A Venezia, città centauro
Verso la fine di un articolo intitolato The Serious Artist, Ezra Pound scriveva della necessità, per i suoi contemporanei, di cimentarsi in una poesia che potesse “[…] essere portata come strumento di comunicazione fra uomini intelligenti”. Si potrebbe dire che un simile ragionamento, per il pianista e compositore Jozef F. Pjetri, valga anche per la musica. Di certo vale per il trittico musicale rappresentato dai Tre notturni per Ezra a Venezia, chiaro omaggio (nel tipico stile poundiano dell’assunzione di personae, culminato appunto nell’Homage a Properzio) al poeta americano. Il nostro compositore ci porta infatti a immaginare visivamente l’ultimo giorno di vita del poeta, immerso in una camminata lungo le Zattere a Venezia ‒ città cara a Pound, da annoverarsi tra i sacred places (per dirla alla Kenner) del poeta, ma anche del nostro compositore.
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Nel primo movimento (Ricordando un amore alle Zattere), il frangersi degli accordi e il loro successivo spezzarsi nelle singole note che li compongono è l’immagine musicale di una notte consumata in ricordi ‒ in un moto ininterrotto e un sciabordare d’onde. Momento lirico per eccellenza, il cui colore emotivo rievoca quello di una celebre occorrenza di Venezia all’interno dei Cantos, in questi versi “[…] dove Sa Vio / incontra Canal Grande / […] dovrei gettarle nell’acqua? / Le bozze A lume spento […]” (LXXVI). D’altronde è il compositore stesso a suggerire un intimo parallelo tra le atmosfere emotive evocate dal brano e l’opera di Pound, e lo fa ponendo al principio di una sua registrazione reperibile in rete alcuni versi estratti dagli ultimi Cantos (“M’amour m’amour / cosa amo e dove / sei? / Ho perduto il mio centro / lottando con il mondo”).
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Il secondo movimento (Guardandosi dentro) è costruito sulla mano sinistra, in un’alternanza tra accordi di morte e trasfigurazione. E qui entra in gioco il linguaggio del Maestro Pjetri. Inserito nel solco di Beethoven – dove i colpi della quinta sinfonia, per fare un solo esempio, sono i colpi che il destino batte alla nostra porta – di Wagner – con il suo stile di composizione basato sul Leitmotiv – di Liszt – non a caso, il Maestro ha vinto il primo premio del Concorso Franz Liszt di Bellagio 2011 per pianisti e compositori – e Scriabin, Jozef Pjetri porta risolutamente avanti l’idea che la musica non meriti di essere relegata a un ruolo di puro intrattenimento, di sottofondo più o meno colto per cervelli più o meno… pigri. Rielaborando la tradizione di questi compositori, il Maestro Pjetri ha sviluppato un suo linguaggio e stile personalissimo basato sulla centralità del significato e la plasticità della forma ‒ plasticità necessaria a che essa possa appunto plasmarsi a seconda dell’entità del contenuto emotivo. Qualcosa che ricorda, ancora una volta, ciò che Pound consigliava a chi volesse cimentarsi nella scrittura di versi: ovvero il comporre “[…] secondo il ritmo della frase musicale, non secondo il ritmo di un metronomo” (rientrano nella categoria anche i metro-anomici ad usum dei compositori contemporanei…). Nell’atmosfera del secondo movimento, ritroviamo alcune dei profondi, sofferti quesiti che popolano gli ultimi Cantos: “[…] ho portato la grande sfera di cristallo / chi potrà sollevarla? / Puoi tu penetrare la ghianda di luce?” (CXVI).
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Il terzo movimento (spiga cullata da placide onde) raccoglie e ripropone l’immagine e il simbolo poundiano di Eleusi. Questo termine, oltre a richiamare direttamente i misteri eleusini, è per Pound un vero e proprio concetto che, come il poeta scrisse in una lettera indirizzata a Carlo Izzo: “[…] è molto ellittico […]” e che dunque raccoglie insieme, riassume tutta una tradizione culturale e un’idea di civiltà. All’interno dell’apparato simbolico dei misteri eleusini sembra che quello della spiga di grano fosse il simbolo centrale.
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Reinterpretando un’affermazione di Baudelaire a proposito della musica di Wagner, ovvero che “[…] la vera musica suggerisce idee analoghe a cervelli diversi,” mi sento di dire che questo brano del maestro Pjetri suggerisca idee ed emozioni analoghe a uomini forse diversi, ma che condividano una certa cultura (in questo caso, riferita all’opera e alla vita del poeta americano). Il punto di forza riconosciuto (questo brano è stato anche eseguito a Melbourne, nella rassegna ASCENT: Theosophist 2015) allo stile sviluppato dal Maestro Pjetri, a mio parere, è nel fatto che l’interpretazione dei suoi brani possa avvenire su vari livelli con un processo che, in qualche modo, ricorda la lettera di Dante a Cangrande della Scala, nella quale il nostro Poeta parlava della sua opera come qualcosa di polysemos, o dai molteplici livelli di significato. Così, a chi non dovesse conoscere la figura di Pound né avere la possibilità di decifrare la partizione, la musica evoca delle pure atmosfere emotive (come in un altro brano del Maestro, intitolato Sur la mélancolie); mentre una conoscenza più approfondita del linguaggio impiegato, porterebbe a riconoscere veri e propri senhal compositivi (come l’accordo formato da Mi bequadro, Si bequadro, Si bemolle e Mi bemolle: accordo di morte e trasfigurazione) e dunque a una vera e propria lettura ermeneutica della partizione.
In ogni caso, sapere che un compositore di tal calibro si sforzi di rielaborare e trasmettere un tale grado di cultura, attraverso la sua opera, dovrebbe far gioire chiunque in qualche modo ci tenga, alla cultura.
Francesco Zevio