Non è semplicemente un teorico con il cervello ingioiellato di nuvole. Diciamo che intinge la penna nel sangue della Storia. Diciamo che amalgama lo studio all’odore della terra. Partiamo dal centro. Walter Benjamin. Autore citatissimo – troppo. Amatissimo – parlo per me. Quando fare l’Università era fermarsi nel chiostro, bloccare l’aria e scodellare una poesia, Benjamin era con noi. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ovvio, il passepartout per capire l’abominio del mercato, l’estasi dei rapporti tra ‘arte’ e ‘politica’, etica ed estetica. E poi. Le riflessioni su Franz Kafka e Baudelaire e Nikolaj Leskov, e i passages di Parigi e l’amicizia con Gershom Scholem. Pregno di poesia, mi sfuggiva l’impeto ‘politico’ di Benjamin. Peccati di chi vive tra le nuvole e i castelli in aria e compila poesia nell’erba. Giuseppe Buondonno ha scritto su Walter Benjamin uno studio fondamentale. S’intitola Il soggetto rivoluzionario. Attualità di Walter Benjamin (Ombre Corte, pp.142, euro 13,00). Il punto cardine è un ragionamento – serrato – sull’“attualità del marxismo di Benjamin”. Ora. Buondonno è uno che in qualche modo ‘pratica’ Benjamin. Insegnante a Fermo, tra i fondatori dell’Istituto fermano per la Storia del Movimento di Liberazione, tra i promotori del Premio ‘Paolo Volponi’, ha una fervida biografia politica. Uomo di sinistra, già Assessore alla cultura per la Provincia di Fermo, già candidato Sindaco, nel recente torneo elettorale si è speso per Liberi e Uguali – con relativa batosta. Voglio dire. Benjamin non riposa tra gli scaffali, ristoro per il pensatore solitario. Benjamin è vita. Ancora.
Benjamin, ancora. Sfrutto il sottotitolo del suo saggio per domandarle dove risiede l’“attualità di Walter Benjamin”. Insomma, perché dovremmo leggere ancora Benjamin?
Benjamin – come in parte lo stesso Marx del resto – è stato, soprattutto in questi ultimi decenni, oggetto di una sostanziale spoliticizzazione; ridotto ad un magazzino cui attingere per citazioni colte, di natura prevalentemente estetica o antropologica. Il mio lavoro cerca, prima di tutto, di ricostruire un filo unitario del, pur poliedrico, pensiero benjaminiano; rintracciandone la possibile attualità, principalmente, nella critica dell’oggettivismo positivistico. Benjamin e Marx non possono offrirci risposte “pronte per l’uso”, ma possono mettere a nostra disposizione strumenti di critica della “naturalità” dei rapporti sociali e delle relazioni umane; aiutarci a individuare nella complessità (non a dispetto di essa) la costruzione politica e culturale di un soggetto capace di unificare la critica e la risposta alle forme del dominio contemporaneo che, nella loro “liquidità”, mostrano un nucleo assai solido. Non si tratta, in sintesi, di leggere ancora Benjamin, ma di leggerne la sostanza marxianamente rivoluzionaria, cioè di leggerlo bene.
Nel suo lavoro sottolinea l’importanza della ‘soggettività’, nell’ambito della rilettura di Marx operata da Benjamin. Cosa significa? Come si concilia questa ‘soggettività’ con il ‘collettivismo’ del comunismo realizzato?
Il soggetto storico è, nel pensiero marxiano, il livello cosciente della realtà; l’espressione di una alterità consapevole, di un altro possibile e attuale esito della storia; l’esatto contrario della naturalità del reale, del – per usare un’espressione di Benjamin – “nuotare con la corrente”. Benjamin definisce le rivoluzioni come un “freno d’emergenza” della storia, non le identifica col “progresso”, cioè con un’evoluzione oggettiva e, appunto, naturale. Egli vede nella debolezza inconsapevole con cui la socialdemocrazia vide arrivare il fascismo, la conseguenza di una cattiva lettura del marxismo, cui l’impronta positivistica della II Internazionale aveva sottratto la coscienza della storia come costante “stato di emergenza”; la storia ridotta ad evoluzione e la rinuncia al conflitto, alla frattura critica e politica, costituiscono, dal mio punto di vista, strumenti di attualità del marxismo benjaminiano, anche rispetto alla crisi verticale del socialismo contemporaneo ed alla involuzione delle democrazie. Rispetto alla seconda parte della sua domanda, la mia risposta è netta, non vi è conciliazione possibile, non tanto rispetto al collettivismo, quanto rispetto alla burocratizzazione autoritaria del socialismo sovietico ed alla sua progressiva degenerazione. Ma il comunismo non può essere identificato solo con quelle esperienze, così come la storia delle democrazie non può essere ridotta solo allo spettacolo della mercificazione del consenso cui stiamo assistendo dagli ultimi decenni del Novecento. Aggiungerei, tra l’altro, che Benjamin coglie perfettamente, nella loro differenza, la comune radice oggettivistica dello stalinismo e del positivismo socialdemocratico.
Che rapporto c’è tra ‘storia’ e ‘rivoluzione’ nel pensiero di Benjamin? Come si inserisce il ‘fatto letterario’ nella sua analisi di Marx?
Come ho, in parte, anticipato, la rivoluzione è per Benjamin una interruzione, uno scarto rispetto al corso storico; non, però, un’irruzione esteriore, meramente volontaristica (per questo ho dedicato il primo capitolo del mio lavoro, proprio al Soggetto storico), bensì la forma cosciente e conflittuale che un altro possibile corso assume. Esso non agisce solo in relazione al futuro; al contrario, il conflitto presente costruisce delle costellazioni (il titolo del secondo capitolo) con la storia passata, richiama in vita, rilegge le sconfitte e gli oppressi del passato. Anche in questo, l’interpretazione benjaminiana del materialismo storico differisce radicalmente da quella positivistica della II Internazionale e, con Marx, da ogni visione teleologica, finalistica e deterministica della storia. Anzi, ogni visione rivoluzionaria è, per il pensatore berlinese, il prodotto di una concezione antipositivistica della storia: la spinta rivoluzionaria non si alimenta al pensiero dei “liberi nipoti”, ma a quello degli “avi oppressi”; l’Angelo della storia (nella famosa IX Tesi e nell’altrettanto celebre dipinto di Klee) vuole liberare le sue ali dalla tempesta del progresso, per “ricomporre l’infranto”. La sua seconda domanda, invece, richiederebbe un’analisi assai più lunga; me la cavo molto in sintesi. L’interesse di Marx per il romanzo realista del suo secolo è noto; esso nasceva proprio dalla capacità che quella forma narrativa aveva – per usare l’espressione di Lukács – di rispecchiare i processi di trasformazione sociale, la loro incarnazione nei personaggi, nel microcosmo delle storie, nelle relazioni umane. È ampiamente conosciuta, ad esempio, l’ammirazione di Marx per Balzac (così distante da lui per molti versi), per la sua capacità di dare forma viva alla storia, di cogliere l’incombente mercificazione delle relazioni; non che Marx fosse insensibile al genio creativo, è che, come gran parte del suo secolo, la sua visione del mondo è unitaria, per quanto non organicistica. In Benjamin, invece, agiscono già ampiamente le suggestioni del frammento che caratterizzeranno l’avvio del Novecento; infatti anche sul piano della critica letteraria egli coglie (in particolare a proposito di Baudelaire, ma anche di Kafka) aspetti più modernamente visivi, facendoli, però, reagire magistralmente con la critica marxiana del reale, comprendendo, ad esempio, come Baudelaire anticipi la percezione dell’alienazione contemporanea. Rispetto a Marx è, come evidente, un marxista di un altro secolo.
Oggi, mi pare, il tema del lavoro domina il nostro tempo. Siamo dentro una nuova forma di ‘lotta di classe’, a suo avviso? Detto di Benjamin, qual è allora l’attualità di Marx? Un pensatore del XIX secolo e un fine intellettuale del XX sanno rispondere ai drammi del nuovo millennio?
Per un marxista il tema del lavoro domina ogni tempo; il modo di produzione, il grado di libertà o di alienazione del lavoro umano costituiscono le strutture interpretative di ogni epoca, cioè del mondo. E anche la “lotta di classe” ha costantemente cambiato forma, così come sono cambiati i soggetti che la combattono. Il materialismo storico non è una dottrina, è una metodologia di interpretazione della storia; per questo offre strumenti di lavoro, che vanno storicizzati, non risposte prêt-à-porter. L’attualità di Marx (con la forzatura dell’estrema sintesi) sta nella ricerca del punto più alto della crisi ed in quello più unificante del conflitto sociale. Individuarlo e costruire il soggetto politico in grado di combattere per la liberazione del lavoro e degli esseri umani dalla disumanizzazione del capitale, è il compito di una sinistra che non rinunci alle sue ragioni fondative. D’altra parte, vorrei chiedere: il mondo è più giusto, più libero? La dignità e i diritti degli esseri umani sono più universali? Queste conquiste regrediscono se regredisce il conflitto per ampliarle. Non dico che sia facile (nelle forme date della produzione capitalistica), tutt’altro; dico che è necessario. Dunque penso che se Marx e Benjamin non sono sufficienti, penso – altrettanto decisamente – che siano imprescindibili.
Lei è insegnante. Per questo, le chiedo: molti citano Benjamin, pochi l’hanno letto. Da dove cominciare a leggerlo, ad azzannarlo, da quale libro?
Su questo versante, quello più esplicitamente politico, indubbiamente dalle Tesi sul concetto di storia (che Einaudi pubblica nella raccolta Angelus novus), ma anche dal Saggio su Fuchs (Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico; che, sempre per Einaudi, si trova ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica). Già in queste raccolte, in verità, si trovano infiniti altri spunti ed approcci possibili, capaci di far innamorare un lettore (anche piuttosto giovane). Ma ci sono libri di avvicinamento alla sua personalità affascinante: Infanzia berlinese, Diario moscovita, o Strada a senso unico. C’è poi un bel romanzo di Bruno Arpaia che, tra l’altro, ricostruisce il tentativo di fuga di Benjamin, dalla Francia occupata dai nazisti e la sua tragica fine: L’angelo della storia, un testo vivo e commovente. Ma prima di Benjamin, consiglierei (a chi non ne avesse mai avuto l’occasione) di leggere Marx ed Engels, cominciando magari, per un approccio dolce, da Le lotte di classe in Francia. Ne vale la pena (anche se è tutto fuorché una pena).