L’ultimo dei sapienti ha il volto di Mangiafuoco, il corpo onnipossente di un corsaro che folleggia, scaturito dalle pagine più esotiche di Salgari. Tutto comincia da un sogno, quarant’anni fa. Giorgio Colli, il maestro assoluto conosciuto a Pisa, fa toc toc, dai regni dell’oltremondo, nel cranio di Angelo Tonelli. “Mi indicava un libro nella biblioteca di Filologia greca di Pisa. Il giorno dopo andai. Presi il volume, lo aprii a caso”. Zosimo di Panopoli. Tonelli ha 25 anni. Comincia a lavorare. Dieci anni dopo, nel 1988, esce per Coliseum l’edizione di Zosimo, che è ancora oggi – ristampata da Bur – quella fondamentale. Quello è il principio di un lavoro immane dentro i testi antichi, che passa dagli Oracoli caldaici a Empedocle, fino alla traduzione, sulle tracce di Colli, dentro Le parole dei Sapienti (il volume su Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso è uscito per Feltrinelli nel 2010), con una assunzione di metodo estetico ed etico: “I Sapienti greci non erano uomini di scrivania, come forse amerebbero dipingerli a propria immagine e somiglianza gli esangui ermeneuti contemporanei, bensì individui che intraprendevano un cammino di continua ricerca di sé stessi”. Tra le traduzioni e gli studi fondamentali di questo anomalo e rigoroso vagabondo del sapere, va citata l’edizione di Eraclito. Dell’Origine (Feltrinelli, 1993), in cui il pensiero del grande ‘Oscuro’ viene messo in relazione con “lo Chuag-Tzu, uno dei testi del Taoismo cinese” e in genere con la sapienza orientale. E poi il lavoro, fondamentale, sempre per Feltrinelli, su Eleusis e Orfismo (2015) e la traduzione della Terra desolata e dei Quattro quartetti di Thomas S. Eliot (1995), rivelando le fonti mistiche del grande poeta, che ha “la capacità, propria del rapsodo, di cucire i canti attraverso la stesura di un ordito occulto, che agglutina l’infinita variabilità semantica del testo intorno ad alcuni motivi fondamentali (il Re Pescatore, morte e rinascita, l’acqua e l’aridità ecc.)”. D’altra parte, Tonelli, il sapiente di Tellaro, sperone roccioso sul Golfo dei Poeti, presso Lerici, è anche il poeta totale della parola totalizzante, autore di ‘azioni’ estreme (tra cui, nel febbraio scorso, davanti a Montecitorio, il “Rituale esorcistico e propiziatorio per la rigenerazione etica e spirituale della classe politica”), il saggista incendiato dall’indignazione che ha pubblicato (un mese fa, per Armando Editore), La degenerazione della politica e la democrazia smarrita. Una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà. Sfrenato, inafferrabile Tonelli, l’ultimo dei sapienti. A lui dobbiamo un’opera impareggiabile, la traduzione e il commento di Tutte le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide: dopo aver pubblicato i tre tragici in libri singoli per Marsilio, ora sono radunati, insieme, testo greco a fronte, nella collana de ‘Il pensiero Occidentale’ Bompiani, un monumento. Nel corpo di Tonelli, rarità, la parola antica ha risonanza profetica e futura, il lavorio filologico non serve a fini accademici, ma esistenziali. Per questo, dopo una certa ricerca, ritrovato Tonelli, l’ho inchiodato nel gorgo di qualche domanda. (d.b.)
Intanto. Ricordami i tuoi legami con Giorgio Colli. Per il ‘tuo’ Eraclito parti dalle sue intuizioni, mi pare, ampliandole…
Incontrai Colli quando frequentavo l’Università di Pisa, credo nel 1976. Era il Colli più essoterico, quello che aveva appena pubblicato La nascita della filosofia, e stava pubblicando La Sapienza greca. La prima impressione fu di avere incontrato il diavolo. Modi aristocratici, voce un po’ nasale con accento torinese: effetto distanza e arcano. In piena marea marxista e strutturalista introduceva il misticismo, Eleusi, Apollo e Dioniso. Una bestemmia che anticipava i tempi e l’apertura alle esperienze sapienziali e mistiche. Dopo la lezione noi allievi più stretti lo accompagnavamo alla stazione, ci offriva da bere, intrecciava un rapporto diretto e consentiva un confronto serrato. Lui voleva salvare la ragione purché connessa con il misticismo, io ero più interessato alla dimensione mistico-intuitiva. Nel corso della sua ultima lezione invitò a praticare la filologia come azione editoriale e quindi politica. Dopo che ebbe attraversato lo specchio lo sognai che mi indicava un libro nella biblioteca di Filologia greca di Pisa. Il giorno dopo andai. Presi il volume, lo aprii a caso: Zosimo di Panopoli, sull’acqua divina. Iniziai così il mio primo libro, che terminai 10 anni dopo. Per Eraclito mi attenni ovviamente alla visione complessiva della Sapienza greca propugnata da Colli, ma me ne differenziai per una assai più marcata e costitutiva contestualizzazione anche a Oriente (in primis il taoismo) della sua sapienza, in totale controtendenza rispetto a quasi tutta la letteratura intorno al Sapiente di Efeso. Gli studiosi di filosofia antica amano rimanere ancora alle Termopili a combattere i fantasmi dell’Oriente, come quei soldati giapponesi che sono rimasti nella giungla armati fino ai denti anche 50 anni dopo la fine della guerra.
Hai tradotto tutti i tragici greci, un monumento. Che idea di civiltà, che senso della parola, della poesia, traluce, lì? Perché ti sei gettato in quella impresa e cosa hai scoperto?
La tragedia è una forma suprema di esperienza sapienziale per chi la guardi, e molti potevano guardarla così, con occhi da iniziato. Il théatron è un frammento di pianeta costruito come luogo di contemplazione (theáomai) di eventi e intrecci di vita, impersonati dagli attori, da una postazione insieme di empatia e distacco. Si pensi alla meravigliosa folgorazione sapienziale, páthei máthos, patendo conoscere, enunciata dal Coro nella Parabasis dell’ Agamennone eschileo. Inoltre la tragedia è luogo di catarsi dei pathémata, come ci dice l’Aristotele della Poetica: come nella più raffinata psicoanalisi, o nelle pratiche di integrazione dei demoni del chöd tibetano, o della taranta mediterranea, o di danze rituali del Marocco e altre simili, si tratta di riconoscere le affezioni perturbanti, accoglierle nella coscienza e non restarne inflazionati. Come la Sapienza – forgiata a Eleusi o in esperienze iniziatiche più o meno collettive – di Eraclito, Parmenide, Empedocle, Pitagora, Platone, anche la tragedia greca, consacrata a Dioniso, dio dei Misteri, dell’ebbrezza (la trance) e della contemplazione (lo specchio) induce uno stato di coscienza specifico, a chi abbia occhi per guardarla: trascendimento dell’Io ordinario e senso di appartenenza al cosmo e alla pólis; esplorazione delle ombre (Edipo) e solidificazione di una postazione interiore di risveglio e consapevolezza; acquisizione della capacità di gestire le emozioni perturbanti. In questo consiste la funzione educatrice della tragedia-sapienza. La parola poetica si inarca in direzione della vita, Apollo è Dioniso, e viceversa, la musica e la danza trascinano il linguaggio oltre i propri cerebrali confini, lo sguardo degli astanti sigilla le immagini in un circuito sacro. Alla fine resta nuovamente il silenzio della pietra, sguardo senza soggetto, oggetti vuoti. Dioniso e Ades sono lo stesso dio.
Tra l’altro, hai tradotto le lamine orfiche… e Thomas S. Eliot. Che legame c’è, intenso, sotteso, evidente, tra l’orfismo e la poesia del Novecento. Cos’è la poesia ‘orfica’? Nella domanda è implicita una riflessione da parte tua nel vortice della tua personale ricerca lirica.
Thomas S. Eliot prima di rinnegarsi e diventare il poeta ufficiale della “Sassonia” anglicana aderì, come Yeats e Pound e HD alle esperienze iniziatiche ispirate dalla Blavatsky, e dichiarò di avere rasentato in gioventù l’adesione al buddismo. The Waste Land è percorso iniziatico individuale e collettivo costruito intorno al mito del Graal, e lungi da essere il poema della crisi è un tragitto dalla sterilità della psiche collettiva contemporanea alla sua rigenerazione alla luce del buddismo (Il sermone del fuoco), dell’induismo (il mantra finale datta dayadhvam damyata/shantih shantih shantih) e del cristianesimo mistico di san Giovanni della Croce. I Four Quartets sono poesia orfica già nel loro titolo e nella scansione della loro struttura che uniscono saldamente parola poetica e musica. Personalmente mi definisco ritomodernista e orfico, perché credo fortemente nella forza sapienziale e catartica della poesia, che lungi dal ridursi a esercizio letterario o ibrida e patetica míxis di cerebralismo e emotività spesso candita in un’orbita metropolitana di ruminazioni egotiche (vedi Cucchi e Magrelli, per non fare nomi) può essere levatrice di stati di coscienza unitaria e cosmica, nonché di un percorso di katábasis-anábasis sicuramente salvifico per l’ánthropos e la pólis contemporanei.
Che senso ha la parola poetica, oggi? Intendo: cosa leggi? Cosa ti interessa scrivere? Cosa stai studiando?
Adesso mi interessa finire l’ultima parte del mio lavoro sui Greci: dopo i Misteri Eleusini, Eraclito, Parmenide, Senofane, Melisso, Zenone, Empedocle, Eschilo, Sofocle, Euripide, l’alchimista Zosimo e gli Oracoli caldaici vorrei finire un libro su Pitagora e lo sciamanesimo greco a cui sto lavorando. Alla poesia di questi tempi preferisco la saggistica, e ho in corso di pubblicazione un volume dal titolo nondualistico Attraverso-oltre: della conoscenza, della solidarietà, dell’azione, che riprende il filo della tradizione sapienziale d’Oriente e occidente dove lo avevo lasciato una decina di anni fa con Sulle tracce della sapienza. In poesia, sto lavorando da una decina d’anni a una raccolta Canti del fiume più vasto, ma credo che se deciderò di stamparla lascerò una ventina di pagine bianche a testimoniare la dimensione kenotica del mio approdo interiore, assai vicino al misticismo apofatico e allo zen, non senza l’amore tutto ellenico per il mondo visibile, tripudio di ologrammi meravigliosi.
Da sempre, la tua poesia è un ‘gesto’: estetico, etico, politico. Che rapporto c’è, a tuo avviso, o deve esserci, tra arte e politica? Ti interessa questa politica, quella di oggi? Da che parte stai (oltre che dalla tua)?
L’arte vera e profonda, la sapienza vera e profonda sono la più concreta azione politica possibile perché alla maniera di quel che dicevano Platone e Aristotele e ben sapevano i Pitagorici (ma anche Cristo e Buddha), la vera politiké téchne è l’arte di creare interiorità illuminate e dunque cittadini illuminati, gli unici capaci di assumere la direzione della pólis con la giusta responsabilità e capacità di non lasciarsi dominare dai demoni dell’ignoranza, dell’avidità e della prevaricazione, e esercitare il potere in maniera consapevole e solidale. A tutto ciò ho dedicato un libro, appena uscito, dal titolo La degenerazione della politica e la democrazia smarrita: una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà, e innumerevoli peformances, tra cui, recentissima, Eutopia, con i colleghi del movimento Poetry and Discovery: davanti a Montecitorio abbiamo recitato testi nostri e di varie tradizioni e culture per invitare i politici a una formazione spirituale che consenta loro di essere degni di governare con consapevolezza e spirito di servizio. Io ho officiato un Rituale esorcistico e propiziatorio per la rigenerazione etica e spirituale della classe politica. In questa prospettiva, mi colloco fuori da qualunque ideologia, di destra, sinistra e centro, e auspico la formazione di un movimento sapienziale-politico che stimoli la formazione di politici illuminati e dotati di una eticità sorretta da pratiche spirituali tra cui la meditazione di presenza, la capacità di integrare le tendenze negative per non esserne schiavi, una grande apertura del cuore per poter essere a fianco dei più deboli. Per dirla con Eraclito: “Se non speri l’insperabile non lo scoprirai perché è chiuso alla ricerca e a esso non conduce nessuna strada”.