Il 5 gennaio del ’22 Umberto Eco compirebbe 90 anni. L’evento è festeggiato da un numero monografico de “I Quaderni dell’Aldus Club” titolato, appunto, Echi di Eco. Il Professore, il bibliofilo, il romanziere, il “battutista”… L’opera di Eco, poligrafo di genio, è sviscerata, tra gli altri, da Mario Andreose, Matteo Collura, Stefano Salis, Giuseppe Lupo, Paolo Mauri, Sefano Bartezzaghi, componendo una rivista per curiosi, collezionisti, eco-logi, cioè studiosi che fanno esegesi nella foresta verbale di Eco. Qui, per gentile concessione, riproduciamo il testo di Mario Baudino, Semiotica del “complotto”.
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Il pendolo di Foucault non inizia veramente con le Sephirot della Kabbala ebraica, le dieci modalità attraverso le quali l’infinito si manifesta nel finito, ben disegnate nella prima pagina: direi piuttosto con un esergo, e con una frase (diventata poi celebre) che pronuncia Belbo, uno dei tre redattori orribilmente beffati dal gioco esoterico-complottista che hanno loro stessi creato. L’esergo dice semplicemente: «La superstizione porta sfortuna» (da un libro del matematico Raymond Smullyan, 5000 avanti Cristo e altre fantasie filosofiche, tradotto da Zanichelli nel 1987) e non è solo una simpatica battuta, forse un paralogismo, ma una chiave per il romanzo. E Belbo, poche pagine avanti, osserva piuttosto divertito, ma anche pensoso davanti a Casaubon, il giovane protagonista, quello che nel romanzo parla in prima persona: «Quando uno tira in ballo i Templari, è quasi sempre matto».
Casaubon sta completando la tesi di laurea proprio sull’ordine dei monaci-guerrieri medioevali, piatto forte di ogni esoterismo successivo, ed è questa la molla narrativa che rende possibile il libro. Se la battuta di Belbo fosse solo un modo un po’ brusco per liberarsi dell’interlocutore, tutto finirebbe lì: invece proprio da questo incontro nasce uno dei romanzi più complessi, tragicomici e divertenti del nostro Novecento, il romanzo che ci racconta l’epica del complotto, e non solo. Sulla base delle innovazioni tecnologiche disponibili nel momento in cui Eco scrive, riesce non certo a profetizzare (sarebbe anche questa, tutto sommato, una cosa da matti), ma a dedurne con grande lucidità gli sviluppi futuri, ivi compresa l’era di Internet e dei social, allora di là da venire. Aveva già o stava elaborando una chiave, un’ipotesi di lavoro che si è rivelata efficacissima anche per descrivere il nostro presente: la teoria della “semiosi ermetica”, sviluppata a partire dal 1990 con il saggio su I limiti dell’interpretazione.
Il pendolo di Foucault, nel 1988, ne è già un anticipo narrativo: perché la semiosi ermetica consiste secondo Eco in una forma deviata, malata, patologica di comunicazione che si può rintracciare in tutta la nostra storia, non solo occidentale, dall’ermetismo ellenistico fino alla modernità passando per Rinascimento o, poniamo, il Romanticismo. Si basa su una sorta di assioma, neoplatonico, e cioè che le cose possono essere vere anche se si contraddicono; e non solo: quando si contraddicono è il segnale che nascondono qualcosa di molto interessante, per esempio un segreto, un messaggio criptato. Dicono insomma altro rispetto a ciò che sembra (proprio come, per fare un esempio celeberrimo, i dischi dei Beatles che suonati al contrario rivelerebbero, secondo una linea di pensiero quantomeno bizzarra, messaggi diabolici). È inoltre evidente che se c’è un segreto non va rivelato, e dunque è perfettamente inutile confutare il ragionamento dell’adepto. Non vi darà ascolto, se una sciocchezza è stata tenuta per vera nei secoli non se ne deve dubitare. Il pensiero magico, o tradizionale o tradizionalista, è inscalfibile.
Nel Pendolo Eco non si spinge fino a indicarne gli attuali o recenti sostenitori e ierofanti, anche i non pochi celebri, spesso ma non necessariamente alfieri di una certa filosofia di aristocratica destra: sta ai suoi “matti” – tra cui qualche fascista − e ricostruisce la mirabolante storia che, dal processo contro i Templari intentati dal re di Francia Filippo il Bello a inizio Quattrocento fino ad oggi (si concluse com’è noto con la dissoluzione dell’ordine a furia di roghi, almeno nell’Esagono), ha visto alternarsi tutta una serie di correnti esoteriche intente a cercare, anzi a proclamare di conoscerlo, il “segreto”; in essa si coagula, anzi si esalta un procedimento di questo tipo. Oggi più che mai. Il proprietario della editrice dedicata alla vanity press, ovvero pubblicazioni a pagamento per gonzi, sente che il momento è economicamente parlando assai propizio, e lancia infatti una collana mistico-esoterica a spese dell’autore: con grande successo. Sarà interessante notare come descrivendo questo tipo di imprese, Eco ha parlato spesso di «editoria di quarta dimensione», cioè impermeabile a qualsiasi ragione esterna, chiusa nel proprio mondo irreale; facendo ancora uso, di fatto, della sua teoria sulla semiosi ermetica. Qui però accade qualcosa di molto più importante rispetto al semplice sfruttamento degli ingenui. Belbo, Casaubon e Diotallevi, i tre redattori che se ne devono occupare, pensano di divertirsi alle spalle di quelli che chiamano “i diabolici”, e mettono insieme, anche con l’aiuto di un personal computer (che in quel momento è ben poca cosa, ma già promette meraviglie), un collage delle loro fantasie aggiungendo ricerche accuratissime ad hoc, per esempio sui Rosacroce: definiscono così il “Piano” ovvero danno una sorta di sistemazione storico-investigativa a tutto quel ciarpame, fino ad a spiegare la vera natura del Segreto. Costruiscono quello che è un vero romanzo fantastico (anche se di poche pagine), ma purtroppo per loro ne parlano in giro.
Oltre ai “diabolici” si sono annidati infatti nella casa editrice personaggi di bel altro calibro – e pericolosità – tanto che si innesca un meccanismo imprevisto; e i tre ne vengono travolti, perché la società segreta che hanno inventato forse esiste davvero, e soprattutto non perdona. Ci sono ovviamente riferimenti a quanto era da poco accaduto in quegli anni, per esempio agli attentati sui treni e alla P2 di Licio Gelli, ma anche a libri appena pubblicati: uno su tutti, quel meraviglioso A che punto è la notte, di Fruttero&Lucentini, cui Eco fa un episodico riferimento nel romanzo e al quale come ebbe modo di dire in seguito, il suo Pendolo era, se non ispirato, certamente una forma di omaggio.
A che punto è la notte mette in scena, nella contemporaneità (torinese) una buffa setta gnostica che si richiama agli eretici dei primi secoli: ma con puro divertimento, all’insegna di un’allegria diremmo illuministica. Eco si spinge più in là, perché il divertimento cede il passo alla tragedia (due dei redattori finiscono male, molto male, e quanto a Casaubon l’ultima pagina non dice tutto, ma lascia intendere che sarà lui la vittima definitiva); e nello stesso tempo da questa tragedia figlia della semiosi ermetica è sicuramente affascinato, proprio come Belbo che, dopo aver costruito il Piano, sembra davvero crederci; e Diotallevi che, morendo di tumore, è tentato di collegare ad esso la malattia (perché la superstizione, appunto, porta male). Superstizione, ninfa gentile? Lo scrittore ne è sedotto al pari dei suoi personaggi, come loro anzi proprio per loro ha di suo studiato i “diabolici” con una vera passione: e non solo perché – lo dice a Casaubon il commissario De Angelis, che sta indagando sulle società segrete − «a me forse il testo di un matto spiega come ragiona chi mette la bomba sul treno».
Questa componente c’è, ed è forse la più importante − molti dei romanzi successivi, del resto, continueranno a insistere intorno all’idea del complotto. Il poliziotto parla per conto di Umberto Eco. La domanda però resta, anche considerato che un autore, alla fin fine, ha un commercio intimo con i suoi personaggi, compresi quelli negativi, compresi quelli di cui si fa beffe e anche magari di cui ha paura. Fra le tante risposte possibili, una è nella prefazione al suo Storia delle terre e dei luoghi leggendari (Bompiani, 2013), dove elenca terre immaginate o immaginarie o magari ancora esistenti come rovine, intorno alle quali si è creata una solida mitologia. «È della realtà di queste illusioni – scrive − che questo libro si occupa». Vale anche – e soprattutto – per il Pendolo. E per tutta − o quasi − la sua enciclopedica opera narrativa.
Mario Baudino