ingenua, ma è semplicemente mancanza di scissione, di sgretolamento da imposizioni razionali, che la mineranno invece giorno dopo giorno nell’inferno di Esperienza, che se insegna a sopravvivere, è manchevole proprio laddove non ha mai compreso l’importanza del vivere. La fanciullezza è il simbolo del candore in quanto ancora scevra dell’obbligo di una visione distorta, orba di vita, che sbrana proprio il nucleo della vita stessa. Il dappertutto concesso alla nostra anima nella visione del tutto, viene delimitato in continuazione, con pervicace centellinare, o violento travolgere; ogni giorno è un paletto, una circoscrizione, un limite in più che se ci permette di stare in questa vita, ci allontana dalla vita stessa.

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L’Uno interiore, il globo, la compattezza di mente e visione, ci è proprio nella dimensione infantile, che non significa una necessaria perdita nell’accrescimento o nell’apprendimento, ma un’imposta perdita laddove una parte, o più parti, a lui necessarie per esprimersi in potenza spirituale e artistica, siano utilizzati, e di conseguenza diventino, strumenti di controllo e repressione.

L’Innocenza è superiore all’Esperienza in quanto non tenera per riduzione, ma divina per completezza. La domanda è: si può restare innocenti, quindi divini, pure nell’esperienza, ossia esiste un modo altro, un’altra via, un fianco distinto, per fare esperienza?

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Blake è poeta complesso ma non oscuro come potrebbe apparire: è un poeta determinato e grandioso nell’apprendimento del vivere, che ancora, o magari soprattutto, oggi ha talmente tanto da insegnare, da stupirci.

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L’Eden è il ricongiungimento, non è altro, e non si può attuare nello sfruttamento, nell’incomprensione, nella deriva materiale che ai suoi tempi si iniziava a evidenziare per i pochi che, con voce più attenta e profonda, previdero precisamente il luogo dove stavamo andando e dove oggi siamo arrivati: il nulla interiore.

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L’anima si perde nel peso del mondo che cede al ricatto della necessità di farci materiali perché siamo materia, non distinguendo tra opportunità in materia di accedere allo spirito, e obbligo di rinnegare lo spirito per non offendere la carne.

È opportuno cogliere un elemento che a Blake non sfuggì, in una dimensione di precocità che impressiona. La rivoluzione industriale attraversò tutta la vita dell’artista e lui ne intuì come pochi la portata in termini di interiorità. Se tutti guardavano fiduciosi all’esterno, lui capì che non solo si stava andando verso un uomo completamente nuovo, di cui mai prima si era visto simile, ma che il ruolo della poesia e dell’arte tutta da quel momento in poi sarebbe cambiato per sempre: si apriva una lotta, di cui non solo erano chiarissime le parti, ma anche e soprattutto i soccombenti.

L’avvento dell’uomo faber è alle porte, l’apoteosi di una virulenta filosofia razionalista è incontenibile, inafferrabile, inevitabile, da qualsiasi lato si guardi la trasformazione sociale ed economica, sono ovvie le conseguenze, almeno per Blake. L’assassinio dell’uomo spirituale sta avvenendo in modalità massiccia e priva di qualsiasi pietà, e da essa deriverà un’ineluttabile perdita di speranza, così tragica per l’uomo contemporaneo. E non solo si uccide lo spirito, l’immaginazione e la creatività, ma se ne pretende una morte subdola, perpetrata con il più infido dei metodi, che si dipana dalla più vigliacca asserzione: la vergogna.

Il massacro è in atto, senza che sia mai stato dichiarato, ma si tiene nascosto dietro a una cortina di necessità ed evidenza: l’uomo nuovo ha il dovere di partecipare alla produzione, al lavoro materiale, concreto, e solo su questa sua capacità, connessa alla realizzazione di denaro, sarà valutato il suo valore.

È una rivoluzione di natura epocale, sottovalutata in termine di impatto sulla vita spirituale e immaginativa dell’uomo. A soccombere senza scuse, è il diritto alla ricerca della felicità nell’interiorità invece che all’esterno, nella contemplazione invece che nell’azione, nella condivisione invece che nell’accaparramento.

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Si è trattata di una stretta talmente forte della condizione umana da non farci più ammettere una visione altra, se non confinandola a macchietta o pigrizia, nel migliore dei casi, o vera e propria sfida all’ordine costituito nei peggiori, con conseguenze in molti casi drammatiche, nell’ubicazione a reietto, nel rifiuto assoluto del diverso, ossia dell’uomo “immaginativo” nella compagine sociale.

La catalogazione psichiatrica di follia moderna, nasce non a caso in conseguenza a questa devastazione psichica, non c’entrano più il sacro o il demonio, ma la non accettazione del ruolo di macchina da produzione.

Chi è fuori dallo schema produttivo è folle, perfino la sua immaginazione è perdonata solo se inventa un bene che spinga il produrre, altrimenti sarà sempre guardata, nel migliore dei casi (ossia se arriva a produrre denaro), come un baco perdonabile, o sarà repressa con le forme più violente compagine sociale abbia mai potuto coniare.

In effetti il folle moderno, generalizzando ma tentando un approfondimento, è a tutti gli effetti dotato di una personalità che tenta un’appropriazione di diversità, il diritto, negato, alla spiritualità, non è colui, come spesso si fa credere, che sfalda, ma colui che tenta proprio il ricongiungimento, fuori dai parametri del materiale ordine costituito della ragione.

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La più profonda sofferenza della modernità è tutta in Blake: la svendita della propria anima. L’analisi di questa castrazione, e resa all’incomprensione, rappresenta forse il perno più importante dell’urlo di buona parte dell’arte moderna in ogni sua forma, dopo quasi tre secoli di umana cultura occidentale ancora ci distinguiamo nell’immagine che diamo, come fosse l’elemento principale della nostra natura, proprio perché svuotata della sfera dell’interiorità, in nome dell’apoteosi della prigione del produrre, il peggior mezzo di coercizione sia mai stato inventato a discapito del diritto più innegabile alla vita, o all’umanità dell’esistenza.

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Il disegno di Blake che introduce ai canti dell’Innocenza contiene in sé già alcuni elementi che non abbandoneranno il grande flusso dei suoi canti, anzi ne saranno l’asse portante, ossessiva nel messaggio di chi crede il disegno sia, insieme alle parole, strumento fondante di passaggio alla beatitudine o ricongiungimento, non perché scevri di ragione, ma perché in grado di riformare le emozioni nei grandi poteri dell’immaginazione, e quindi delle arti.

L’uomo già caduto è ancora legato a una spiritualità salvifica. È protetto dall’albero, simbolo che apparirà in ogni disegno dei Canti, e che quindi riveste un’importanza e un significato fondante nell’intera opera.

L’albero è storicamente un simbolo dalla portata unica: niente come l’albero ha attraversato le culture tingendosi di potenza spirituale e capacità divina di salvare o distruggere, sollevare o abbattere, punire o diffondere misericordia, simbolo di vita, con le sue radici che si innestano nelle profondità della terra, e i rami che raggiungono il cielo, e di morte, basti pensare al legno della croce. Tutti i personaggi dei disegni dei Canti ne ricevono protezione, è l’ossigeno che ci permette di respirare, non solo per la sopravvivenza della carne, ma anche e soprattutto per il muto messaggio del ritorno alla verità, al potere della vita come armonia, protezione che ci offre il rifugio nella ribellione alle imposizioni, nel cedimento alla rabbia per liberazione, mano paterna e culla materna che scompaiono, pur restando in ogni disegno, se acquisite dentro di noi.

Pare davvero che Blake con questa insistenza determinata voglia ricordarci che il Paradiso è a portata di mano, ogni istante, in ogni modo, in ogni disegno.

Nel disegno un giovane uomo guarda verso l’alto stringendo il suo strumento musicale, il piffero, completando l’egemonia artistica, con disegno e poesia, che potrebbe ribaltare la concezione di potenza umana. Lo sguardo che si apre all’alto è incredulo, anche se vi si scorge un acuto di speranza, e forse, di consapevolezza. L’angioletto che sovrasta il pifferaio non solo è circonfuso di luce e sorriso, ma si apre a un’altitudine ancora maggiore, alzando le braccia, quasi a chiedere di guardare oltre, anzi attraverso, di lui.

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L’immagine racchiude l’intero segreto dei Canti: tutti noi abbiamo il potere di trovare una risposta, di smettere di vagare alla cieca, di stordirci di nevrotiche ragioni, ineluttabile strada di tristezza e devastazione interiore, monito che scorgiamo chiaramente nella depressione che funesta l’ego moderno, o meglio, ne dilapida la parte migliore, divenuta, per chiaro calcolo opprimente, la parte più fragile.

Guardare attraverso i confini, le iconografie, significa ricercare proprio la trasparenza che ci permette il salto, combattendo quell’opacità che per Blake è Satana stesso.

Il pifferaio richiama lo sterminatore di ratti di Hamelin, favola ambientata circa nel 1200, che vendicò l’ingratitudine degli uomini per averli salvati dall’invasione dei ratti, rapendo tutti i bambini sani della città, nello stesso modo in cui si era liberato dei ratti: suonando. Nella versione originale della storia, con un probabile fondo di verità anche se mai è stata scoperta con certezza la ragione, i bambini furono tutti sacrificati nelle grotte non distanti dalla città.

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Il monito è chiaro, gli uomini si meritano i bambini, quindi l’Innocenza, quindi la concentrazione purificata verso la felicità, solo se si liberano della loro parte meschina, ragionata per interesse, costruita sulla furbizia, e votata allo sfruttamento. Se soggiaceranno a queste parti, i bambini, e quindi la possibilità del paradiso in terra, ci sarà negata per sempre.

Blake vede l’uomo moderno andare inesorabilmente sulla strada del calvario dei bambini, e ne grida il pericolo. Stupisce quanto avesse già compreso di un futuro che travolse proprio lui, dal momento che sarà il primo a restare spesso incompreso, e quasi sempre dichiarato pazzo, quando la lucidità del suo messaggio è esemplare.

Introduzione

Suonavo il flauto per vallate selvatiche
intonando canzoni di festa ed allegria
quando su una nuvola scorsi un bimbo
che mi disse:

“Soffia un’aria su un Agnello”
E io suonai esultando di gioia
“Suonalo ancora con il tuo flauto”
E mentre suonavo
lui piangeva ad ascoltare

“Ora abbandona il flauto, il tuo flauto scintillante
e canta tutta la tua felicità”
E io intonai quell’ode ancora
mentre lui piangeva per l’emozione
di ascoltare

“Ora invece Pifferaio siediti
e scrivi in un libro
tutto ciò io possa mai
leggere”
Detto così svanì al mio sguardo
e io strappai una vuota canna

Costruii una penna in legno
e la intinsi in limpide acque
e scrissi i miei poemi sulla felicità
in modo che ogni animo infantile
potesse gioirne

L’angioletto chiede al pifferaio di redigere un libro per i bambini, o meglio per tutte le anime che sapranno restare immaginative e prolifiche, che contenga il segreto della felicità. E Blake, il pifferaio Blake, ha ubbidito.

Gli agnelli lo circondano, nessun altro simbolo al mondo può rappresentare con altrettanta forza la purezza, e la contrapposizione con i ratti non può sfuggire.

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Il disegno successivo, che accompagna la prima poesia dei Canti dell’Innocenza, The Shepherd, incornicia proprio due bambini che leggono il libro, infinito supponiamo, custodito in grembo alla Madre, che difende la loro purezza immergendoli nella lettura come principale porta per l’aldilà terreno, per salvare, nel compito assoluto di qualsiasi anima materna, la loro anima. La protezione dell’albero è avvolgente e la poltrona in cui siede la madre sembra stridere così immersa nella campagna, ma non può che richiamare alla casa, proprio perché in essa Blake svolgerà l’intera epica e creazione della sua vita, come se le mura della protezione fossero le stesse mura della nostra carne, necessarie e insieme superabili, abbattibili, con la forza del pensiero creativo. È lì che si nasconde il mistero, è da lì che dobbiamo iniziare la nostra ricerca, se vogliamo sperare di trovare l’eternità nella nostra casa, e l’evidenza nel mistero. Sulle lettere forgiate per il titolo si muovono piccole persone, che non sono angeli, piuttosto sembrerebbero anime, appollaiate proprio sopra ai rami da cui pendono le mele che paiono provocarci alla scelta, possiamo cogliere il rigore di una pantomima di ragione, o piuttosto muovere le nostre anime sulle “lettere simboliche” dell’Innocenza che ci salverà nell’opportunità di attraversarci.

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Intravediamo il viaggio nei Canti. Se il Pifferaio è Blake, l’evoluzione che comincia dalla più pura Innocenza e gioia, e termina nella più cupa disperazione per la delusione dell’Esperienza, è l’evoluzione proprio dello spirito del poeta. Il viaggio dell’uomo moderno.

The Shepherd

Quanto è armonioso
Il dolce destino del Pastore
Da mattina a sera lui va a spasso
Per tutto il giorno deve seguire il suo gregge
E la sua lingua si colma di lodi
Nell’udire l’innocente chiamata degli agnelli
E la dolce risposta delle pecore
Lui è vigile mentre loro sono in pace
Perché sanno che il loro Pastore è vicino

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L’uomo pastore, il poeta pastore, è ancora potente, è il simbolo dell’apertura dei Canti. È ancora nella sua dimensione più vera e profonda, è ancora colui che salva, piuttosto che salvarsi, e colui che rispecchia la divina protezione che tanto cerca l’uomo perduto. È un uomo ricolmo, che contiene in sé il Dio, la risposta, la visione, che dir si voglia, o meglio il segreto, e quindi offre amore, e non l’uomo svuotato, narciso, che tenta di farsi Dio nelle categorie esteriori di una ragione al soldo del reprimere nelle categorie della distruzione, e del prosciugamento di amore.

Blake è forse uno dei poeti che crede di più nella potenza umana. Che non si rivolge all’esterno, convinto che tutto si celi, e si potenzi, ineluttabile, in noi.

*In copertina: un’opera di William Blake tratta dal ciclo di illustrazioni dalla “Divina Commedia” cominciate nel 1824

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