I coniugi Parra, che venivano da San Fabián de Alico, Cile, diedero avvio a una generazione di geni. Il primogenito di Nicanor Parra Alrcón, chitarrista e maestro di scuola, e di Rosa Clarisa Sandoval Navarrete, sarta e contadina, si chiamava, in gemellaggio paterno, Nicanor. Era il più anziano di tutti – classe 1914 – fu il più longevo – è morto nel 2018 –, forse il più talentuoso, non per forza il più noto. Poeta dalla potenza rivoluzionaria, un anti-Neruda, oltre che anti-lirico, celebrato più volte dai cardinali del Nobel, in Sudamerica Nicanor Parra è leggenda.Da noi si è attesa la morte perché un grande editore – Bompiani – lo celebrasse in una grande raccolta antologica – L’ultimo spegne la luce, uscita nel 2019.Il paragrafo con cui il curatore, Matteo Lefèvre, apre il referto introduttivo, dice tutto: “Se c’è un poeta latinoamericano che gode di un credito indiscusso per l’originalità, la qualità e la irriverente costanza del suo impegno letterario, questi è senz’altro Nicanor Parra. E proprio irriverenza e umanità, a sentire Harold Bloom, hanno sempre rappresentato le cifre caratterizzanti di questo straordinario autore cileno”.
Violeta Parra si sposa, poco più che ventenne, ha figli, si separa: la musica la forza a una vita libera, raminga, aliena alla morale comune. Si risposa nel 1949, fa figli, divorzia ancora. Una spirale di lotta e di insoddisfazione la cinge. Quando il fratello Nicanor le mostra il fervore dell’avanguardia poetica, Violeta viaggia: è in Argentina, in Francia, in Russia, in Italia. Canta, prende appunti, registra. Pare una specie di Frida Kahlo della musica: si china sul suo strumento come su un lavatoio; pizzica le corde come a muovere acqua muscosa, grave di destino. Non suona, divina. A volte sorride, quando la guardano; spesso la sua concentrazione rasenta la severità. Ostenta se stessa, con selvaggio pudore, come un simbolo. Il ciclo di dischi El folklore de Chile (1957; 1961) sono una testimonianza eccezionale; il legame con l’antropologo Gilbert Favre, clarinettista, è una svolta. Violeta si nutre della vita, crede a ogni amore, si cede. Gilbert e Violeta lavorano insieme, a Ginevra, si amano, si mollano – quando lei, rientrata in Cile nel 1965, lo va a trovare, in Bolivia, lo scopre felice, solidale, sposato. Per Violeta è l’ennesimo squarcio. Il suo destino è il salto: “Qualcosa mi sfugge… non so cosa sia… lo cerco… certamente non lo troverò mai”, dice, spesso, agli amici, solare di una solitudine sempre più austera, austriaca al Sud.
Violeta cominciò a suonare a 9 anni, a 12 componeva. I genitori ospitavano in casa i vagabondi del circo: i fratelli Parra impararono l’arte dell’equilibrismo, della risata, del prodigio. Si costruivano i vestiti. Un giorno, Violeta vide la tigre e il domatore che la amava fino a venirne ucciso. L’ultimo disco di Violeta, Las últimas composiciones, è giustamente leggendario. Pubblico nel novembre del 1966, raccoglie i suoi pezzi più noti: Gracias a la vida fu interpretata, nei decenni, da Gabriella Ferri, Joan Baez, Laura Pausini, Placido Domingo… Maldigo del alto cielo è una lunga, dolente, rabbiosa maledizione. Tutto soffre e tutto somma, qui, Violeta, il grande sì alla vita e il poema imprecatorio, la vasta macumba. Il 5 febbraio del 1967, poco dopo aver pubblicato il suo disco assoluto, Violeta Parra si ammazza. Si spara in testa. Aveva 49 anni. Ribadendo che l’amore era il suo centro, il suo mondo, scrisse al fratello Nicanor, “Non c’entra l’amore con il suicidio. Lo faccio per l’orgoglio che sgorga dai mediocri”. “Infermità della tristezza”, disse di Pablo Neruda – semplicemente, maneggiò la pistola come una torcia, luce agli inferi. Probabilmente, Violeta non credeva nella Città di Dio né nella resurrezione, ma in un altro mondo dove gli artisti vivono in forma di giaguaro. Azzurro.