Malatesta, la pièce en quatre actes di Henry de Montherlant, è pubblico nel 1946, pubblicato adeguatamente da Gallimard nel 1948, in scena per la prima volta il 19 dicembre del 1950 al Théâtre Marigny di Parigi, per grazia di Jean-Louis Barrault. Già nel 1952, per dire dell’importanza di cui godeva Montherlant, il testo è tradotto in italiano, da Bompiani. Insieme a Malatesta, il volume Bompiani raccoglie altri due testi teatrali molto noti di Montherlant: La regina morta e Il gran maestro di Santiago. Grandi i nomi dei traduttori: Massimo Bontempelli e Camillo Sbarbaro (a cui è affidato Malatesta). Nel 1995 l’editore riminese Raffaelli pubblica la traduzione di Sbarbaro di Malatesta, anteponendo un pensiero di Luca Scarlini. A giudizio dello storico della letteratura, “Malatesta diviene un epitaffio al culto della Rinascenza, praticato da D’Annunzio e da Maurice Barres, svelando nel momento del crollo delle illusioni superomistiche (il testo è stato scritto durante la Seconda Guerra Mondiale), la ‘debolezza’ della condizione esistenziale umana”.
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Nel 1967 il Malatesta diventa fiction televisiva, in Francia. Nel 1969, il 28 luglio, nella ‘quinta’ in cui è in parte rappresentato (il Castel Sismondo di Rimini), Malatesta va in scena per la prima volta in Italia. A interpretare il grande condottiero, Arnoldo Foà. Nel ruolo di Paolo II c’è Tino Carraro mentre Andreina Paul è Isotta. Per l’occasione, Montherlant firma un articolo su Il Resto del Carlino in cui riassume così i caratteri di Sigismondo Pandolfo Malatesta: “buon guerriero e buon mecenate, buon conquistatore di donne e buono sposo, uno che seppe riunire in sé ferocia e tenerezza, capriccio e costanza, religione e irreligione, energia e fragilità… Malatesta è l’eroe solamente di se stesso; ed è l’individuo solo, senza i suoi fini e le sue ragioni, ad essere esemplare per i fini e le ragioni di sempre” (diversi dati si trovano in Henry de Montherlant. L’infinito è dalla parte di Malatesta, Raffaelli, 2004).
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Ora Malatesta torna in scena nel luogo in cui fu immaginato. Dal 23 marzo all’8 aprile, con Gianluca Reggiani (regista e Malatesta), Tamara Balducci, Mirco Gennari, Andrea Argentieri, tra gli altri. La versione del 1969 andò in atto secondo l’adattamento di Mario Moretti, dacché la versione di Sbarbaro, eminente poeta, è per la lettura. In questa, la versione è mia. Giustificato da esempi illustri (Pasolini che ‘rifà’ il verso a Eschilo senza guardare il greco), mi sono gettato, senza paracadute, nella lingua italiana. Spaccandola. Rendendo le metafore d’acciaio, oliando la retorica in cinismo (opzione linguistica concessa dall’opera di Montherlant, un vigoroso elogio dell’individuo sovrano, fino allo sfinimento).
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Malatesta viene scritto da Henry de Montherlant in un momento decisivo, sull’Everest di un ago. Nel 1943. Tra Grasse e Parigi. Durante il Governo di Vichy. Montherlant guarda con nitido disgusto le svastiche – e ignora i fiumi della resistenza. Nel 1944 la Gestapo perquisisce il suo appartamento. Deflagrato Vichy, alcuni ‘resistenti’ chiedono la testa di Montherlant, accusato di collaborazionismo. Léon-Pierre Quint, influente membro del Comitato nazionale degli Scrittori, riassume il caso Montherlant con queste parole: “L’unica accusa che gli si può muovere è di non aver preso parte; dovremmo chiederci, allora, se uno scrittore ha il diritto, durante l’occupazione del suo paese, a restare indipendente, a mantenere la propria libertà di spirito – se è autorizzato, mentre il mondo si divide in due parti, a stare da parte, dalla propria parte”. Nel corso del 1945 diverse ‘informazioni’ contro Montherlant vengono inviate alla Chambre civique. Evidentemente lo scrittore è alquanto invidiato. L’unica condanna che gli tocca subire – per eccesso di individualismo? – è il divieto a pubblicare per sei mesi.
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Decorato durante la Prima guerra mondiale, eletto – senza essere candidato – all’Académie française nel 1960 – ma fu perpetuo latitante – Henry de Montherlant ha scritto alcuni dei libri più importanti della letteratura francese del Novecento: il ciclo delle Ragazze da marito, Il caos e la notte, Il solstizio di giugno, La rosa di sabbia. Un tempo edito con sfarzo da Mondadori, Bompiani, Adelphi, oggi è un oggetto di lusso per i piccoli editori. Nel giorno dell’equinozio di autunno del 1972, tramite “l’ingestione di una pastiglia di cianuro e un colpo in testa”, Montherlant lascia questo mondo. “In esecuzione alle sue ultime volontà, i suoi amici sparsero le sue ceneri a Roma, nei Fori imperiali e nel Tevere” (Moreno Neri).
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Il finale escogitato da Montherlant per il Malatesta è dostoevskijano. L’origine del male è nell’intellettuale a libro paga, la mente corrotta dal denaro, che ammira il potere – che non ha, che non può avere perché il suo è un pensare a vanvera, uno sfarfallio di nulla – per ucciderlo. E così, uccide il sogno.
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Anamnesi dei personaggi
Porcellio è l’intellettuale organico al potere: le sue parole non dicono menzogne perché verità e menzogna sono la stessa cosa. La Storia è forgiata dalle parole dell’intellettuale scritte per accontentare il Signore – i ‘fatti’ nascono dall’ustione di molteplici menzogne. Tutti, scrivendo, eludono il vero: la verità non può essere circoscritta dalla grammatica. Porcellio ama il suo Signore con la stessa forza con cui ne desidera la morte – l’intellettuale trama sempre tresche per detronizzare chi lo stipendia.
Isotta è dotata di una ferocia più severa di Malatesta. Il suo cinismo è senza gloria, decapitato dall’ansia di custodire la casa. Non è questione di potenza ma di furbizia, la Storia, ai suoi occhi – la giovane sverginata accarezza il porco, Malatesta, dominato dal suo intestino – desiderio di gloria, brama di cibo, parole sboccate, tra i patetismi di Amleto e l’ebbrezza da postribolo, tra il Cesare e il puttanaio – per tramutarlo in angelo.
Malatesta non ha altra intelligenza che il suo stomaco, onnisciente: vuole uccidere, ingurgitare, digerire. Eppure, è più colto di Porcellio. Malatesta non sfiora la cultura con le parole – sempre e comunque un labirinto di menzogne – la prende, la pretende. Conquistato da Gemisto Pletone, gl’interessa poco leggerlo quanto rubare il sarcofago a Mistrà, che custodisce le spoglie del filosofo, e incassarlo, con prepotenza, nell’incavo della facciata esterna del suo Tempio. Malatesta vuole – e ottiene. Non pensa, brama. Malatesta è un animo pratico: ama uccidere tanto quanto ama la bellezza; ama la carne ma predilige ancor più il marmo, che non è mortale (così davanti alla statua che gli porgono, appena dissotterrata e letta come un segno di buon augurio: “voglio succhiare la bellezza prima di percorrere l’inferno”). Ama l’uomo – a differenza di Porcellio – per questo arriva a scannarlo.
Il Papa è il vero ‘principe’ decrittato da Machiavelli. Non si sporca le mani di sangue – come Malatesta – perché paga affinché altri uccidano per lui. Papa Paolo II o Pio II, l’arguto Piccolomini, poco cambia: “Uno Stato non si governa sguainando il rosario. Dio è lontano, nei cieli, Madonna Isotta, mentre gli uomini sono vicini, mi sono addosso, come un incubo”. La Croce è brandita come una spada, la pietà come una condanna. Il denaro è tutto. Il papato sembra erigersi sulla pietra di Giuda più che su quella di Pietro.
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Pubblichiamo un brano del ‘Malatesta’ di Montherlant secondo l’adattamento per la messa in scena attualmente a Rimini. Il capitano d’arme parla con l’amata Isotta.
MALATESTA: Le mie donne sono tutte devote
ma tu sei l’unica che da senza volere nulla in cambio
alleanza che non esige ostaggi
riparo sicuro come la morte.
La tua inalterabile fiducia è un dono
per chi ogni giorno deve mercanteggiare con gli uomini.
Non sopporto i cavalli dalla bocca dura
tu non l’hai mai avuta – per questo sei ancora con me.
ISOTTA: Avete detto, un giorno
muoia l’Italia a patto che Rimini si salvi.
E io ora vi dico: muoia Rimini
si disintegrino le sue pietre
che l’Italia sia preda di francesi e tedeschi
purché su di voi risplenda la salvezza..
MALATESTA: Io mi salverò – senza che nessuno muoia
Muore solo colui che pensa di morire.
C’è chi tra i lebbrosi non prende la lebbre
che nel macello non muore
Io sono uno che non muore.
ISOTTA: …perché sorridete?
MALATESTA: Ricordi – speranze
La notte è piena di segni
Guarda le luci che punteggiano Rimini
Sembrano le anime degli eroi che mi scortano
Le stelle sono insonni e luminose come me
Le anime piene di gloria sono i miei sudditi
Sento le costellazioni sussurrare – cosa bisbigliano?
Parlano di immortalità
Lo senti il mare?
Senti il suo infinito schiocco?
L’uomo si stanca di ripetere gli stessi nomi
ma il mare con forza immutabile ripete il mio nome:
Malatesta, Malatesta, Malatesta
un frastuono lungo le spiagge
piene di mani di marmo e di navi sottratte alle vita.
L’ho detto al papa – ha capito –
se anche mutassero forma alla spiaggia
il mare continuerebbe a ripetere per sempre
Malatesta, Malatesta, Malatesta
ascoltalo!
ISOTTA: Sento soltanto il fragore del vostro cuore…
MALATESTA: Isotta. Torna in camera e sii felice
I venti non possono ferire la guancia del mondo
Essi, come i pensieri nefasti, non devono sfiorarti
sfida la notte con il tuo volto pacificato.
Sono le nove – i bambini sbadigliano e vogliono dormire
i bambini dormono come fiori tra le pagine di un libro
Isotta – tra un’ora sarò con te – e ti renderò sicura.