
Storia di Mur, il figlio di Marina Cvetaeva
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“Se no credesse un dì, vacca sfondrà, / de covèrzerte el cul co la cotala, / e farte de do camere una sala, / credo che morirave desperà. / No porterìa sta sera el cazzo a ca’ / e ziogherìa pi presto ancùo alla bala, / e sarà forza un dì che te la cala. / Basta, mo no ti te ne accorzerà”.
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Sarebbe niente se l’autore di questo frammento non fosse un arcivescovo cattolico del Cinquecento. E che la destinataria di questa lirica non fosse una cortigiana onesta del tempo, una veneziana intellettuale, da non confondere con quelle che vicino al Ponte di Rialto venivano chiamate “di lume”.
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Lui si chiamava Maffio Venier e, oltre a essere un poeta, era anche uomo di Dio: era di casa sia per Francesco I de’ Medici che per papa Sisto V.
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Lei si chiamava Veronica Franco, intellettuale Rinascimentale che vantava una cultura raffinata e esprimeva numerosi talenti in ambito letterario e artistico. A 20 anni fu inserita nel Catalogo de tutte le principal et più honorate cortigiane di Venetia, un elenco che forniva il nome, l’indirizzo e le tariffe delle cortigiane più in vista della città. E siccome il frutto non cade mai lontano dall’albero, la madre era indicata come pieza, cioè mezzana, la MILF. Veronica fu spesso oggetto di ludibrio e di feroci satire da parte di Maffio Venier. Il motivo? Non si sa…
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“Se siamo armate e addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro; e anche se siamo delicate e tenere, ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere fino alla morte; e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello”. Non mancava di sfrontatezza, Veronica, ma anche di energia e orgoglio. Una donna con le palle.
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Per Margaret F. Rosenthal i suoi scritti erano un “sostegno spassionato verso le donne indifese, le convinzioni molto forti sulle diseguaglianze e la natura politica e seduttiva delle sue poesie, scritte in versi usando un linguaggio altamente erotico. È l’introspezione di Veronica Franco nei conflitti di potere tra i due sessi e la consapevolezza di rappresentare una minaccia per gli uomini contemporanei, che hanno reso così attuale le sue opere letterarie e le sue relazioni con gli intellettuali veneziani”.
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Ancora Maffio Venier in un sonetto dedicato a lei: “Ti no ha paura infin che ti no ’l vedi, / e s’ti pensi mo ti che no ’l farò, / vòlseme un puoco el cul, si ti no ’l credi”. Ne era attratto, l’arcivescovo veneziano, e la vedeva come il peccato, il male. Che, in fondo, ha pur sempre il suo fascino. Ci fantasticava poeticamente, ma non solo. Abelardo ed Eloisa, insomma, ma in versione boccaccesca.
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Nel 1575, quando la giovincella aveva 30 anni, fu pubblicato un suo volume di liriche, Terze rime, contenente 18 capitoli scritti da lei e 7 scritti da alcuni letterati per lei.
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Non esattamente uno stinco di Santo, l’arcivescovo Venier. Si sa che a un certo punto della sua breve vita (morirà a 36 anni) si becca il “mal franzese”, la sifilide. Sembra se la sia portata a casa dopo essere stato a Costantinopoli, forse in un bordello. Ma forse.
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“Io sono tanta vaga, e con tanto mio diletto converso con coloro che sanno per avere occasione ancora d’imparare, che, se la mia fortuna il comportasse, io farei tutta la mia vita e spenderei tutto ‘l mio tempo dolcemente nell’academie degli uomini virtuosi…” scrisse la poetessa. In maniera chiara e senza equivoci.
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Non si sa in che modo, ma quando Enrico III di Valois, re di Francia dal 1574 al 1589, scese a Venezia per una sosta chiese proprio di lei. Giacquero insieme una notte di luglio. Ricorda la vicenda di Carlo Martello che ritorna dalla battaglia di Poitiers, ma magari con un finale diverso…
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Ripescata dalla critica letteraria da oltre un secolo e apprezzata da Benedetto Croce, Veronica rivendicava la dignità di qualsiasi persona, perfino di chi vende il proprio corpo. “La vergogna – diceva – è nell’alterigia di chi compra”.
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E qual ella si sia, la mia bellezza,
quella che di lodar non sète stanco,
spenderò poscia in vostra contentezza:
dolcemente congiunta al vostro fianco,
le delizie d’amor farò gustarvi,
quand’egli è ben appreso al lato manco;
e ‘n ciò potrei tal diletto recarvi,
che chiamar vi potreste per contento,
e d’avantaggio appresso innamorarvi.
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Chissà se la scrisse pensando a Maffio Venier…
Alessandro Carli
*In copertina: Tiziano, “Donna allo specchio”, 1512-1515