Apocrifo ha finito, in fondo, per significare esoterico. Secondo un credo a contrario, tendiamo a conferire al testo ‘occulto’, segregato nel segreto, una verità ulteriore, più profonda, incorrotta. Se si è ritenuto necessario nascondere un libro, un documento, per secoli, vuol dire che questo conserva rivelazioni sconcertanti, perfino scandalose, per pochi. La sua ‘pericolosità’ – in esilio dai dotti contributi per tutti – è misura di veridicità. Il volgo si accontenti del canone, biada vile: noi, aristocratici dello spirito, nobili spiritati, desideriamo il libro al rogo, l’apocrifo al ragù, un Borges nel comodino, il libro di sabbia che contiene tutti i libri, da sfogliare a sera.
La messa domenicale ci è venuta a noia, aneliamo i riti catacombali, le candele che animano la preghiera in unghiata bacchica e fanno di ogni ombra il seme di un annuncio. Riconoscere nei Vangeli canonici una sapienza effettivamente fuori dai canoni esige la pazienza dell’esegeta, la costanza del fedele, l’arte speleologica di chi si getta nelle stimmate del verbo, di chi vede gemmare i sensi, dappertutto, fino a divenirne lebbroso. Un lebbrosario di significati. In vece: desideriamo la frase eclatante, il testo provocatorio, l’illuminazione senza sforzo, repentina, meridiana. Ai ‘sinottici’, sinonimo di coltura delle anime pie, anteponiamo il Vangelo di Giuda, certi che tra quegli intenebrati e mutili gorgoglii verbali si celi la parola che apre tutte le porte, squaderna i mondi, un elisir.
È proprio la sacra elusività del testo evangelico, tuttavia, la sua patente contraddizione, a costringerci alla caccia di Dio: il Figlio dell’Uomo non offre riparo nel portico di una buona morale – obbedirgli significa inseguirlo, a testa scatenata, in corsa, senza salutare nessuno. La lettura dei Vangeli cosiddetti ‘apocrifi’ è un’avventura dell’intelletto che racconta la poliedricità del cristianesimo ‘delle origini’ – non originario. Storia, ormai, antica, assodata, da dissodare, semmai, creativamente: “Superare una visione ‘semplice e pacificante’ della chiesa primitiva… Non c’è una chiesa madre, ideale, una chiesa-modello, fondata sull’autorità di Pietro e dei dodici, dalla quale proviene la prima predicazione post-pasquale”, scriveva Pius-Ramon Tragan parecchi anni fa (La preistoria dei Vangeli, Servitium, 1999). Il fascino dell’apocrifo, inteso come mediatore di una verità occultata e dunque veridica al cubo – benché di solito, in sé, gli apocrifi siano spesso narrazioni bidimensionali, improntate a una chiarezza insipida – ha dato atto, in Italia, a fenomeni colti straordinari: il disco di Fabrizio De Andrè, La buona novella (1970), e il romanzo di Mario Pomilio, Il Quinto Evangelio (1975), di arcana bellezza (e che insegna, in fondo, che il Nuovo Testamento è l’autentica fonte della letteratura occidentale).
Il pretesto per questa quisquiglia è la pubblicazione, in Francia, per Gallimard, di un’edizione particolare degli Évangiles canoniques et apocryphes, a cura di Paul-Hubert Poirier, già studioso dei codici di Nag Hammadi (Écrits gnostiques, 2007). La folta famiglia degli ‘apocrifi’ ha in sé distanze incomparabili – un conto è la cruda bellezza del Vangelo di Tommaso, per dire, dal vertiginoso carisma spirituale, d’altro livello gli Atti di Pilato, ad esempio, intriganti, più che altro, per i reflui narrativi –; l’edizione francese ne riferisce l’importanza così:
“Dalle icone del IV secolo a Gauguin, Botticelli e molti altri, i pittori hanno attinto al repertorio iconografico degli apocrifi per illustrare la nascita di Gesù. Senza i Vangeli apocrifi non avremmo le stesse immagini mentali di alcuni episodi della vita di Gesù. Nessuna storia dell’infanzia di Maria e dei suoi genitori, Anna e Gioacchino, né alcuna storia di Maria sul dorso d’asino durante la fuga in Egitto. Questi scritti hanno contribuito a dare forma al nostro immaginario religioso: hanno nutrito la fantasia di credenti, artisti, scrittori, dal Medioevo all’epoca contemporanea”.
È la supremazia iconografica e storica ad emergere; a noi interessa, però, quella spirituale. Da dove vengono tali innumeri Vangeli? Dall’esperienza di un trattatista, dal suo autonomo genio o dall’esplosione dell’Agnus nei suoi polpastrelli? Non dovremmo supporre la presenza dello Spirito nella compilazione del ‘canone’ evangelico? A forza di interpretarli, di pregarli, i ‘canonici’ non sono forse diventati sacri, per così dire, per immolazione ed emulazione? Come enormi bocche quei Quattro hanno inghiottito l’orante e le sue intenzioni, il sacerdozio e il Santissimo. Inginocchiarsi davanti a Cristo: così si prepara il centometrista cristiano, verso l’inestinguibile inseguimento.
Va detto, inoltre, che alcuni martirologi erano tenuti per sacri, la Passio Perpetuae et Felicitatis, ad esempio. Quasi che il sangue sia il solo accesso a Dio, concessione d’agnello.
Introducendo la poderosa raccolta delle Parole dimenticate di Gesù (Fondazione Lorenzo Valla, 2004), cioè i detti e bisbigli del Nazareno “che non appartengono ai quattro Vangeli canonici”, Mauro Pesce scrive che “anche i testi dei vangeli che la chiesa maggioritaria considerò a un certo punto canonici, trasmettono parole di Gesù già rielaborate e trasformate”. Dunque,
“La libertà della trasmissione dei detti di Gesù ci fa forse intravedere una caratteristica della religione del primo cristianesimo. Siamo di fronte a una esperienza religiosa per la quale la fissazione scritta ed esclusiva delle parole a cui si rifanno le esperienze delle comunità cristiane non è essenziale, non rappresenta la prima necessità. È come se il centro dell’esperienza religiosa protocristiana si situasse altrove e non avesse assoluto bisogno di certezze formali sulle parole di Gesù”.
Che paradosso. Le parole di Gesù non sono importanti di per sé – il Verbo si è fatto carne per annientare il verbo. Sviscerare le parole evangeliche porta a scovare tane di crotali, restare avvelenati di senso. I cristiani non venerano il Libro, non ne fanno idolo: i Vangeli sono redatti in una lingua che non parlava il Figlio. La verità non è cifrata, non si ascende per scavo o scalfittura esegetica; i Vangeli non hanno mura, sono terra d’attraversamento, valico più che monte sacro, pasto più che patto. Sedia, semmai.
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Storia dell’infanzia di Gesù
Un’altra volta, Gesù stava camminando con suo padre e un bambino, correva, gli urtò la spalla. Gesù gli disse: “Non continuerai la corsa”. Il bambino cadde morto. Quelli che avevano visto l’accaduto gridarono: “Da dove viene questo bambino, che tutto ciò che dice si avvera?”.
I genitori del bambino morto andarono a trovare Giuseppe e dissero: “Non puoi abitare con noi, nel villaggio, con un bambino simile, oppure insegnagli a benedire e a non maledire”. Giuseppe si avvicinò al figlio e lo rimproverò dicendo: “Perché, figlio mio, fai queste cose? Questa gente soffre e ha finito per odiarci”. Gesù rispose: “Se le parole di mio padre non fossero sagge, non potrebbe istruire i suoi figli”. E aggiunse: “Anche se sfuggissero all’anatema, riceverebbero comunque la loro punizione”. Quelli che si sdegnarono, divennero ciechi.
Giuseppe, pieno di collera, prese a tirargli le orecchie. Gesù disse: “Ti basta cercarmi per trovarmi; ma non hai agito saggiamente”. Un maestro chiamato Zaccheo lo udì parlare con Giuseppe suo padre. Allora Zaccheo disse a Giuseppe: “Non vuoi darmi tuo figlio perché apprenda ad amare i suoi compagni e a onorare i vecchi, perché divenga amico dei bambini e li istruisca a sua volta?”. Giuseppe rispose dicendo: “Chi può prendere questo bambino e istruirlo? Non credere che sia una piccola croce”. Il bambino rispose e disse: “Sono estraneo a ciò che hai detto, maestro. Sono altro da voi, benché abiti in mezzo a voi. Non riconosco alcuna dignità alla carne. Benché tu conosca la Legge, dimori ancora nella Legge. Prima che tu nascessi, io ero. Mentre immagini di essere mio padre, riceverai da me un insegnamento che nessuno ha mai appreso né insegnato. E la croce di cui hai parlato, sarà portata da colui a cui conviene. Tu infatti, non sai neanche come sei nato, mentre io so esattamente quando sei nato e quanto resterai su questa terra”.
Allora cominciarono a gridare, meravigliati, dicendo: “Abbiamo visto grandi cose, ma mai abbiamo ascoltato simili parole, né dai sacerdoti né dai farisei né dagli scribi. Da dove viene questo bambino? Ha cinque anni e noi lo abbiamo udito parlare a tal modo. Mai abbiamo visto qualcosa di simile”. Di nuovo rispose loro dicendo: “Perché siete meravigliati? Perché non credete al fatto che so quando siete nati? E conosco anche altre cose”. Tacquero, udito ciò, non sapevano cosa rispondere. Si avvicinò lui, allora, a loro, dicendo: “Ho giocato con voi che vi meravigliate delle cose da poco, perché poca intelligenza e poca sapienza avete”. E il maestro Zaccheo disse a Giuseppe suo padre: “Donalo a me, lo istruirò come si conviene”. E lo menava a scuola, arricchendolo di carezze.
(Il testo è tratto dalla traduzione di Sever J. Voicu)