Due autori notissimi, diversamente decisivi, quanto meno opposti, ci danno la giusta misura dell’importanza di Walter de la Mare, relegato, molti anni fa, da Mario Praz, nell’angusta didascalia “dotato di una fantasia singolarmente proclive al misterioso e al fiabesco”, ai margini della notorietà di cui si abbeverano gli insipienti. Intanto: in Supernatural Horror in Literature (1927), H.P. Lovecraft giudica de la Mare, per gli amici ‘Jack’ – odiava il nome che gli era stato affibbiato – un venerato maestro: “I versi ossessionanti e la superba prosa del poeta Walter de la Mare custodiscono con medesima coerenza i tratti di una visionarietà che penetra dalle velate sfere della bellezza alle dimensioni proibite e terribili dell’essere”. In sostanza, de la Mare “è tra i rarissimi artisti per cui l’irreale è presenza viva, concreta: i suoi scritti sull’incubo hanno l’acuta grandezza a cui solo un maestro può ambire”.
Lovecraft amava The Return, romanzo pubblicato da de la Mare nel 1910 (ma rivisto e riscritto fino al 1945), in Italia, dopo un periodo editorialmente felice, tra gli anni Ottanta e Novanta – in cui Sellerio pubblica La tromba e L’artigiano ideale; Guanda i Racconti del mistero; Theoria Ognissanti e Il rinchiuso e altri racconti – de la Mare scompare, s’inabissa in un inspiegabile oblio: risorge, per un attimo, nel 2008, quando Alet, editrice di pregio che ha chiuso le attività dieci anni fa, recupera Memorie di una donna in miniatura, il romanzo di Miss M., donna minuscola, “fisicamente, spiritualmente, intellettualmente fuori da questo mondo”, pubblicato in origine nel 1921, già in catalogo Longanesi nel 1947, che consentì all’autore il “James Tait Black Memorial Prize” (vinto, tra gli altri, da D.H. Lawrence, E.M. Forster, Robert Graves, Graham Greene).
A T.S. Eliot – ecco l’altro –, piuttosto, interessava la poesia di Walter de la Mare – per altro, ancora in catalogo Faber –, il carattere fiabesco, fantastico, la statura stregata, che a suo dire culminava in Winged Chariot (1951). Soprattutto, A Walter de la Mare dedica una poesia, non priva di ispirazioni, raccolta in un volume ‘speciale’, Tribute to Walter de la Mare on his 75th Birthday (Faber, 1948), dove il profilo degli accoliti – Graham Greene, David Gascoyne, Cecil Day Lewis, Vita Sackville-West – dice qualcosa del festeggiato. Eliot, in versi, elogia il “mistero inesplicabile del suono” nelle poesie di Walter de la Mare, l’arte “praticata con disinvolta naturalezza”, soprattutto, “l’incantamento appena bisbigliato, che concede libero/ passaggio a tutti i fantasmi della mente”.
Nato nel Kent, nel 1873, figlio di un impiegato della Banca d’Inghilterra, de la Mare aveva due fratelli e quattro sorelle, lavorò in un ufficio di statistica presso la Standard Oil, a Londra, per procacciarsi di che vivere. Riuscì, grazie a una piccola pensione, a dedicarsi alla letteratura, mollando l’impiego. Le sue Stories for Children sono un classico; de la Mare – un po’ come Pascoli – teorizzò che i bambini “sono dei visionari per natura: contemplativi, solitari, fachiri, sprofondano nel chiasso e nella febbre dell’esistere come dai recessi di una perpetua veglia”. Non sopportava, genericamente, il regno degli adulti, abituati a discernere e a separare; malsopportava “il tipo intellettuale, l’analitico”, che ha represso l’immaginazione infantile, audace fino all’orrore. Tra il genio, crudele, dei bambini e la logica degli adulti segnalava una differenza incolmabile, una capovolta virtù di grandezze. In effetti, la lirica di de la Mare, anche quando sembra ingenua è venata dall’ambiguo, da una quotidiana inquietudine che percuote: la poesia The Children of Stare (“I figli del Rigore”), tradotta per “Pangea” da Annalisa Crea, potrebbe essere letta con Il giro di vite di Henry James in tasca.
Negli anni, de la Mare si occupò della moglie Elfrida, rotta dal Parkinson; morì nell’estate del 1956, fu sepolto a St Paul’s, dove sono ricordati, tra gli altri, John Donne, T.E. Lawrence, Winston Churchill e John Everett Millais. Da ragazzo, aveva fatto parte del coro della cattedrale: pensava che dal salterio saltassero demoni e fate, e che volare, a volerlo, fosse possibile.
***
I figli del Rigore
L’inverno è sceso presto
Sulla casa del Rigore;
Stormi d’uccelli garruli
Infestano il bosso ancestrale;
Vivide sono le bacche
A grappoli nell’aria.
Quieta la musica della fontana,
Ghiacciato il cupo stagno,
Su cui un piccolo sole sanguigno
Si specchia fluttuando e mutando,
In un occaso cremisi,
Da un austro di giunchiglie.
È strano vedere bambini
In una casa così glaciale;
Le orme eloquenti corrono
Come quelle dei conigli sulla neve;
Le risa risuonano come cembali
Sotto il cielo ominoso della sera:
I visi minuti e accesi
Come gemme rosso borgogna;
I corpi giocosi e lievi
Come fiocchi di neve nell’aria,
Fragili come il fiore che vortica
Tra i rovi della foresta.
Incombe su loro il silenzio
Immoto d’un mare artico;
La luce scema; la notte cala; la luna fulge
Fredda; presto il croco
Scialbo e svagato si schiuderà
Sulla terra austera:
Fitto mistero, folle periglio,
La legge come una verga di ferro: –
Ma eccoli in abiti di Primavera,
Ognuno col proprio piccolo fuoco
Che attizza a una fiamma di puro ardore
Il soffio tremendo di Dio.
Walter de la Mare
*La traduzione è di Annalisa Crea, tratta da “The Collected Poems of Walter de la Mare” (1979)