02 Agosto 2018

Uno scrittore che non teme l’iconoclastia e la strafottenza: storia dell’inafferrabile Max Aub (che scrisse la più bella delle biografie immaginarie)

Chi è stato Max Aub e che cosa ha da dire ancora ai suoi lettori di oggi? Dare un giudizio complessivo su di lui è molto difficile senza ricostruire almeno parzialmente i suoi percorsi di scrittura e di vita. La poliedricità della sua produzione e i molteplici ruoli da lui impersonati (il commediografo, il romanziere, il saggista, il diarista e l’inventore di biografie tra il serio e il faceto) rendono difficile individuare una linea interpretativa all’interno della sua opera fitta e complessa. L’opera di Max Aub risulta difficilmente etichettabile all’interno dei recinti della critica tradizionale e, soprattutto, rifugge a una definizione valida una volta per tutte.

I tempi letterari di Max Aub sono stati almeno due. Alla dimensione sperimentalistica, tutta fatta di intuizioni estemporanee e di provocazioni programmaticamente intriganti, è sempre stata collegata un’importante serie di opere maggiormente legate a forme di realismo critico, inaugurata da testi teatrali più impegnati sotto il profilo sociale. A questa fase, tuttavia, è poi sempre stata intrecciata una serie di divertissement solo apparentemente disinvolti e smagati come è il caso della finta biografia artistica Jusep Torres Campalans del 1958.

In sostanza: Max Aub ha alternato testi di critica della società con intenti di intervento sulla realtà e la sua drammatica e prepotente urgenza a opere provocatorie e “leggere”, intese a produrre effetti esilaranti o solo spiazzanti nel lettore. A questo livello appartengono i testi teatrali raccolti sotto il titolo di L’Impareggiabile malfidato (l’opera con questo stesso titolo è del 1931) come pure i brevi testi narrativi che vanno direttamente inclusi nella categoria del “delitto esemplare”. Questa raccolta di testi brevissimi e folgoranti, il primo libro di Aub a essere conosciuto in Italia, se si escludono i testi teatrali della sua prima stagione, presenta illuminazioni surreali e spesso allucinate di notevole qualità espressiva.

Delitti esemplari viene attribuito alla fase satirica (o comunque umoristica) della prosa dello scrittore spagnolo ma, in realtà, è molto di più: è un tentativo di mostrare, in maniera deliberatamente amplificata, l’altra faccia dell’esistenza. Basterà leggere uno o due dei brevissimi raccontini della raccolta per rendersene conto:

«Sono maestro. Da dieci anni insegno nella scuola elementare di Tenancingo. Sui banchi della mia classe sono passati tanti bambini. Credo di essere un buon maestro. Lo credetti finché non spuntò fuori quel Panchito Contreras. Non mi prestava alcuna attenzione e non imparava assolutamente niente: perché non voleva. Nessuna punizione, né morale né corporale, gli faceva effetto. Mi guardava insolente. Lo supplicai, lo picchiai: non ci fu verso. Gli altri bambini cominciavano a prendermi in giro. Persi ogni autorità, il sonno, l’appetito, finché un giorno non ne potei più, e, perché servisse d’esempio, lo impiccai all’albero del cortile»

Il tono, come si può vedere, è beffardo, scritto da una penna intrisa nel vetriolo, fatta di provocazioni e di intimidazioni – una scrittura che non concede niente a nessuno e si fa spazio per pura forza di intelligenza, una scrittura che non teme l’iconoclastia e una qual certa dose di strafottenza, quella stessa che nel 1960 lo spinse a pubblicare La vera storia della morte di Francisco Franco. Ma Aub non è soltanto un giocoliere della parola – le tragedie da lui vissute sono autentiche. Considerato un autentico giovane talento del nuovo teatro spagnolo, antesignano del teatro dell’assurdo ancora di là da venire, l’impatto con le vicende tragiche e sanguinose della Guerra Civile spagnola, lo costringono alla fuga in Francia. Ricercato dai franchisti per il suo impegno politico (è sua la sceneggiatura di Sierra de Teruel, il film di André Malraux ispirato al suo romanzo La speranza e girato in studio tra il 1938 e il 1939, a guerra finita), Aub riparò in Francia dove si aspettava un’accoglienza quanto meno decente. E, invece, no: segnalato alla polizia francese come “comunista e rivoluzionario d’azione ebreo” viene arrestato il 5 aprile 1940 e detenuto, in un primo tempo, nello stadio di Roland Garros, poi spedito nel campo di concentramento di Le Vernet d’Ariège, a pochi chilometri dalla frontiera pirenaica. Rilasciato, in un primo tempo, grazie alla mediazione del governo messicano, le sue traversie continuano: imprigionato a Nizza, poi di nuovo a Le Vernet, finisce su una nave destinata al trasporto bestiame e deportato al campo algerino di Djelfa da cui riuscirà ad uscire il 18 maggio 1942 sempre per mediazione messicana e, dopo un soggiorno clandestino a Casablanca, si imbarca per il Messico dove resterà per tutto il resto della sua vita (Aub morirà il 23 giugno 1972 a soli 69 anni – era nato a Parigi nel 1903). Nei trent’anni dell’esilio messicano tornerà una sola volta in Spagna nel 1969. Delle vicende sconsolate e spesso irritate del soggiorno spagnolo (dal 23 agosto al 4 novembre di quell’anno) parlerà a lungo in La gallina ciega del 1971 che sarà il libro della disillusione e della critica alla società spagnola, del ritorno alle origini e della rinuncia definitiva a rientrare nel panorama culturale spagnola dell’epoca ormai postfranchista.

Ma la dimensione realistica, di denuncia esistenziale e di polemica politica insieme, non è concentrata soltanto nella serie di sei romanzi dedicati alle vicende della Guerra Civile e intitolati definitivamente nel 1968 Il labirinto magico, ma compare anche in testi precedenti come il dramma San Juan del 1943. In esso, la vicenda di una nave mercantile (il San Juan appunto) che dovrebbe trasportare dei profughi ebrei in fuga dalla Shoah ormai imminente verso la Palestina assurge a simbolo della tragedia universale del vivere e del dover scegliere che cosa fare in una situazione apparentemente impossibile. Bloccati in acque territoriali internazionali, respinti da tutti i paesi cui hanno chiesto asilo, i personaggi vivono l’attesa di una possibile soluzione dei loro problemi di sopravvivenza senza raggiungerla.

Aub 1Il suo libro più significativo degli anni Cinquanta è però la biografia immaginaria dedicata a Jusep Torres Campalans, un pittore catalano che non è mai esistito ma che ricorda le vite di Picasso e di altri pittori spagnoli attivi a Parigi negli anni Trenta: quello di Aub è un esercizio divertito e divertente, fatto di innesti da biografie autentiche e di particolari forse autobiografici o forse dedotti imprudentemente da altre vite meno illustri e significative. Ma è soprattutto una dichiarazione di poetica, imbastita com’è di riflessioni sulla pittura, sulla natura e la filosofia dell’arte e la prospettiva di una sua trasformazione e rigenerazione profonde.

Jusep Torres Campalans è stato il primo libro di Max Aub a essere tradotto in Italia (anche se la sua eco non è stata straordinaria) – proporne la lettura oggi significa riproporre, in realtà e in termini nuovi, l’opera e la figura stessa del suo autore. Dedicato ad André Malraux con il quale Aub ha condiviso la realizzazione del film Sierra de Teruel (poi distribuito anni dopo la sua realizzazione, nel 1945, con il titolo più consono di L’Espoir), questo libro si pone a metà tra la serietà e la beffa, tra il romanzo di totale invenzione e la ricostruzione di ambiente storico, vuole essere un “ritratto in piedi” di un personaggio inesistente eppure vivo e presente nella mente di chi legge.

Il pretesto per la sua stesura risulta decisamente occasionale come si deduce dall’incipit del libro: dopo aver tenuto una conferenza a Tuxla Gutiérrez, capoluogo del remoto stato di Chiapas, l’Autore viene presentato a “un uomo magro, dal viso bruno, che chiamavano ‘don Jusepe’” e che gli chiede di dove sia. Ad Aub che gli risponde di essere nato a Parigi, l’uomo risponde: “Parigi… Esiste ancora, Parigi?” e, dopo aver sorriso, si allontana, “dritto, appoggiandosi al bastone”. Allo scrittore che richiede chi sia l’uomo, gli viene risposto che è Jusep Torres Campalans cioè un perfetto sconosciuto per lui. A questo punto, una qual certa curiosità prevale e le domande si moltiplicano: Chi è l’uomo? Cosa fa? Niente. Un personaggio misterioso, dunque. Per questo motivo, incuriosisce l’Autore che decide di ficcare “il naso nella sua vita”. Il risultato sarà la sua biografia per lumi e testimonianze sparse, un esame dettagliato della sua vocazione pittorica, squarci e illuminazioni sulla sua possibile vita privata e intima:

«Per un romanziere che ha scritto anche delle commedie, una biografia è come una trappola. Il personaggio c’è già, completo, e non si ha nemmeno libertà di tempo. Perché l’opera riesca bisogna attenersi strettamente al protagonista: descriverlo, farne l’autopsia, precisare le date, tentare una diagnosi. Evitare, entro certi limiti, ogni interpretazione personale. Esattamente l’opposto di quel che si fa in un romanzo. Metter le manette alla fantasia, stare ai fatti. Far storia. Ma ecco il punto: si può riuscire a capire un nostro simile servendosi soltanto della ragione?»

La domanda è metafisica ma Aub non l’affronta in questi termini. La verità non gli interessa, anzi lo impiccia, lo fuorvia, in parte lo disturba. Lo scrittore preferisce costruire un mondo del tutto immaginario che però spesso ha il sapore del reale.

In questa prospettiva è forse possibile oggi inquadrare la vicenda letteraria di questo scrittore vissuto tra Europa e Messico senza appartenere a nessuno di questi due universi culturali.

Giuseppe Panella

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Di Max Aub sono leggibili in Italia, tra l’altro, “Delitti esemplari” (Sellerio, 1981), “Gennaio senza nome” (Nutrimenti, 2017) e la biografia immaginaria di “Jusep Torres Campalans” edita quest’anno da Theoria.

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