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I poeti sono troppi: sterminiamoli tutti!
L'Editoriale
Eravamo baldi, giovani, sfrenati. Io ero il più giovane e, per lo più, il più imbecille. Negli anni fatati del Domenicale, appena varcata la cancellata del millennio, sotto la bacchetta di Angelo Crespi, passammo mesi, insieme alla ‘crema’ dell’intelligenza giornalistica – Buttafuoco, Facci, Langone, Mascheroni, Respinti, Canessa, Buscaroli figlia e una sfilata di altri – a baloccarci con il concetto ‘cultura di destra’. Io non ero la crema, sia chiaro, ero il latte già inacidito. Per cui, orfano di tutto, di parenti buoni e di politica attiva, figliando poesia, ascoltavo. Al di là di una vasta, poliedrica, disomogenea costellazione di autori – Malaparte, Flaiano, Montanelli, Buscaroli padre, Berto, Piovene – e di altri che piovevano lì per lì, a seconda dei singoli amori – Tolkien, Dostoevskij, Russell Kirk, Rilke, Jünger … – il problema era, di solito, risolto così. La ‘cultura di destra’ non esiste, esistono degli individui singoli, anarcoidi, inafferrabili, inaffidabili, che non si riconoscono nel pantano culturale ‘rosso’. In effetti, il Domenicale franò perché troppi galli non fanno una polleria, troppe intelligenze singolari non fanno massa, troppi generali non vincono la guerra. Che fragoroso paradosso: la ‘sinistra’, galvanizzata da Gramsci, fece della cultura pop la chiave per entrare in Parlamento; la ‘destra’ anche sotto spirito berlusconiano, fece nulla. Anzi. Vezzo del politico di destra – quando sinistra e destra erano didascalie sul vuoto, ora è solo il vuoto – è invitare nel proprio salotto l’intellettuale che per sua natura è di sinistra, per farsi accogliere, così, nel club di quelli davvero intelligenti. Questo magma, ora, trova un solido studio nel lavoro di Francesco Giubilei, che dopo essere stato il più giovane editore del mondo occidentale – suoi i marchi Historica e Giubilei Regnani – ha aperto un paio di librerie, a Milano e a Roma con il marchio ‘Cultora’ – che è il suo quotidiano online – è diventato presidente della Fondazione Tatarella, ha pubblicato una biografia di Leo Longanesi e una Storia del pensiero conservatore, tra poco ti fanno Ministro, lo sfotto, ricordati di questo povero poeta svalvolato, gli faccio. Si intitola Storia della cultura di destra (Giubilei Regnani, 2018), il tomo suddetto, ha una bibliografia lunga così (25 pagine), sistema un paio di cose (“Il fascismo non è stato di destra, o meglio, è stato anche di destra ma non solo, perché costituito da varie anime e correnti”; “il berlusconismo è caratterizzato da propri modelli che esulano dai canonici riferimenti della destra”), tenta uno studio organico su un fenomeno taciuto, sotterraneo, analizzato, di solito, con l’ascia del pregiudizio. A leggere i nomi di scrittori, giornalisti, intelletti ‘di destra’, c’è da sbavare: si va da Longanesi a Ennio Flaiano, da Tomasi di Lampedusa a Giovanni Arpino, da Giuseppe Berto a Guido Piovene e Cesare Zavattini e Giovannino Guareschi e Mario Praz… Al qui scrivente – che ha l’ossessione per la maestria dello scrivere – piacerebbe che questa porzione della cultura ‘di destra’, quella più colta e sfrangiata, sfiancata dalla Storia matrigna, fosse dilatata all’eccesso. Da qui, comunque, comincia il dialogo con Giubilei. (d.b.)
Esiste davvero una ‘cultura di destra’? Attorno a quali valori si riconosce?
Una cultura di destra è esistita ed esiste, al netto del superamento da un punto di vista politico dei concetti di destra e sinistra con l’affermazione di partiti post ideologici come Lega e Movimento Cinque Stelle, da un punto di vista culturale la cultura di destra ha rappresentato nel corso del Novecento uno straordinario bacino per idee non conformi e controcorrente e valori messi in discussione dalla vulgata e dall’egemonia culturale progressista. Nel libro analizzo la cultura di destra italiana dal dopoguerra al governo giallo-verde tralasciando il fascismo e cerco di tratteggiare quelli che sono i valori alla base della cultura di destra identificati nel
Citami: uno scrittore ‘di destra’ particolarmente esemplare e un libro di riferimento.
Citarne solo uno sarebbe riduttivo, la cultura conservatrice ha espresso autori come Tomasi di Lampedusa, Guareschi, Flaiano, Sgorlon, Piovene, Berto… Scrittori di grande qualità letteraria che sono stati spesso osteggiati e a tutt’oggi non sono sufficientemente ricordati a causa del prevalere dell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci. Per anni c’è stata un’egemonia da parte del pensiero progressista, oggi assistiamo a un nuovo tipo che è quella del politicamente corretto ma le modalità con cui si concretizza sono le stesse: controllo dei principali canali di informazione, dei festival culturali, delle case editrici, delle scuole, delle università. Un sistema che andrebbe scardinato cercando di recuperare il pensiero e le opere di letterati, giornalisti (Montanelli, Nutrizio, Ansaldo, Cervi), filosofi (Del Noce, Gentile), editori (Volpe, Longanesi).
Da tempo siamo orfani di cultura tout court, ma non è che un governo ‘di destra’ – penso agli anni dell’egemonia Berlusconi – abbia fatto molto per la cultura. Insomma, dove sta il problema? Oggi, poi, mi pare che di tutto si speculi tranne che di ‘cultura’.
Il rapporto tra la politica e la cultura è un tema tanto affascinante quanto, visto dal lato della cultura, deludente. Purtroppo molto spesso i politici considerano gli intellettuali non un’opportunità bensì una minaccia, soprattutto a destra. Certo, ci sono importanti eccezioni come Pinuccio Tatarella che unì straordinari risultati politici a un’intensa attività editoriale con le sue riviste la cui memoria è oggi conservata dall’omonima fondazione, ma in generale, specie quando il centrodestra è stato al governo, si sarebbe potuto fare di più. Il vero problema è la mancanza di visione da parte della maggior parte dei politici che pensano la cultura non porti voti limitandosi a cercare risultati a breve termine piuttosto di una progettualità che, se nell’immediato può sembrare effimera, nel lungo periodo permetterà di costruire una base valoriale e una preparazione che porteranno alla formazione di una nuova classe dirigente e di un elettorato consapevole.
Da chi è rappresentata, oggi, a tuo avviso, una ‘cultura di destra’? Insomma, non vedo un Giovanni Volpe all’orizzonte. E… la cultura di sinistra? Dove si è infilata, dove vive, respira, aspira?
Dovremmo chiederci se esistono ancora destra e sinistra e conseguentemente se si può parlare di cultura di destra e cultura di sinistra, se consideriamo superata questa dicotomia è necessario allora intraprendere un serio percorso di studio su quello che hanno rappresentato per il nostro paese la cultura di destra e di sinistra. Di contro, se destra e sinistra esistono ancora ma in forme differenti, occorre capire chi oggi rappresenti i valori legati a questo mondo. Non voglio fare nomi perché risulterebbero senz’altro parziali e incompleti, dico solo che in parallelo a una generazione di ‘padri nobili’ che si è formata negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, oggi stiamo assistendo a un nuovo fermento con la nascita di associazioni, centri studi, siti internet, case editrici. Le sfide sono due: mettere a fattor comune queste sigle e creare una rete che superi divisioni e individualismi ed evitare iniziative tirate via, amatoriali o poco serie, la cultura delle destre, oggi più che mai, non può permettersi sciatteria, persone che non rispettano gli impegni e progetti fatti male.