04 Dicembre 2017

Vitaliano Trevisan: subisco il presente, sopravvivo, ma soprattutto, non sono un contemporaneo

Il suo volto pare estratto dall’Edda, inscritto in una saga nordica. Sì, è vero, c’è un gemellaggio tra l’opera di uno scrittore e il suo viso. Lo diceva anche Iosif Brodskij, “m’innamorai di una fotografia di Samuel Beckett molto prima di aver letto una riga scritta da lui”, perché uno con quella faccia lì non poteva scrivere altro. Vitaliano Trevisan ha un viso indimenticabile almeno da Il primo amore (2004) il film di Matteo Garrone – il più bello – che ha scritto e interpretato. Faceva un tizio che è sapiente nell’arte della sevizia, che è sedotto dagli abissi. In effetti, l’opera di Trevisan, da I quindicimila passi (2002) a Wordstar(s) (2004) a Works (2016) è un precipizio nell’ossessione. Narratore tra i più forti di oggi, dichiaratamente fuori tempo, radicalmente selvatico, al di là dei palazzi dove si celebra, tra intellettuali incensi, il rito della letteratura contemporanea, Trevisan si è portato a casa, tra l’altro, l’ultima edizione del Premio Riccione per la drammaturgia. Dopo due ‘finalissime’ perdute ai rigori (nel 2011 con la riscrittura goldoniana La bancarotta o sia Il mercante fallito, nel 2015 con Il cerchio rosso. Studio per un affresco, onorato con la menzione consolatoria ‘Franco Quadri’) Trevisan vince quella più importante, quest’anno, quella del settantesimo del Premio andato, alla prima edizione, nel 1947, a Italo Calvino.

Trevisan
Vitaliano Trevisan premiato dal Sindaco di Riccione

Salito sul palco, era fine settembre, aria audace di fine estate, come da copione, Trevisan non ha spicciato parola, forse tentato di maledire il premio, come il suo padrino spirituale, Thomas Bernhard, insegna. Il testo con cui ha vinto, Il delirio del particolare, di claustrofobico fascino, conferma che Trevisan è il più ispirato scrittore per il teatro di oggi (già autore di testi potenti come Una notte in Tunisia, sul “noto politico” Bettino Craxi, in disfacimento, interpretato da Alessandro Haber, e Solo RH tradotto in scena da Roberto Herlizka, attualmente è in giro il suo adattamento de Il giocatore di Dostoevskij). Nel Delirio del particolare il centro del mondo è una Vedova, stordita dal viavai dei ricordi, che s’inoltra nella morte: quella del marito, quella del grande architetto Carlo Scarpa, morto nel 1978 in Giappone, a Sendai, scivolando sulle scale dell’albergo in cui soggiornava (“Una di quelle morti casuali con cui uno sembra avere un appuntamento”) e quella di Goffredo Parise, che muore a Ponte di Piave, nel 1986 (“Era malato ma non si curava. Ha smesso di bere e di fumare quando è entrato in coma. Forse se avesse seguito le indicazioni dei medici sarebbe vissuto ancora qualche anno ma il fatto è che non voleva”). La morte di Parise, in particolare, è un fatto eclatante e definitivo, è “come se fosse calato un sipario… su questa casa, su un’epoca”. “Oggi tutti si prendono terribilmente sul serio meno valgono più si prendono sul serio”, sussurra la Vedova al “suo badante”, Cecchin, che in Una notte in Tunisia badava agli ultimi istanti di Craxi. A questo punto, contatto Trevisan.

Ci introduca nella parola ‘scandalo’. Ha senso questo termine nella narrativa attuale, le appartiene? Che cosa dà ‘scandalo’, oggi?

“Certo che ha senso, e mi appartiene pienamente. Lo scandalo è non tanto essere ‘politicamente scorretti’, atteggiamento che mi disgusta almeno quanto quello contrario, ma riuscire a non essere né l’uno né l’altro – ovvero insistere nel chiamare le cose col loro giusto nome”.

Che tipo di assoluto è possibile oggi, tramite la parola? Che cosa, ancora, tocca, di intoccabile, la parola scritta?

“Sull’assoluto non saprei rispondere; sulla seconda parte, anche se non si dovrebbe, rispondo con una domanda: che cosa non tocca?”.

Tra i morti, che scrittori legge; tra i vivi, riconosce dei ‘compagni di strada’, degli scrittori affini?

“Tra i morti leggo molto, ma solo memorie o lettere (mi è appena arrivato il quarto e ultimo volume delle lettere di Samuel Beckett, e ho da poco letto le lettere dalla Scandinavia della signora Mary Wollstonecraft); tra i vivi seguo Eyal Weizman (il suo ultimo, The Roundabout Revolution, è un interessante saggio sul ruolo delle rotatorie negli ultimi moti di piazza cinesi e poi arabi; sembra che le rotatorie abbiano sostituito le piazze, il che è interessante); poi seguo con interesse Mark Ravenhill e in generale la drammaturgia inglese, che sento affine”.

Perché scrive? Per indagare le proprie ferite? Per una forma di conferma? Perché non ne può fare a meno?

“Ormai da un bel po’ posso dire che scrivo per guadagnarmi da vivere; e tanto mi basta”.

Cosa sta scrivendo, ora?

“Al momento, sto pensando”.

Che tipo di rapporto c’è tra la sua scrittura in prosa e quella per la scena? Una cannibalizza l’altra o si autoalimentano allo stesso fuoco?

“Direi che una alimenta l’altra; con una sostanziale differenza: scrivere prosa mi deprime; scrivere per la scena mi alleggerisce l’animo”.

Che rapporto sente con la sua epoca? Specifico: che rapporto ha la sua scrittura con la storia, con il tempo presente? Lo scrittore simula il presente, giudica il presente, lo soffre o lo combatte?

“In senso artistico non credo di essere un contemporaneo – drammaturgicamente parlando, scrivo nel solco di una tradizione che credo non si sia mai interrotta; lo stesso per la prosa. Il presente lo subisco, come molti (o forse tutti), e cerco di sopravvivere il meglio possibile”.

A suo avviso, in che stato vive, oggi, la letteratura italiana? Sta bene, è in coma, risponde all’esigenza minima di testimoniare il mondo, l’uomo?

“A questa domanda non so rispondere – a rigore, non mi occupo di letteratura, italiana e non”.

*

Per gentile concessione dell’Associazione Riccione Teatro pubblichiamo un brandello da “Il Delirio del Particolare. Ein Kammerspiel”, con cui Vitaliano Trevisan ha vinto l’edizione numero 54 del Premio Riccione per il Teatro.

 

Prima parte

 

Aprile, pomeriggio

Grande soggiorno con vista sul lago; parete di vetro;

uliveto digradante; binocolo su treppiede

Penombra; tende a pacchetto completamente abbassate

Tutti i mobili sono coperti da teli bianchi

 

VEDOVA (fuori scena) Faccia attenzione Cecchin

È la prima volta che viene qui

Non conosce questa casa

Si posizioni fuori asse rispetto alla serratura

Un delicato sistema di contrappesi

proprio sopra la sua testa Cecchin

Tutto a vista naturalmente

un tempo – chiave che gira nella toppa; lama di luce

Il più delle volte funziona perfettamente

Ha sempre funzionato perfettamente

a dire la verità

a parte una volta

Un piccolo difetto di lavorazione

Ricaduto sul colpevole

per così dire

Il fabbro Zaccaria ce la stava aprendo davanti tutto orgoglioso

e il contrappeso gli è caduto sulla testa

Pensavamo che fosse morto sul colpo

Lei capisce Cecchin non è bello avere un morto in casa prima ancora

di entrare in casa

E poi l’inchiesta

i sopralluoghi

il cantiere bloccato per mesi

 

Vedova con bastone sorretta da Cecchin

entrano in casa, cioè in scena

 

VEDOVA Per fortuna era solo stordito

 

pausa

 

VEDOVA Del resto

chi non fa non sbaglia

mio marito lo diceva sempre

un tempo

Chi non fa

non sbaglia un tempo

Quest’odore di muffa è insopportabile

Apra le finestre Cecchin

 

Cecchin apre tende e finestre (con grande cautela)

 

VEDOVA E stia in guardia

I contrappesi

Per chi non la conosce

questa casa è una trappola

Ed è sempre stata umida

anche da nuova

figurarsi ora

che è rimasta chiusa per anni

un tempo; esamina un preventivo

I migliori artigiani della tradizione veneta

Una somma astronomica naturalmente

Al giorno d’oggi sono diventati tutti megalomani

Si rende conto Cecchin

Decine di migliaia di euro per restaurare una

tomba dove non sarò sepolta

Glielo dissi da subito

Fai pure il tuo cimitero

ma il mio sepolcro rimarrà vuoto

Vicini anche nella morte

Fianco a fianco nell’arcosolio

Ah!

Non abbiamo mai dormito insieme da vivi

ho detto

non vedo perché dovremmo riposare insieme

dopo morti

In una catacomba

Mi immagina Cecchin

sepolta in quella catacomba

accanto a mio marito

per l’eternità

 

CECCHIN …

 

VEDOVA In quel sarcofago così finemente disegnato

così perversamente disegnato

con tutti quegli studenti di architettura che ti girano intorno continuamente

tutti i giorni

che fanno foto

e schizzi a mano libera

e ci misurano il sarcofago

e noi siamo dentro il sarcofago

Si immagina Cecchin

Dentro il sarcofago

Con tutti quegli estranei che le girano intorno

continuamente

A mio marito non bastava una tomba

o una cappella di famiglia

voleva un cimitero

che già allora era una cosa ridicola

un tempo

Che bella luce

L’avevo dimenticata questa luce

Che ore sono

 

CECCHIN Le cinque e quattordici minuti

 

VEDOVA E già è verso il tramonto

VEDOVA (al binocolo, che scopre personalmente)

La vede Cecchin

Quella villa con l’accesso al lago

quella scala che scende a zig-zag

scavata nel fianco della montagna

La vede

 

CECCHIN A ore tredici Sì signora la vedo chiaramente

 

VEDOVA Ci abitava un famoso attore americano

Feste grandiose

Fuochi artificiali

Gli anni settanta

Divertirsi era ancora possibile

un tempo

Sembra abbandonata da anni

pausa

VEDOVA Sono stanca Vorrei sedermi

Gruppo MAGOG