18 Aprile 2018

“Uno scrittore deve dire l’orrore e descrivere il vizio”: Walt Whitman (inedito) su Charles Dickens

Nel 1848, a trent’anni, Walt Whitman, l’Omero degli Stati Uniti d’America, indossa il manto di Ulisse, lascia il mondo sedentario e comincia a viaggiare. A commissionare il viaggio, il Crecent di New Orleans. Da lì, da quel viaggio furibondo tra Baltimora, Cumberland e Louisiana, si consolida l’idea di Foglie d’erba, raccolta lirica epocale – adorata perfino dal ‘nostro’ Dino Campana – rivoluzionaria, stampata in proprio da Whitman – che conosceva l’arte tipografica – nel 1855, che coagula viaggio esteriore ed estetico, impeto e impero del verbo, vita e lirica. Per tutta la vita, come si sa, Whitman continuerà e rielaborare, correggere, aumentare le sue ‘foglie’, con l’idea che gli Usa in se stessi – libertà, vastità, individualismo, democrazia – siano un poema, Iliade e Odissea (così l’oceanica intro del 1855, secondo la versione di Alessandro Ceni: “Gli americani di tutte le nazioni d’ogni tempo sulla terra posseggono probabilmente la natura poetica più piena. Gli Stati Uniti stessi sono essenzialmente il poema più grande”). Rewind. Whitman comincia come giornalista. Lo sguardo curioso, attento ai minimi dettagli della vita, la passione ‘politica’, l’estro retorico lo impara in redazione. Spia il ‘mestieraccio’ nel Long-Island Star, tenta di fondare un proprio giornale, il Long Islander, ma è un insuccesso. Dopo una fausta parentesi come insegnante, nel 1842, a New York, il futuro poeta si prova come collaboratore per il The New York Aurora, giornale di modeste dimensioni, di tendenza democratica, nato l’anno prima; dal 1846 al 1848 passa a fare l’editorialista per il Brooklyn Eagle. Ora. Il ‘The Walt Whitman Archive’ ha allineato gli articoli che il poeta statunitense più celebre e imitato di sempre ha scritto. A noi sorprende una circostanza casuale – ma, si sa, il caso ha un vizio shakespeariano nel dedurre le proprie trame. “L’approdo di Whitman all’Aurora coincide con la visita di Charles Dickens a New York, nel 1842. Il 15 febbraio del 1842, poco più di un mese prima che Whitman diventasse redattore del giornale, la rivista recensisce il ‘Grande Ballo di Dickens’ al Park Theater e descrive lo scrittore come ‘il leone del giorno, Boz l’immortale’”. Nell’editoriale che pubblichiamo, finora inedito in Italia, Dickens and Democracy, Walt Whitman prende le difese di Dickens contro un suo detrattore, John O’Sullivan, autore di un articolo banalotto edito dalla Democratic Review. Il testo, che mette a confronto il più noto poeta made in Usa (ma ancora in potenza) con il più celebre scrittore inglese, è importante per un aspetto. Whitman dice che compito di un grande scrittore – quale è Dickens, ai suoi occhi – è sondare il male, snidarlo, descriverlo. Senza timore di essere troppo violenti e scurrili. Il poeta non può ignorare la natura delle cose, deve guardare l’orrenda e gloriosa varietà del mondo (“La prova di un poeta è che il suo paese l’assorbe tanto affettuosamente quanto egli ha assorbito il paese”), non può sollevare lo sguardo dall’orrore. Al contrario, deve impaniarsi in esso, e dirlo fino all’ultimo respiro.

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Abbiamo ricevuto ieri il numero di aprile della Democratic Review. Contiene una lunga recensione – rispetto alla solita porzione di articoli politici. Il testo principale è dedicato “al Signor Dickens”. Leggiamo con piacere tre o quattro pagine, quando, improvvisamente, assistiamo alla carica del critico contro Boz [Boz è il nomignolo di Charles Dickens, tratto da ‘Boses’, che deriva da ‘Moses’, Mosè, ndr] pronto ad attaccare lo scrittore con la ferocia e la schiettezza propria di un esercito. La recensione dice, parlando di Dickens e dei suoi romanzi: “C’è un vistoso difetto in queste opere, nonostante l’applauso indiscriminato che gli tributa il pubblico. Alludiamo all’atroce esagerazione dei personaggi cattivi. Non esistono creature del genere in questo mondo. Pigliate Quilp [il cattivo de La bottega dell’antiquario, ndr], e l’intricata, maliziosa descrizione del tutto astratta di ciò che è malvagio – perché Boz sente il dovere di disgustare e ferire la nostra sensibilità morale in questo modo?”. Per non essere accusati di trattare in modo ostile il critico in questione, aggiungiamo che il tono generale dell’articolo è favorevole a Mr. Dickens ed esprime massima soddisfazione per l’accoglienza che gli americani hanno riservato a cotanto ospite. Ora però dobbiamo, in libertà, fare alcune osservazioni su alcuni passaggi della recensione menzionata.

Boz non è un utopista. Nonostante i suoi libri possano essere scritti soltanto da un uomo il cui cuore sia gonfio di sentimenti generosi, che nutra fiducia nei propri simili e nel raggiungimento della loro perfezione – ha, in effetti, una certa propensione a guardare il lato positivo della vita – Boz sa, come la maggior parte di noi, che nel mondo ci sono molti uomini malvagi – molte creature i cui cuori sono case orrende infestate dai mostri, la cui presenza è un contagio letale. Ed è necessario mostrare queste creature nella loro cruda deformità. Molte persone, animate da buoni sentimenti ma con una mente debole, hanno una delicatezza inadatta a questo argomento. Getta il malvagio al pubblico ludibrio, diciamo noi; il medico cura il cancro tagliando con lama affilata, con colpo profondo.

Eppure, la Democratic Review è certa che “non esista in natura alcun personaggio” paragonabile ai malvagi di Dickens. Voglia il cielo che ne fossimo così ragionevolmente certi! Qui, a portata della nostra voce, c’è una palpabile incarnazione del male, tale che neppure il cervello di Dickens ha mai trascritto su carta! L’essere a cui alludiamo è peggiore del peggiore dei personaggi creati da Dickens. Un rettile che segna il proprio tracciato con la melma, e tramuta in muffa ciò che è fresco e fragrante, un demone della mezzanotte, che predica marciume e ripugnanza; uno che i buoni evitano come una macchia sulla natura – che tutti disprezzano e che nessuno benedice – questo è James Gordon Bennett [James Gordon Bennett (1795-1872), giornalista, fondatore del New York Herald, fu celebre per la sua spregiudicatezza, per gli attacchi scurrili ai politici del tempo e per un celebre articolo del 1835, che fece scandalo, in cui pubblicò la fotografia del cadavere di una prostituta, ndr]. Accostato all’astuzia e all’aristocratica bestialità di Fagin – all’infernale depravazione e alla gioia satanica nel torturare di Quilp – all’insensibilità a ogni virtù di Sikes [Fagin e Sikes sono personaggi non proprio nobili de Le avventure di Oliver Twist, ndr] questo disgustoso agente della dannazione somma il fatto di non essere nato in una fogna americana, ma di avere onorato della sua presenza, fin dalla prima età, un porcile della nativa Inghilterra del Nord!

Come vedete, la Democratic Review non deve andare molto lontano per vedere rovesciati i suoi argomenti. In realtà, l’autore della recensione manca di coerenza nella sua dottrina. Carattere di una nobile mente, infatti, è guardare le altre creature con sguardi ampi, colmi di amore comprensivo, di generosa fiducia nelle loro virtù. Eppure, è altrettanto necessario, a volte, descrivere un vizio sublime – raffigurato nella sua abbagliante realtà – e insegnare quanto sia terribile l’iniquità e quanto sia saggio questo per evitare di percorrere le vie del male.

Walt Whitman

 

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