Dall’articolo di Davide Brullo di scorsa settimana su Van Gogh mi viene in mente di rispondere a modo mio, in particolare quando dice che il film “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità” non gli è piaciuto, lo trova contemplativo, quindi lento. Dato che quando ero andata al cinema a vederlo pure gli amici che erano con me hanno più volte sbadigliato, hanno detto che Dafoe certo era maestoso, ma il film lento, a tratti noioso, troppo poetico. Allora mi sono chiesta perché io mi fossi così entusiasmata per quel film. La risposta è semplice: avevo letto le lettere di Van Gogh.
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Il film in questo senso è elitario, non perdona l’ignoranza. Non puoi davvero apprezzarlo se non hai letto e riletto, studiato e contemplato le lettere di Van Gogh. Nelle lettere c’è veramente tutto. Dall’idea, al processo creativo, alla confessione più intima. L’uomo e arte sono insieme, una unica retta verticale che spacca quadro e carne. E Van Gogh era un uomo che sentiva l’arte sulla carne. Aveva rispetto per l’arte, dipingeva solo quando si sentiva in equilibrio completo. Diversamente non si avvicinava nemmeno ai pennelli, quindi toglietevi pure la fissazione dell’artista pazzo, della creazione nel disequilibrio. Sono belle favole, esaltanti, accattivanti ma dannatamente false.
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Van Gogh scrive in una delle tante lettere a Theo “quale è mai la vita che io considero la migliore? Indubbiamente è una vita fatta di lunghi anni di comunione con la natura in campagna – e con Qualcosa di Alto – inconcepibile, “orrendamente innominabile” – perché non è possibile dare un nome a quanto è più alto della natura”. Allora la lentezza del film è necessaria, scrive di lunghi anni di comunione con la natura, di un tempo estraneo all’uomo, di un tempo proprio di Qualcosa di Alto, forse solo di Dio. O del Dio che lo visita durante la creazione, in quel momento di pace disumana. “Sii un contadino (…), sii pittore, e come essere umano, dopo anni di vita in campagna e di lavoro manuale, già essere umano nel corso di questi anni, alla fine sarai divenuto qualcosa di migliore e di più profondo”. Quindi, sperimentare la vita nel sudore e nella fatica, nelle mani sporche di terra, nel toccare le spighe di grano in senso contrario, con quella sensazione ruvida di fastidio e piacere insieme. Nel film ci sono tante scene che rappresentano Vincent che cammina per ore e ore nei campi, sembra non fare niente, ci annoiano forse le immagini, vogliamo velocità e azione, vogliamo subito arrivare al taglio dell’orecchio, alle crisi. Ma è dalla lentezza e dalla solitudine che si apre la crepa, che si fanno strada le voci. Non potete avere Van Gogh pazzo senza averlo prima steso su un campo a farsi scorrere le formiche sul corpo. “Si sa che è impossibile conquistare la natura e renderla più malleabile senza una lotta terribile e senza avere una pazienza superiore all’ordinario”.
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Una delle lettere che più ho amato è quella che descrive il processo creativo, il pensiero, l’intento che sta dietro ai Mangiatori di patate: “Ho cercato di sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo di lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnato il cibo. (…) Potrà dimostrarsi un vero quadro contadino. So che lo è. Chi preferisce vedere i contadini col vestito della domenica faccia pure come vuole”. Ecco che allora Vincent si sporca le mani, le affonda nella terra, cerca di trovare un modo per estrarre dalla terra il colore, deve viversi tutta la natura sulla pelle, sfondare il giorno fino al tramonto nei campi, farsi bruciare la pelle dal sole e dal freddo.
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I suoi quadri si dovrebbero poter toccare, è fastidioso vederli nella teca, innaturale direi, si dovrebbe sentire il colore come si aggruma sulla tela, seguirlo nei suoi solchi come toccare delle rughe, annusarli questi quadri, perché “se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bolloni – va bene, non è malsano; se un campo sa di grano maturo, patate, guano o concime – va benone, soprattutto per gente di città”.
Clery Celeste
*Il film di Julian Schnabel, “Van Gogh. Sulla soglia dell’eternità”, è visibile su Sky. Qui i giorni in cui è programmato.