Virgilia D’Andrea ci consegna Tormentonel 1922, per dirci che la vita germina dal profumo di libertà e che cantare in versi è atto di rinascita. Un gioiello edito da Ensemble con introduzione di Dario Pontuale e prefazione di Errico Malatesta, per un messaggio che riluce del sentimento di giustizia fatto proprio dall’autrice: «La libertà dell’essere umano dev’essere un diritto, non una concessione».
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Un’infanzia difficile quella di Virgilia, poggiata subito sul trampolino del dolore: «Ricordatevi che siete sola, che non avete più nessuno». È la realtà che la piccola Virgilia sostiene senza pianto davanti al cancello dell’orfanotrofio.
A sei anni parole come queste puoi ingoiarle solo come grandi bolle d’acqua. Le mandi giù veloci ma sai che esploderanno, se non ti è concesso crescere con il gioco lieve dei bambini. Da queste prime radici lo sguardo sul mondo di Virgilia si apre con tutta la potenza di chi ha in eredità una mancanza da significare: «un rimpianto/ d’anime stanche per un vuoto immenso».
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È Sulmona il paese d’Abruzzo che le dà i natali. Il vigore e l’asperità dei monti le danno spinta per diventare maestra di scuola elementare e scrittrice. Un percorso difficile che merita d’essere definito conquista sottratta ai dettami irrevocabili del Fascismo: «E verso il sole alzò la pura fronte/ E disse: ‘Alla riscossa’». Lei è infatti Virgilia d’Andrea, la donna che non avrà timore del buio delle carceri, che ingannerà la fame, che arderà d’amore per il bolognese Armando Borghi, confermando che l’impossibile diventa a volte necessario. Persino attraversare gli Oceani per ricongiungersi all’amato, dopo anni di nascondigli e silenzi.
Cosa può essere più necessario della parola che si fa arma di conquista?
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Con atto di grazia Virgilia D’Andrea (1888-1933) si concede al lettore, mette a nudo se stessa. Il titolo Tormento non nasconde l’urlo profondo scavato in lei al tempo «del nodo acerbo di catene infame»: l’urlo di chi, come attivista anarchica, non accetta di soccombere. Per questo saranno i versi a farsi traccia storica dello strazio, proponendosi come culla materna o lamentazioni di fucilazioni nemiche: «E sui trafitti cadono le madri/ Rivoltellate sopra il cor dei figli…/ E gli assoldati ai paltonieri, ai ladri,/ Scrivono bandi e impongono gli esigli».
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Sono certa che una donna come Virgilia avrebbe detestato essere definita eroina, seppur infiammata da un sentimento patriottico che l’ha guidata e sospinta nelle lotte civili e nelle scelte audaci sotto la legge dei fucili. Si capisce da alcuni passi che sentirsi madre delle sue scelte ha avuto per lei più valore di un gagliardetto: «E ogni donna il suo dolore porti/ E ridistenda il suo funesto lutto».
Virgilia D’Andrea muore a New York nel 1933.
Il suo grembo offerto in Tormento riguarda tutti, per ciò che è stato e non dovrà essere ancora.