19 Luglio 2018

“Un uomo si stava radendo. Poi si è buttato dalla finestra. Tutto comincia così”: dialogo estremo con Paolo Castronuovo, lo scrittore con 18 libri inediti nel PC

Se il buon giorno si vede dall’incipit. “Il rasoio nuovo scivola che è una meraviglia. Sto togliendo quella matassa infinita di barba insediata da polvere, tufo e gocce di pittura. Voglio restare pulito per compiere la mia opera migliore. La galleria è giusto un paio di isolati più in lì, farò due passi fumando l’ultimo sigaro, o meglio il primo dopo una lunga pausa per via di una faringite cronica. Ma stavolta bisogna festeggiare, prima che i vermi mi ricoprano le mani, la faccia, il corpo, e che s’insidino sotto i vestiti. Quest’opera mi taglierà in due, sarà tassidermica, forse un po’ spinta, un po’ macabra, ma di sicuro la mia maggiore di tutti i tempi. Vorrei fosse epocale”. Non male. Paolo Castronuovo, che ha già una attività editoriale intensa, da Labirinti (2009) a L’insonnia dei Corpi (2018), esce ora con il suo lavoro più complesso, La Falla Oscura (Castelvecchi, pp.90, euro 12,00), fluviale monologo, dissacrante distopia, evento linguistico che fa a fette pensiero e mente, tempo e spazio. Non mancano, in questo delirio dell’io compresso in imbuto, alcune granate in faccia al sistema editoriale odierno. “Non mi chiedo più nulla sull’editoria in generale, o su quella specifica per la poesia, piena di poeti, agenti, critici, giudici, direttori di collana. Sono sempre gli stessi nomi e gli stessi volti. Sette che tirano avanti il carro per sé stessi, che pubblicano e premiano poesie glitterate e poetesse tettone che non appiccicano due parole. Ormai so che è così, e questo mondo editoriale non cambierà mai”. Per la programmatica violenza nel rompere con le consuetudini della narrativa italiana, Castronuovo pare un nipotino di Antonio Moresco, l’avatar di Philip K. Dick in una fiction girata a Saigon. Caos, insomma.

CastronuovoDa quale intuizione arriva “La Falla Oscura”, quali sono state le ispirazioni? E… che senso ha, cosa vuoi dirci tramite quel romanzo?

Un uomo si sta radendo e all’improvviso si butta dalla finestra. È partito così. Accade sempre così, io apro un documento word e comincio a scrivere tutto ciò che mi passa per la testa. Proprio come per la poesia – il mondo da cui provengo – ho una scrittura automatica, surreale e pulsante. Penso subito a come un libro dovrebbe finire e scrivo subito il finale, poi passo all’inizio, e infine alla parte centrale, per dilatarla, ampliarla e conciliare i due estremi. Quindi più che ispirazione, a cui francamente non credo, c’è molta sudorazione, lavoro, tagli, cesure, cicatrici (non mi alzo dalla sedia fin quando non mi escono le emorroidi dalle ascelle. Tutto deve essere preciso. Senza incongruenze) e soprattutto un vissuto da raccontare. Con La Falla Oscura, ho “raccontato” una storia più lineare rispetto al mio precedente romanzo, in cui lasciavo divertire il lettore a collegare il tutto come in un puzzle. Ho pensato subito di mettermi a nudo con la mia biografia… un viaggio tortuoso nella psichiatria di cui solo ora rendo pubblico, ma alla fine, a chi interessa? Chi sono io, di così importante, da poter suscitare interesse raccontando la mia vita e il mio calvario con la depressione? Ce n’è fin troppa di questa roba, se non robaccia. E poi avrebbe davvero un senso? Allora l’ho impostata così: “Un autore comincia a scrivere di se stesso, della sua vita, prima di suicidarsi – anche se non lo rendo chiarissimo per i motivi che si leggeranno –, ma il suo Corpo e la sua Mente, che io chiamo Pensiero, si distaccano l’uno dall’altro. Il Corpo si occupa di arte contemporanea estrema – e su questo devo dire che mi aveva incuriosito la morte dell’artista Chiara Fumai, la performer trovata esanime nella sua galleria – e il Pensiero si occupa della scrittura, ma entrambi devono riconciliarsi, unirsi nuovamente, l’uno non può stare senza l’altro. Il Corpo è impulsivo, e il Pensiero è troppo razionale”. Il tutto poi sfocia nella seconda parte: Sconfinamento, dove il narratore che ha smesso di scrivere le sue memorie si accorge vedendo un notiziario che la Terra è ferma per via di una collisione asteroidale. Il Tempo non esiste più e lo Spazio sta scomparendo. Deve quindi trovare la sua redenzione, la sua pace, nonostante incontri sempre sui suoi passi un losco personaggio chiamato il Lercio, che tenta di ostacolare la sua missione. Missione infatti è il titolo della terza parte. La storia dell’asteroide che spazza il Tempo e lo Spazio annullando ogni forma di dimensione spaziotemporale, e di cronaca, su cui tutti i romanzi ormai si fondano, è l’analogia della perdizione, del distacco del vuoto in cui si vive. Come lo è anche il titolo, La Falla Oscura: il luogo inesplorato di ognuno. Il narratore si analizza, perlustra nel suo passato più profondo e fa di questa avventura una terapia. Mi piaceva l’idea di inserire una storia distopica. Una semplice storia biografica come un raccontino annoierebbe. Quindi quando mi chiedono di che parla il mio romanzo, mi risparmio tutta questa pappardella e dico che è una biografia distopica – a sfondo psicologico.

Scrittura in prima persona, in lucidità delirante: perché? Come scegli il linguaggio con cui rivestire i tuoi lavori?

La prima persona è fondamentale per me. Mi immerge meglio in un mondo/universo tutto mio, non mi distrae da terze persone o terzi elementi. In tutti i miei scritti compare sempre la prima persona per adesso, poi un domani si vedrà. La Falla Oscura dovrebbe essere l’inizio di una trilogia: La Trilogia Nulla. Dico sempre “dovrebbe” perché scrivendo in questa maniera non so quasi mai dove andrò ad approdare, o meglio, ho sempre un obiettivo, ma mi dilato molto nelle revisioni e nel cercare di rendere il tutto collegato perfettamente tramite i dettagli, com’è accaduto in precedenza e come accade.

Cosa leggi? Che giudizio hai sulla narrativa italiana di oggi, sul sistema editoriale italico?

Sono un lettore onnivoro, ma mi nutro soprattutto di Beat Generation, Surrealismo, Neoavanguardia, Postmodernismo e sperimentazioni letterarie. Sulla narrativa di oggi vorrei dire che è quasi tutta merda. Si confezionano libri a puntino. Basta vedere i più venduti, dall’illeggibile Sole, all’ovvietà di Gio Evan con le sue pugnettine per casalinghe che vogliono rimanere giovani, e adolescenti che nulla stanno facendo che suicidarsi in un baratro abissale più squallido della retorica. Non è tutto da buttare però, ci sono nuovi autori (quelli che come ambizione hanno solo scrivere) davvero bravi. Ad esempio Introna, che per il suo ultimo libro ha lavorato svariati anni, o anche Funetta con la sua prosa dissacrante e distopica, per non parlare di quel folle di Krauspenhaar da strangolare e abbracciare. I miei preferiti però, di tutti i tempi e geografie rimangono sempre Moresco – a mio avviso il miglior scrittore italiano, basta leggere la sua trilogia I Giochi dell’Eternità per capire il calibro infinito di quell’uomo – , Moravia, Bene, Burroughs, Wallace, Ginsberg, Cartarescu. Come vedi, Davide, spazio di infiniti “generi” e sempre meno italiani. Per il resto leggo moltissima poesia. Non potrei farne a meno, neanche di scriverla. Dire chi è il mio poeta preferito è troppo complicato.

Come si concilia la poesia con il romanzo, con la prosa?

Ecco, come accennato, Mircea Cartarescu sarebbe l’esempio lampante. Lui a mio avviso non scrive romanzi, ma poesie infinite, mastodontiche, eterne. La mia personale opinione è che rimangono due cose conciliabili solo tramite lo stesso autore. Un poeta può scrivere un buon romanzo. Uno scrittore scriverà poesie pessime. Questo si è visto e ripetuto più volte nella Storia. Basta pensare alle illeggibili poesie di James Joyce, e alla sua Divina prosa sperimentale. Che nessuno ha capito, e mai capirà. Basta pensare all’Ulisse: “Io Leopold mi accodo a un funerale, mia moglie mi tradisce e ne sono a conoscenza”. È questo il vero riassunto di quel librone. È non il cosa, ma il come dici qualcosa. Quanta dedizione ci metti. Come e dove riesci a collocarlo. C’è più poesia nella prosa di Joyce che nei suoi versi. Joyce, per dirne uno. Poi, ovviamente ci sono stati nella Storia della Letteratura casi lampanti, come Leopardi, D’annunzio.

C’è un legame, a tuo avviso, tra arte e politica, tra scrittura e potere? T’importa questa politica, quella di oggi?

La politica e l’arte devono ben distanziarsi. Sia nei contenuti che nel potere dei premi. Ungaretti, uno dei miei poeti preferiti in assoluto, ma estremamente distante a livello politico, non ha vinto il Nobel perché era di destra. Ma lo meritava più che di Montale. Per i premi, poi, oggi ce ne sono talmente tanti che ormai mi rifiuto di parteciparvi. Vedo i vincitori e sono sempre gli stessi. Questo però è un capitolo a parte menzionato anche nel mio romanzo. Ma ci si potrebbe scrivere un libro a parte. Per la politica nell’arte, anche gli “addetti alla cultura” dovrebbero metterla da parte. Altrimenti sporcherebbero tutto, e si troverebbero dinanzi un pubblico che gli sta dietro solo per convenienza, che gli dà ragione giusto perché deve (ma alla fine non vuole). Invece per la politica di oggi… Ah, abbiamo politici all’opera? Credevo avessero chiuso il Parlamento trasformandolo in un grande Bar.

Il libro della vita. Il libro che avresti voluto scrivere. Il libro che scriverai. Dimmi.

Come dicevo prima, come per i poeti preferiti, non c’è un mio libro preferito. Ma Canti del Caos di Moresco; Pasto Nudo di Burroughs; La Scopa del Sistema di Wallace; La Storia dell’Occhio di Bataille; e Kaddish di Ginsberg, e le poesie di Bréton, rimangono dei miei punti cardini. Per quanto riguarda il futuro credo di riscrivere il mio precedente romanzo, per adattarlo a questa fantomatica trilogia che ti dicevo. Ho già il nuovo titolo in mente, o meglio, sono obbligato a usare quello in quanto menzionato con un titolo fittizio ne La Falla Oscura. Accadrà comunque, ne sono certo, che la poesia prenderà il sopravvento e continuerò a scrivere, scrivere, scrivere… Ma mai, e guai, pubblicare tutto. Ho diciotto inediti sul PC, e rimarranno lì.

 

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