Ci siamo incontrati sul corpo di Guido Morselli. Di solito parliamo in orari dispari, quando fa alba o cala la notte. Non so mai in quale lato di mondo stia camminando: a volte mi dice di essere in Messico, altre negli Stati Uniti, oppure in Latinoamerica. Comunque, è sempre in ricerca. Nell’ultima mail mi scrive, “vado dopodomani a Londra, e poi in Islanda”. Guido Mina di Sospiro è uno degli scrittori più eccentrici che conosca. Nato a Buenos Aires, cresciuto a Milano, studi in California, ha scritto libri importanti e controcorrente – l’ultimo, Sottovento e sopravvento, è stato pubblicato lo scorso anno da Ponte alle Grazie, vanno ricordati L’albero, per Rizzoli, e La metafisica del ping-pong, sempre per Ponte alle Grazie. Consapevole dello stato del sistema editoriale italiano – imbrigliato nel solito ring nepotistico e mercantile, che modestia imprenditoriale – Mina di Sospiro scrive prima in inglese, poi vede come va nel resto del pianeta. Esito: dei suoi libri si parla ovunque, dal Times a Vanity Fair, la nota Wikipedia che lo riguarda è rigorosamente in inglese, ma lui continua, con imperterrita dedizione, ad amare l’Italia. Ci parliamo, appunto, intorno ai 45 anni dalla morte di Morselli. E lui mi fa. “La sua triste (non) vicenda editoriale, in vita, è sempre stata per me un monito, per questo poco prima di compiere i trent’anni sono passato a scrivere in inglese”. Davvero? “Lessi Morselli da ragazzo, quando, poco dopo il suo suicidio, esplose il caso letterario. Ti puoi immaginare, basare un libro su una citazione di Giamblico nell’Italia marxista di allora…”. A quel punto, impongo a Guido di fermarsi un attimo – non so più da quale fuso orario mi scriva. Facciamo una intervista? Ci sta. Eccoci. (d.b.)
Caso Morselli, a cui ti ritieni affine. Insomma, in Italia, editorialmente parlando, è sempre stata tutta una questione di amicizie più o meno utili e di scambio di favori?
Non propriamente affine. È che ho letto da ragazzo il suo Dissapatio H.G., e poi altri romanzi, e percepito che l’assurdità di uno scrittore validissimo eppure non pubblicato in vita poteva avvenire, non era materiale da romanzo. E in più il suicidio – orribile. È stato un monito. Perciò, a un certo punto, e dopo diversi tentativi con editori italiani anche se già vivevo in America, sono passato all’inglese; in un secondo tempo, vari miei libri sono stati tradotti in italiano. Non credo che sarebbero stati pubblicati in Italia se li avessi scritti direttamente in italiano. Negli anni di Morselli l’editoria italiana era claustrofobica e incestuosa, d’ideologia rigorosamente ed esclusivamente di sinistra, e in più di un provincialismo sconcertante. Qualcuno si ricorda di Sua Pochezza Alberto Moravia? Imperava assoluto, allora, sulla scena letteraria italiana. Morselli era apolitico, e troppo colto, originale e fantasioso per quel milieu.
Ma… la scrittura non dovrebbe essere sempre un gesto controcorrente, contro le mode, un esercizio di ‘cultura’, di idee, secondo la tradizione europea? Cosa è oggi la scrittura?
Tutt’altro; la maggior parte della scrittura è mero formula writing. L’editore, l’agente letterario, lo scrittore – sono tutti ossessionati dalle vendite. Ogni tanto, per sbaglio, qualcosa di originale viene pubblicato e, secondo miracolo, ottiene successo commerciale. Da quel momento, gli editori si precipitano a pubblicarne cloni. Tanti anni fa, il leggendario editore Mario Spagnol, riferendosi a non ricordo più quale libro, mi disse: “Sebbene sia un buon libro, sta vendendo bene”. Negli anni Ottanta, a Los Angeles, Frank Zappa m’invitò a casa sua; parlando di musica mi confidò: “I’ve never seen anybody in an executive position in a record company who gave a fuck about music. They all hate music, and worse than that they hate the people who make the music!” [Non ho mai visto nessuno in una posizione dirigenziale in una casa discografica a cui importi un cazzo della musica. Odiano tutti la musica, e quel che è peggio è che odiano la gente che fa musica]. Si può dire lo stesso degli editori e dell’editoria? Non è una domanda retorica; me lo sono domandato spesso. L’editoria va sempre di più verso la consolidazione in enormi conglomerati. Tali conglomerati fondano la propria business strategy sulla legge dei grandi numeri. Ammettendo implicitamente di non saper prevedere quale libro avrà successo (è educated guessing, un po’ come le previsioni dei meteorologi), pur applicando tutti i parametri del caso ma basandosi inevitabilmente su ciò che ha avuto successo ieri, i grandi conglomerati pubblicano moltissimi titoli, sapendo che la maggior parte di essi non ripagherà nemmeno le spese. Ma fra i tanti titoli, uno, si spera, diventerà un best-seller (vendendo più di, mettiamo, un milione di copie), o magari due o tre. L’industria editoriale contemporanea vive di best-sellers. Un modus operandi così aleatorio farebbe supporre una grande libertà di scelta editoriale: provare di tutto un po’, finché qualcosa funziona. Ma non è così: gli acquisition editors giustificano i loro salari facendo sì che le proprie sembrino scelte oculatissime, quando spesso i best-sellers sono sorprese. Senza dimenticare il ruolo degli agenti letterari, che sono ancora più retrogradi e rarissimamente s’impegno nel vendere qualcosa di originale. Tale è lo status quo dell’editoria a grandi livelli. Ci sono poi ancora, qua e là, piccoli editori, ma che senso ha pubblicare se poi non si fruisce di promozione e distribuzione adeguata ma si ‘regalano’ comunque i diritti?
Immagino che tu ti tenga alla larga dai libri ‘da ombrellone’. Beh, consigliaci qualche lettura ‘controcorrente’, per così dire…
Leggere va bene dappertutto, anche sotto l’ombrellone, perché no? In breve: 1) Costruirono i primi templi. 7000 anni prima delle piramidi di Klaus Schmidt, circa Gobekli Tepe: la storia che ci hanno raccontato a scuola è proprio un racconto, o meglio, una favoletta. La scoperta di Gobekli Tepe ha cambiato tutto. 2) Per ridere, ma anche riflettere, George McDonald Fraser ha regalato al mondo l’anti-eroe Flashman; consiglio qualunque romanzo della serie, ciò che trovate di seconda mano. E mi fermo qui.