13 Marzo 2019

“Tutti sono nudi, nessuno è salvo”: la bellezza di Sara dialoga con le abissali poesie di Marianne Moore

Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.

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Volto aperto, esaltato dagli occhi, come una maschera etrusca, come ciò che da millenni riepiloga la nostra necessità di abbandono. Di Sara Cavazza sorprende questo, la nitidezza della domanda. Ogni volto è bello in virtù della domanda che impone, che reclama. Sara studia a Ferrara ed è dominata da un imperativo etico urgente: “mi piacerebbe lavorare con i bambini autistici o con le donne e bambini in comunità”. Sa, cioè, che la bellezza, il ‘mostrarsi’ (“mi piace molto la fotografia, farmi fotografare, amo il teatro”) sono complici a una visione etica della vita (“aiutare gli altri”). A Sara, bellezza arresa e decisa, avviciniamo una poesia radicale di Marianne Moore, tra le grandi protagonista della poesia anglofona del Novecento, amata da Ezra Pound, da Thomas S. Eliot e da W. H. Auden. Poetessa dall’ardua meraviglia, di corazzata potenza, la Moore ci scava con indelebili interrogativi. Come dovrebbe fare la bellezza.

Che cos’è la nostra innocenza,
che cosa la nostra colpa? Tutti
sono nudi, nessuno è salvo. E donde
viene il coraggio: la domanda senza risposta,
l’intrepido dubbio, –
che chiama senza voce, ascolta senza udire –
che nell’avversità, perfino nella morte,
ad altri dà coraggio
e nella sua sconfitta sprona

l’anima a farsi forte? Vede
profondo ed è contento chi
accede alla mortalità
e nella sua prigionia ti leva
sopra se stesso, come
fa il mare dentro una voragine,
che combatte per essere libero
e benché respinto
trova nella sua resa
la sua sopravvivenza.

Alienare dal male e dal mortale con la generosità di una voragine, con il coraggio della dedizione. Così si vive nello splendore.

*Le fotografie sono di Antonio Tonti

Instagram links: Sara sarasiacavazza; Antonio Tonti antonio.tonti

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