Benjamin Britten inserirà nove sue poesie nel Requiem di guerra, il grandioso War Requiem eseguito in prima assoluta per la consacrazione della nuova cattedrale di Coventry. Ventidue anni prima, l’8 novembre del 1940, l’operazione in codice Sonata al chiaro di luna ci mette undici ore a radere al suolo la cittadina dei Midlands, dalla sera precedente all’alba. Le bombe della Luftwaffe annientano industrie, ospedali, chiese, case private, edifici pubblici. Dell’antica cattedrale gotica restano in piedi solo le mura e un pinnacolo.
Il 30 maggio 1962 Coventry riapre la sua cattedrale. Che conserva e ingloba lo scheletro dell’antico, quasi il fantasma di un monito.
Per la musica commissionatagli per l’occasione, Britten non ha voluto usare solo il testo latino della tradizione, ha voluto che il War Requiem avesse una voce, fosse una testimonianza in suoni: l’ha trovata nei versi di Wilfred Owen, un poeta che la guerra l’ha vissuta e messa in versi, uno dei tanti giovani perduti all’Inghilterra per la guerra.
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Ma quelle poesie Wilfred Owen le ha scritte durante l’altra Guerra mondiale, quella che ha combattuta nelle trincee in Francia. Era stato, prima, tutore privato a Bordeaux, aveva conosciuto la poesia francese moderna.
Allo scoppio del conflitto torna in Inghilterra e si arruola volontario nell’esercito Britannico, scegliendo il corpo speciale di riserva Artists Rifles, che guadagna molti volontari. Vuole rendersi utile al suo paese minacciato dagli eventi della storia. All’epoca anche lui, come Rupert Brooke, crede ci sia un “posto che sarà sempre Inghilterra” fino nella morte.
Presto però quel che lui e un’intera generazione pensavano della guerra cambia, non ha niente a che vedere con la carneficina, gli stenti e la morte straziante, gli sforzi disumani e disumanizzanti della guerra vera combattuta nelle trincee. E l’idealismo dell’inizio si scioglie in disillusione.
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Nel 1917 lo congedano: shock da granata la diagnosi.
Come Septimus Warren Smith che incrocia smarrito Clarissa Dalloway per le vie di Londra, come molti altri ragazzi inglesi. Owen è rimasto tre giorni bloccato in una buca durante la battaglia della Somme. Dopo di che i suoi nervi cedono.
Lo mandano al Craiglockhart War Hospital in Scozia. E lì un incontro gli cambia la vita.
Conosce Siegfried Sassoon, per il quale nutre un’ammirazione destinata solo a crescere.
Lo stesso Sassoon vi è ricoverato in licenza: scoperto nel compagno un altro poeta, lo presenta a Robert Graves e a Robert Nichols. Sempre lui incoraggia il nuovo amico, gli infonde fiducia nella sua forza poetica.
Per il destino comune e la comune vocazione tra i quattro poeti si stringe un’amicizia che affonda nell’affinità e nel dolore: trascorrono insieme il tempo che resta all’ospedale.
Poi, mentre Sassoon rimane, “interdetto” dalle autorità militari per aver firmato una dichiarazione pubblica sul protrarsi, inutile, insensato, dello sterminio, Owen è dimesso, gli hanno concesso una licenza illimitata.
Eppure, nel 1918 entra nel Secondo Reggimento Manchester e torna al fronte in Francia, matricola 4756. Forse perché Sassoon, di nuovo in Inghilterra, ufficialmente non potrà più combattere e Wilfred vuole idealmente “dare il cambio” all’amico. Resosi conto della sterilità di ogni protesta, anche Sassoon tornerà comunque al fronte dai suoi compagni.
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L’11 novembre 1918 tutta l’Inghilterra sta festeggiando per l’armistizio che ha messo fine al primo conflitto mondiale.
Verso mezzogiorno in casa Owen, a Shrewsbury nello Shropshire, arriva un telegramma: informa i genitori che una settimana prima, il 4 novembre, mentre attraversava il canale di Sambre-Oise nel nordest della Francia, il loro figlio è stato ucciso.
Quasi contemporaneamente arrivano a casa anche le sue cose: Tom e Susan Owen vi trovano un taccuino di poesie scritte al fronte.
I versi di Wilfred dicono la crudeltà e la follia della guerra, la mancanza totale di senso di quanto ha vissuto. Perduto il suo corpo in Francia, di lui restano loro i suoi versi: i Poems escono nel 1920, nel 1931 Edmund Blunden, un altro poeta soldato, ne curerà l’edizione completa.
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Nei versi di Owen Britten sente lo strazio e il coraggio, la forza di un giovane che affronta l’esperienza bellica come sacrificio e denuncia. Un urlo di protesta per le sofferenze di molti e il vantaggio di pochi, e tuttavia una protesta dalle tragiche e affascinanti seduzioni: la guerra ingenera odio e rifiuto ma anche adesione e cupi entusiasmi. Straniante, viverla è una cieca pulsione di onnipotenza, una tragica illusione distruttiva.
Il War Requiem commisera le vittime e insieme espone l’insensata malvagità e l’enormità delle perdite umane. Canto di morte per i caduti e per la guerra in sé, la musica traspone in note l’annullamento di ogni guerra, in un’opera simbolo, un exemplum.
Tra colonne di cemento armato e moderni vetri policromi, coro e orchestra innalzano il Requiem Aeternam, voci maschili e un organico da camera intonano i versi di Owen, What passing-bells for these who die as cattle?, “Quali campane a morto per chi muore come un animale?”
La croce fatta con i chiodi delle vecchie capriate sull’altare maggiore quasi racchiude e conclude questa specie di contrasto tra l’eterno e la terra con la devastazione della morte, al centro la speranza di salvezza.
Il Dies Irae si alterna a Bugles sang, saddening the evening air, “La tromba ha suonato, rattristando l’aria della sera” e gli altri versi di Oh Death was never enemy of ours, “La morte non ci fu mai nemica”.
Fino alla sospensione del Lacrimosa, che introduce Move him into the sun, “Portatelo al sole”: immoto e alto sopra ogni vicenda umana, anche la più devastante, quel sole sembra guardare con pietà infinita l’uomo, il cielo toccare la terra e il poeta sfiora una polla di luce nella contemplazione dell’esterno, anche se l’interrogativo drammatico resta comunque senza risposta: perché quella strage, perché quel dolore? L’Agnus Dei è intrecciato a One ever hangs, where shelled roads part, “Sempre s’indugia dove si dipartono strade bombardate”, che fa combaciare la crocifissione di Cristo al campo di battaglia.
Il Libera me chiede la cessazione di ogni guerra. Silenzio vasto precede poi l’immagine dei due soldati che si parlano, ormai morti, I am the enemy you killed, my friend, “lo sono il nemico che hai ucciso, amico mio” (Strange Meeting) le loro parole aprono alla riconciliazione finale delle vittime che desiderano il riposo: Let us sleep now, “Adesso dormiamo”, Lasciateci dormire ….
La purezza delle voci bianche e la prospettiva celestiale dell’arpa li accompagnano nel loro ultimo viaggio verso l’eterno, finalmente in pace mentre, in pianissimo, il coro sussurra Requiem aeternam dona eis Domine.
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Prima di morire, al fronte Wilfred aveva scritto un abbozzo di Prefazione alle sue liriche:
Soprattutto non mi interessa la Poesia:
Il mio tema è la guerra, e la pietà della guerra.
La poesia è in questa pietà. […]
Tutto ciò che un poeta può fare oggi è ammonire. Ecco perché i veri poeti devono dire la verità.
Britten appone questi versi sulla pagina iniziale del War Requiem.
Per Owen, quel che doveva essere un’introduzione era adesso quasi un epitaffio. Le sue ultime parole di avvertimento, il lascito ai sopravvissuti prima di uno “strano incontro”.
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Strano incontro
Mi parve di esser sfuggito alla battaglia
In una profonda galleria buia, scavata molto tempo fa
Tra massi di granito sezionati da guerre di titani.
Ma anche lì dormienti ammassati gemevano
Troppo svelti nel pensiero o nella morte per farsi scuotere.
Poi, mentre li tastavo, uno balzò su, e mi fissò
Riconoscendomi afflitto negli occhi sbarrati,
Le mani levate in penosi gesti quasi benedicenti.
E dal suo sorriso riconobbi quel luogo tetro,
Dal suo sorriso morto seppi che ci trovavamo all’Inferno.
Da mille dolori era segnato il volto di quell’ombra,
Ma dalla terra di sopra là non scorreva sangue,
Né armi sparavano sorde, o ululavano lungo i cunicoli.
“Strano amico”, dissi, “non c’è di che piangere qui”.
“No”, disse l’altro, “Solo gli anni disfatti,
Lo scoramento. La speranza che fu tua
Anche per me fu vita; andai sfrenato a caccia
Della più sfrenata bellezza del mondo,
Che non vive in occhi calmi o nei capelli intrecciati,
Ma irride il fermo scorrere delle ore.
E se soffre, soffre in modo più ricco che qui.
Perché la mia allegria avrebbe potuto allietare molti,
E del mio pianto qualcosa sarebbe rimasto
Che adesso deve morire. Intendo la verità non detta,
La pietà della guerra, la pietà distillata dalla guerra.
Ora gli uomini si contenteranno di quanto abbiamo devastato,
Oppure, scontenti, il loro sangue ribollirà fino a traboccarne.
Saranno fulminei come fulminea è la tigre.
Nessuno romperà i ranghi, mentre compatte le nazioni deraglieranno dal progresso.
Il coraggio era mio, e il mistero,
La conoscenza era mia, e la maestria:
Per evitare la marcia di un mondo in ritirata
Mi diressi a cittadelle vane e senza mura.
Poi, quando molto sangue avesse inceppato le ruote dei loro carri,
Sarei corso a lavarle con l’acqua di dolci fonti,
Anche con verità troppo profonde per essere contaminate.
Senza limiti avrei versato il mio spirito
Ma non con ferite; non con l’abominio della guerra.
Fronti di uomini han sanguinato dove non c’era ferita.
Io sono il nemico che uccidesti, amico mio.
Ti ho riconosciuto in questo buio: così mi guardavi accigliato
Ieri mentre mi attraversavi con il pugnale e mi uccidevi.
Ti schivai, ma con riluttanti e fredde mani.
Ora dormiamo…
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The Next War, La prossima guerra prefigura la prossima morte di tutti loro:
Là fuori, amichevolmente abbiamo camminato incontro alla Morte;
Ci siamo seduti e abbiamo mangiato con lei, fredda e mite, –
Le abbiamo perdonato di averci rovesciato la gavetta sulle mani.
Abbiamo annusato il verde odore denso del suo fiato, –
Gli occhi nostri piansero, ma il coraggio non ebbe un fremito.
Ci ha sputato addosso pallottole, e ha tossito
Shrapnel. Ci unimmo in coro quando cantava a gola spiegata
E fischiammo mentre ci radeva con la falce.
Oh, la Morte non è mai stata nostra nemica!
Ridevamo di lei, ci alleammo contro di lei, vecchia conoscenza,
Nessun soldato è pagato per prendere a calci la sua potenza.
Ridevamo, sapendo che uomini migliori sarebbero arrivati
E guerre più grandi, quando ogni combattente si vanta fiero
Di lottare contro la Morte – per la Vita e non contro gli uomini – per le bandiere.
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La lirica porta un’epigrafe da Sassoon: “La guerra è uno scherzo per me e te, / Mentre sappiamo che questi sogni sono veri”.
Per espressa richiesta di Britten, dopo l’esecuzione del War Requiem nella cattedrale di Coventry non seguirono applausi.