13 Aprile 2019

“Includi tutti gli inferni e tutte le dannazioni”: Walt Whitman parla

La prima edizione di Foglie d’erba, con Walt inciso sul frontespizio, barba incolta, braccio sul fianco, camicia ribaltata al gomito, cappello baldo, era uscita dieci anni prima. Sul Fortnighlty Review, il giornale inglese fondato da Anthony Trollope, l’intellettuale di turno, Moncure D. Conway, scrive della “chiarezza biblica” e del “sorprendente priapismo” di quelle poesie dilaganti, dirompenti. “I lettori schizzinosi debbono turarsi il naso: lo scrittore non esita a porgere secchi di letame in salotto… la processione senza fine dei simboli della vita – funerea e carnevalesca, una sciarada di nazioni e di città, di epoche e di uomini – stordisce con terrore e meraviglia. Ci arrendiamo a questi occhi di Maya: volti, forme, scheletri. L’autografo di New York, le praterie, Ohio, Mississippi, tutti i poteri, il bene e il male. C’è molto di ripugnante per la mente ordinaria in queste poesie”.

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Per mettere pepe – oltre al sale, che c’è – alla recensione – titolo lapidario: Walt Whitman – il giornalista fa il pettegolo. Come si sa, Ralph Waldo Emerson, guru della filosofia statunitense, saluta l’esordio di WW con brio. “All’inizio mi stropicciai gli occhi per capire se questo nuovo raggio di sole non fosse che un’illusione… La saluto al principio di una grande carriera, che dovrà avere clamorosa evidenza dopo un simile esordio”. Whitman fece l’errore, malizioso e brillante, di pubblicare la lettera alla fine del libro. “La cosa infastidì assai il dotto signor Emerson… il libro, infatti, risuonò illeggibile in molti di quei circoli che avevano eletto il raffinato pensatore a loro sodale”. Le grandi opere danno sempre grandi problemi.

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Horace Traubel ha annotato le chiacchiere quotidiane con Walt Whitman dal 1888: un lavoro minuzioso che ha prodotto migliaia di pensieri, ricordi, aneddoti

Ma quella che voglio raccontare è un’altra storia. Nel 1873 Walt Whitman si trasferisce a Camden, New Jersey, a casa del fratello George, afflitto da paralisi. Per strada, il poeta sfotte un ragazzino, si chiama Horace, ha quattordici anni, è figlio di un litografo ebreo tedesco di nome Maurice, e va verso la biblioteca con una piramide di libri in braccio. Che fai, boy, non ti pare di leggere troppo? Il ragazzo replica, ascolta il poeta, ne è affascinato. Le pettegole del quartiere beccano la madre di Horace, Horace Traubel, e le dicono che non è bene che il figlio frequenti quel vecchio lascivo. I genitori lasciano fare e nasce una delle amicizie più formidabili e proficue della storia della letteratura.

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Questo m’interessa, capisci? La dedizione. La prassi eroica del dono. L’ascolto. La fascinazione. L’incendio dentro un volto altro. Una milizia nell’amare. Dopo la morte del fratello, Whitman acquista una casa a due piani in Mickle Street. Dal 1888 è Horace a occuparsi di lui. Risponde alle lettere, legge al poeta i commenti degli ammiratori, paga infermiere e farmaci, organizza cene per raccogliere soldi utili a far stare bene il suo assistito – il quale, vezzi poetici, adorava lo champagne ghiacciato.

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Traubel aveva la santità di quelli che sanno custodire. Mentre faceva l’impiegato di banca a Philadelphia – il lavoro sicuro… – scriveva per il Boston Commonwealth, per lo più pezzi politici. Fervente socialista, fondò la rivista letteraria The Conservator e poi The Worker. Fu amico di Upton Sinclair, nel 1904 pubblicò un libro di prose liriche, Chants Communal, di lui Eugene V. Debs, cinque volte candidato alle elezioni presidenziali e una volta, nel 1924, al Nobel per la pace, disse: “ha la visionarietà di un profeta, la mente analitica di un filosofo, l’anima eroica di un martire e il cuore puro di un bambino”. La sua fama si deve all’amore che aveva per Whitman, testimoniato dagli innumerevoli volumi che vanno sotto il titolo, Walt Whitman in Camden. Per quattro anni, ogni giorno, Traubel ha annotato le conversazioni intrattenute con Whitman. Il poeta morì nei primi giorni di primavera del 1892. “Sto diventando un vecchio pettegolo – un chiacchierone – un narratore di storie”, gli aveva detto WW, intimandogli, “Tu parlerai di me dopo la mia morte. Discorsi, ansie, vittorie, sconfitte. Bisogna dire la verità. Non mi smussare, includi tutti gli inferni e tutte le dannazioni”. Traubel fu il biografo angelico di Whitman. Dopo la sua morte, si trovò tra le mani migliaia di fogli.

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La dedizione di Traubel fu al limite dell’ossessivo. Nel crocevia di memorie, indagini, meteore del ricordo, molto materiale è superfluo, un fiume di fango, ondivago. Il lavoro di Brenda Wineapple per la Library of America, disponibile da fine mese e anticipato in parte qui, è stato quello di ridurre le migliaia di pagine in un nocciolo duro (220 fogli) dal titolo Walt Whitman Speaks. Il libro è un binocolo per leggere con più accuratezza l’anima del Bardo americano, il poeta incomparabile, e i “suoi pensieri definitivi sulla vita, la scrittura, la spiritualità, le prospettive dell’America”, come dice il tonante sottotitolo.

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“Tu sei la sola cosa che c’è tra me e la morte”, aveva detto all’amico amato Whitman, nel 1889. “Ho mostrato Whitman. Ho lasciato che fosse lui il protagonista di questa storia. Questo non è un mio libro: è suo. Parla le sue parole. Riflette i suoi atteggiamenti. Ho scelto di lasciarlo nella non premeditata forma di luce e ombra”, scrive Horace raccontando la composizione del lavoro.  Whitman nasce nel 1819, 200 anni fa; Horace Traubel, l’amico, confidente, seguace, muore nel 1919, un secolo fa, quando Whitman avrebbe compiuto 100 anni. I segni, a volte, segnalano il nitore di un’amicizia. (Davide Brullo)

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Alcuni brani da “Walt Whitman Speaks”

L’America deve accogliere tutti – cinesi, irlandesi, tedeschi, poveri o no, criminali o meno – tutti, tutti, senza eccezione: diventare rifugio per chi sceglie di starci. Forse ci siamo allontanati temporaneamente da questo principio, ma il tempo ci porterà indietro… L’America non è per i tipi speciali, per la casta, ma per la grande massa – il vasto, crescente, fiducioso esercito dei lavoratori. Osiamo negare loro una casa – chiudergli le porte in faccia – prendere possesso di tutto e poi recintarlo e poi sederci soddisfatti del nostro sistema – certi, così, di risolvere il problema? Io mi rifiuto di connettere l’America a questo fallimento – sarebbe tragico, sarebbe una tragedia.

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Mi piace lo spirito scientifico – essere sicuri ma non troppo, la volontà di abbandonare le idee quando le prove le contraddicono: questo è buono – mantiene le vie aperte – dà sempre vita, pensiero, affetto, umanità, la possibilità di ritentare dopo un errore, dopo una ipotesi sbagliata.

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Presumo che ci siano qualità – forze latenti – in tutti gli uomini che devono essere scossi – scuotere: questa è la funzione dello scrittore.

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Il segreto di tutto è scrivere il gorgoglio, il pulsare, il momento che esonda – mettere le cose giù senza premeditazione – senza preoccuparsi dello stile – senza attendere il momento e il luogo adatti. Ho sempre lavorato così. Ho preso il primo pezzo di carta, la prima porta, la prima scrivania, e ho scritto – scritto – scritto. Nessuna immagine preparata, nessun poema elaborato, nessuna correzione potrebbero migliorare ciò che è così. Scrivendo nell’istante, si coglie il battito del cuore della vita.

Walt Whitman

Gruppo MAGOG