Philip K. Dick scrive di merda e si legge da dio. Qualcosa di simile – in letteratura non esistono inchini reverenziali ma perpetue sfide all’OK Corral – lo si prova leggendo Fëdor Dostoevskij. Per carità, la ‘Trilogia di Valis’ non è equiparabile ai Fratelli Karamazov e Le tre stimmate di Palmer Eldritch non è esattamente l’analogo de I demoni, ma la percezione è la stessa. Siamo al cospetto di profeti prima che di scrittori. Cioè di scrittori che strutturano in romanzo le loro inquietanti domande. Dostoevskij era stregato dal male e dalla colpa, dalla salvezza; Philip K. Dick, parole sue, “sono affascinato da due temi di base, ‘Che cos’è la realtà?’ e ‘In cosa consiste l’autenticità dell’essere umano?’. In oltre 27 anni di scrittura non ho fatto altro che investigare queste due domande”. A questo punto. Con una certa intelligenza Henry Farrell, prof alla George Washington University – non è un letterato, vivaddio, ma insegna scienze politiche e affari internazionali – pubblica in Global Dystopians un saggio ripreso qui dalla Boston Review, che s’intitola Philip K. Dick and the Fake Humans. Il saggio parte da una considerazione non particolarmente geniale. “Non viviamo la distopia che ci è stata promessa”. Ergo: non esiste in Grande Fratello. La distopia che postula “il controllo assoluto, il sistema che tutto vede, tutto sa e tutto controlla” si è rivelata pura fiction, carcassa fasulla. “Il nostro mondo è davvero sotto uno stato di onnipresente sorveglianza. Telefoni e dispositivi domestici producono dati che misurano i nostri desideri e comportamenti per società come Facebook, Amazon e Google. Ma le informazioni così prodotte sono imperfette e classificate da algoritmi che commettono essi stessi degli errori”. In sintesi, “è sempre più difficile per queste grandi aziende distinguere il comportamento di ciò che vogliono analizzare dalla sua manipolazione”. Insomma, “il mondo che Internet e i social media hanno creato, non è un sistema ma una proliferazione di nicchie inattese, di entità adatte a essere sfruttate in modi ingannevoli”. Esempio. I libri. Un tempo quintessenza del genio umano, oggi un prodotto come un altro per soddisfare quella o quell’altra nicchia. “Esistono algoritmi che sanno scrivere libri da zero per poi essere venduti su Amazon”. Tra poco esisterà il libro scritto proprio per te, basta digitare gli ‘ingredienti’ che più ti piacciono per sfornare un testo che ti soddisfi. “In altre parole, viviamo nel futuro di Philip K. Dick, non in quello di George Orwell o di Aldous Huxley”. E qui viene il bello. “Dick non era un profeta delle nuove tecnologie migliore di altri; anzi, probabilmente è uno scrittore di fantascienza peggiore di molti. I suoi mondi immaginari intrecciano strani elementi della California degli anni Cinquanta e Sessanta con missili spaziali, droghe e speculazioni sociali. Dick scriveva di fretta e per denaro, a volte sotto l’effetto di droghe o l’urgenza di una personale rivelazione religiosa. Tuttavia, catturò con genialità il disordine ontologico di un mondo in cui l’umano e l’abumano, il reale e il falso, si confondono”. Parola di Dick: “False realtà creeranno false creature umane. O falsi umani genereranno false realtà per venderli ad altri umani, mutandoli in falsi. Falsi umani che inventano false realtà da vendere ad altri falsi umani”. Esattamente il pianeta in cui viviamo, dove la realtà prodotta dalle macchine è indistinguibile da quella realizzata da un cervello umano. “Uno studio accademico ha rivelato che una quota tra il 9 e il 15% degli account Twitter è falso: robot retwittano ciò che hanno creato altro robot tramite false identità per invadere organizzazioni specifiche e degradare alcune conversazioni”, scrive Farrell. “Twitter non è diventato un vero medium di massa, ma è estremamente importante per la politica, perché è lì che molti politici, giornalisti e intellettuali si rivolgono per diffondere le loro notizie. Un progetto di ricerca suggerisce che circa il 20% della discussione politica intorno alle ultime elezioni presidenziali era frutto dei robot. Gli esseri umani non sembrano più in grado di capire cosa è frutto dei robot, tanto quanto nel romanzo di Dick è difficile individuare gli androidi replicanti. Nei suoi romanzi, Dick è interessato a osservare come reagiscono le persone quando la loro realtà inizia a crollare. Un mondo in cui il vero si confonde con il falso, di modo che nessuno possa dire dove inizia l’uno e finisce l’altro, è un mondo votato alla paranoia. La conseguenza tossica della manipolazione dei social media, da parte dei russi come di altri, non ha a che fare con il successo di una elezione. Semina sfiducia esistenziale. Le persone non sanno più a cosa o a chi credere”. Viviamo in un romanzo di Dick. Ma l’effetto non è particolarmente gradevole. “Le distopie ogni tanto possono essere cupamente divertenti. Mai se vissute da dentro”. Già.