“Apre la gabbia alla belva che risiede in noi”. Hervé Guibert, lo scrittore che odiava gli uomini
Letterature
Hervé Guibert
Di Raffaele Alberto Ventura ci basti sapere che vive a Parigi dove si occupa di marketing per un importante editore europeo e che nel suo libro, apparso prima sul web, poi pubblicato dalla Minimum Fax nel 2017, punta lo sguardo su una categoria che non è solita riscuotere molta attenzione, fatta eccezione per frasi di circostanza da salotto televisivo: quella dei giovani. È facile capire perché ha riscosso un discreto e meritato successo presso questa categoria. Infatti, la classe disagiata di cui il testo parla è formata dai disoccupati che aspettano si liberi un posto nel settore per il quale si sono formati, dagli occupati insoddisfatti della loro posizione che giurano ogni giorno che il loro impiego sarà temporaneo e, infine, dagli studenti che attendono di realizzare il futuro che credono di meritare. Il disagio di queste persone si nutre del desiderio di un’esistenza che non possono permettersi e che non potranno mai avere.
Se un tempo la piramide dei bisogni di Maslow indicava come fondamentali i bisogni primari, ora, i beni posizionali, quelli che chiamiamo status symbol, che servono a mostrare l’appartenenza a una determinata classe, sono diventati infinitamente più preziosi. Tra questi ultimi possiamo annoverare l’orpello della cultura, la quale viene troppo spesso sbandierata e brandita come un’arma per tenere a distanza le orde di barbari. Tuttavia, il mito che sia la cultura il discrimine tra una élite preparata a gestire il potere e una che invece non lo è va progressivamente in frantumi davanti ai nostri occhi e la formazione erogata dalle università non è oggi garanzia di alcun riscatto sociale né di alcuna autorealizzazione. La mobilità sociale infatti è ai minimi storici e questo significa che i poveri plausibilmente rimarranno poveri, i ricchi lo diventeranno sempre di più e i figli della classe media non potranno fare altro che continuare a provare a salire la scala sociale senza ottenere i risultati tanto agognati. Tutto ciò non può che provocare il risentimento di tutti quanti, specie dei nostri giovani, iperformati e disoccupati. Teoria della classe disagiata non si esaurisce solamente in un’analisi spietata e attuale della società. La riflessione che porta avanti, al contrario degli inutili testi di certi intellettuali nostrani, può servire a orientarsi nel presente, a prenderne coscienza e avere così una possibilità di scegliere meglio per il futuro.
Da Eschaton (nota pagina facebook) al mondo editoriale francese, raccontaci se vuoi qualcosa della tua carriera, soprattutto di queste due tappe.
Io ho avuto questa sfortuna, una decina di anni fa, che poi è stata anche la mia fortuna se vogliamo: ovvero di partire per Parigi e trovare quasi subito lavoro in una grande casa editrice. Dove però invece di occuparmi di libri, perché arrivavo un po’ dal nulla, mi occupo di fare studi di mercato e pubblicità. E quindi ho passato quasi un decennio a oscillare tra la voglia di andarmene, possibilmente per dedicarmi alla ricerca universitaria, e la consapevolezza che non avevo nessun piano B. L’unica cosa che mi rimaneva era portare avanti una specie di carriera parallela, scrivendo un sacco in rete, sul mio blog. Dopo circa un decennio, e diverse centinaia di pagine scritte letteralmente gratis, lo dico per scoraggiare i lettori ovviamente, ho iniziato a scrivere su qualche rivista online. Poi si sono avvicinati poco a poco gli editori, e devo a Christian Raimo di avermi portato a pubblicare il mio primo libro per Minimum Fax.
Nel tuo libro, lo strumento utilizzato per analizzare la realtà è la letteratura. Sia per quanto riguarda l’aspetto economico, come nel caso del complesso di Edipo dell’economia, sia per quanto riguarda quello sociologico, come nel caso dell’esempio di Auguste Langlois che viene raccattato per strada e portato al bordello dal duca con lo scopo di farlo abituare a piaceri che non potrà mai permettersi. Così una volta privato di questi piaceri, avrebbe fatto di tutto per tornare a goderne. Così sarebbero anche i giovani della classe disagiata. Mi spiegheresti questo utilizzo della letteratura, soprattutto come sia possibile passare dalla letteratura ad aspetti così pratici del reale per analizzarli?
Quando leggo un libro o guardo un film, lo confesso, il principale piacere che provo consiste nel dargli un senso, “capirlo”. Suppongo che sia una cosa piuttosto perversa, ma lo faccio sistematicamente ed è anche un buon modo per memorizzare le cose, perché di fatto sono sempre concentratissimo e non mollo l’osso finché non sono riuscito a “processare” l’opera. Un’altra cosa piuttosto perversa è che ho questa paura di dimenticarmi le cose che leggo e che vedo, mi rattrista davvero l’idea di passare due ore della mia vita per qualcosa che finirò per rimuovere totalmente dalla memoria, lo sento come se perdessi un pezzo di me: per cui, appena posso, cerco di mettere per iscritto quello che ho tratto da ogni opera, in forma di appunto su blog perché m’impone una forma, o addirittura di articolo se quell’esperienza risuona con altre esperienze. Anzi, cerco precisamente di collegare le varie cose, di vedere ogni esperienza di fruizione come un tassello che si inserisce in qualcosa di più grande. Insomma, credo di avere preso certe abitudini, nel corso degli anni, che mi hanno permesso di raccogliere una grande quantità di idee, di materiale, di concetti semilavorati, in qualche modo pre-strutturati, ed è in questo modo che nascono i miei libri.
Uomini e topi racconta i girovaghi americani che lavoravano stagionalmente e per farlo si spostavano di fattoria in fattoria per mettere da parte una cifra che gli permettesse di affrancarsi da quella vita e mettersi in proprio, acquistare un pezzo di terra, per loro un pezzo di paradiso. Salvo poi spendere i soldi in alcool e bordelli. Non credi che da sempre, qualunque siano le sue possibilità e il contesto in cui si trova, l’uomo tenterà di avere qualcosa che in realtà non è alla sua portata? Come se fosse necessario illudersi per vivere o porsi l’obiettivo cento metri dopo l’arrivo. Dagli anni della crisi in cui era immerso Steinbeck a oggi non è cambiato poi molto. Dunque, perché Teoria della classe disagiata sarebbe un testo attuale?
Certo, Teoria muove continuamente tra l’universale e il particolare, tra la consapevolezza di descrivere dinamiche che si trovano nella letteratura di decenni o secoli fa, e il tentativo di descrivere una peculiarità. Inoltre, c’è la volontà di fare i conti con questa universalità, di attirare l’attenzione sulla razionalità di certi comportamenti irrazionali, sull’inevitabilità dello spreco: insomma non si trattava di produrre una “morale” che invitasse a mettere da parte le aspirazioni, ma di prendere coscienza di questa dinamica e dei suoi rischi. Soprattutto nel contesto attuale, dove il meccanismo aspirazionale sembra essere concepito come una vera e propria trappola per farci dilapidare tutte le nostre risorse in scelte di vita senza sbocchi.
Nel tuo libro fai un esempio per analizzare il fenomeno che definisci della “sovrapproduzione delle élite”. Racconti che “i teologi troveranno sempre un modo di consumare il grano”, mentre “i contadini molto presto ne avranno abbastanza degli avvocati”. Puoi spiegarci meglio cosa intendi dire? Inoltre, credi che il punto di rottura lo abbiamo già raggiunto o dobbiamo ancora arrivarci?
Questo aspetto specifico intendo svilupparlo nelle prossime cose che scriverò. L’idea di fondo è che i rapporti sociali siano fondati sullo scambio ineguale tra beni (a basso valore) e servizi (ad alto valore) che creano delle disparità basate su rapporti di forza, per cui se “in teoria” conviene a tutti posizionarsi là dove c’è maggior valore aggiunto (professioni più gratificanti e pagate meglio) d’altra parte il rischio è che in quei settori si crei un sovraffollamento. Lo vediamo oggi, ad esempio, per i creativi, per non parlare degli avvocati che sono alla canna del gas. Il punto è che lo scambio ineguale si basa sulle domande reciproche, e che giunge un momento in cui la domanda per creativi e avvocati semplicemente si estingue.
Credi che ci sia una correlazione tra l’aumento esponenziale del “disagio” nella nostra società e il fatto che i figli dei contadini, ormai, abbiano gli stessi sogni dei figli degli avvocati o dei teologi, e viceversa? Successo, fama, denaro sono le parole d’ordine per tutti, trascendono le classi, sempre più diluite.
Quelli del Deboscio direbbero che il sogno dei figli di avvocati è essere contadini, anche se forse contadini chic, nelle fattorie bio. Ma il problema è chiaramente che abbiamo a che fare con una competizione “falsata”, perché tutti vogliono la stessa cosa ma sappiamo benissimo che il figlio dell’avvocato ha più risorse economiche da spendere per arrivare a quel risultato. Il problema nasce perché la società, diciamo cinquant’anni fa, non era necessariamente “più giusta” da questo punto di vista, ma l’economia cresceva e quindi i posti disponibili tendevano ad aumentare, a liberare spazio anche per gli ultimi arrivati, o quelli più bravi. Oggi puoi essere bravissimo e nulla ti garantisce che non finirai comunque a dover emigrare per fare studi di mercato, sigh.
Una curiosità: ci parli di un’intera generazione costituita da persone nate e cresciute con la speranza di poter superare la condizione economica dei genitori quando, invece, andranno presto a sbattere il muso contro il muro degli stipendiucci da fame mentre consumano il patrimonio familiare, accumulato nei decenni con meticolosa pazienza dalla generazione precedente. In altre parole, ci parli di un esercito di frustrati, che accresce continuamente le proprie fila. Credi che questo sentimento diventerà pericoloso, o che la classe disagiata sia innocua?
Credo proprio che ci sia qualcosa di pericoloso in questa dinamica, perché il malessere di chi cade è sempre più forte e dirompente di quello di chi non si è mai alzato. L’ascesa delle forze populiste, come si dice, mi pare un sintomo di questo risentimento delle borghesie impoverite. Ovviamente nessuno può andare da loro e dire: è vero, state male, starete sempre peggio, non avrete mai quello che vorreste avere, d’altronde il vostro benessere lo avete costruito sulla violenza, lo sfruttamento, l’imperialismo. Si farebbe lapidare. Per fortuna non l’ho detto.
Ci è arrivata la notizia della campagna crowdfunding per portare Teoria della classe disagiata a teatro. Puoi darci qualche anticipazione?
Mi ha contattato una compagnia teatrale per trasformare il saggio in uno spettacolo, che è già una sfida incredibilmente complessa e suggestiva. Ma loro sono bravissimi, ho già visto alcuni pezzi e letto una sceneggiatura, mi pare che il risultato sia all’altezza della sfida e sono curioso di vedere lo spettacolo in scena. Per ora le prime date certe sono a Pesaro, Macerata e in Puglia. Ma si spera che ne troveranno altre. Chi volesse partecipare al finanziamento e ottenere in cambio un biglietto, un testo inedito o altre reward può andare qui.
Alessandro Paglialunga e Guido M. Dell’Omo